Si è conclusa il 27 ottobre la seconda edizione del Venice Sustainable Fashion Forum, summit promosso da Sistema Moda Italia, The European House - Ambrosetti e Confindustria Veneto Est. L’evento ha visto la partecipazione di oltre 400 persone tra imprenditori, italiani e stranieri, rappresentanti della filiera e stakeholder.
Dalla presentazione dell’ultimo report, Just Fashion Transition 2023, ai focus tematici su gestione dei rifiuti tessili, due diligence, circolarità, finanza e digitalizzazione, quelli alla Fondazione Giorgio Cini sono stati due giorni di confronto intorno alla necessità di accelerare la transizione – da qui il titolo dell’edizione di quest’anno, Boosting Transition ‒ verso la sostenibilità nel settore della moda.
“L’analisi degli scenari attuali e futuri è necessaria per elaborare strategie e azioni di miglioramento su tutti i fattori ESG”, ha dichiarato inaugurando i lavori Flavio Sciuccati, Senior Partner & Director of the Global Fashion Unit di The European House-Ambrosetti. “Boosting Transition sottolinea il senso di urgenza per il nostro settore che sconta un grave ritardo rispetto ad altri settori più virtuosi. Basti pensare, sul lato della sostenibilità sociale, alla rimozione collettiva della tragedia del Rana Plaza di 10 anni fa. Oggi è imperativo per tutti ‒ brand e industria, lusso e fast fashion ‒ lavorare insieme per migliorare questa situazione.”
I risultati dello studio Just Fashion Transition 2023
Durante la prima giornata del Forum sono stati presentati i risultati dello studio Just Fashion Transition 2023, realizzato da The European House - Ambrosetti. Lo studio strategico ha analizzato oltre 2.800 aziende italiane ed europee, valutato le performance ESG di 366 aziende della filiera italiana, effettuato un benchmark delle prestazioni di sostenibilità delle prime 100 aziende europee, si è confrontato con 21 esperti di settore e condotto una policy intelligence su 32 strumenti normativi che interessano direttamente il futuro del fashion europeo. Lo studio si conclude con un elenco di 8 proposte per una transizione giusta della moda globale, poste al centro del dibattito del Forum.
Tra le principali evidenze gli impatti della pressione normativa dell’Ue. La Commissione Europea ha infatti lanciato nel 2022 la EU Textile Strategy, iniziativa mirata a stabilire un quadro di riferimento e una visione comuni per la transizione del settore tessile, che ha incontrato diversi ostacoli durante la sua gestazione. Su 14 principali azioni legislative presentate, sembra che solo il 51% abbia riscosso consenso, e si riscontrano forti ritardi nelle approvazioni, connessi alle difficoltà incontrate durante i triloghi o all’influenza esercitata da gruppi di pressione.
Secondo lo studio ci sarebbe poi un tema di efficacia. Un’analisi preliminare d’impatto sulla nuova proposta di Regolamento sull’ecodesign, effettuata su specifiche categorie di prodotto, non è incoraggiante: l’applicazione dei principi alle magliette 100% cotone comporterebbe solo un taglio di circa 3,51 milioni di tonnellate CO₂eq pari allo 0,3% dell’impronta annuale di carbonio europea.
Fashion, rifiuti esportati e nuove possibili soluzioni
La strategia EU include anche una nuova direttiva per contrastare gli impatti negativi connessi alla spedizione dei rifiuti in Paesi terzi. Oggi, il fashion si distingue come il settore con il maggior volume di rifiuti esportati verso Paesi non-OCSE (93,5% del totale), un valore che è quintuplicato tra il 2000 e il 2019, raggiungendo 1,7 milioni di tonnellate. La proposta europea però implica una profonda e complessa riforma per razionalizzare e rafforzare il sistema doganale europeo.
Sul palco del Forum spazio anche a proposte differenti, come l’introduzione di un sistema globale di responsabilità estesa del produttore. “Sentiamo molte persone parlare di economia circolare o di circolarità e di sostenibilità, ma non riflettono realmente le realtà sul campo e le ingiustizie sociali e ambientali”, ha dichiarato a Materia Rinnovabile Chloe Asaam, Manager of Ghana Operations di The OR Foundation, organizzazione che si occupa di affrontare il problema dei rifiuti del fast fashion in Ghana.
“L’abbigliamento già fluisce dal nord al sud del mondo. Mentre pensiamo a una giusta transizione, mentre pensiamo a come passare da un'economia lineare a un'economia circolare, l'EPR può essere quel meccanismo di supporto che permette al denaro di fluire dove il materiale sta già fluendo, elevando i tipi di lavoro che le persone stanno già facendo, come la rigenerazione e il riutilizzo. Si creano nuove piccole industrie circolari che potrebbero essere il catalizzatore per passare da un'economia lineare a un'economia circolare. C'è un vuoto che deve essere colmato”
La fibra sostenibile non esiste
Secondo il report, il costo di produzione complessivo per una maglietta tradizionale in cotone ammonta a circa $3,87. Il capo viene poi rivenduto al consumatore a un prezzo di circa 2 volte superiore (fino a $8). Casi studio mostrano invece che produrre una maglietta in cotone etico da commercio equo e solidale possa costare fino a $8,72 con un prezzo al dettaglio di circa $36 – quattro volte superiore al costo di produzione.
Lo studio Just Fashion Transition 2023 sottolinea inoltre come non esista una fibra sostenibile. Circa il 70% delle fibre utilizzate per confezionare abiti e tessuti da arredamento sono infatti sintetiche, come poliestere e nylon. Mentre le fibre naturali sono comunemente percepite come più “rispettose dell’ambiente” in quanto rinnovabili e biodegradabili, i dati testimoniano che, in alcuni casi come il cotone, possono esercitare impatti ambientali maggiori rispetto alle alternative sintetiche o artificiali.
L’impronta ambientale della moda si riduce grazie alla tecnologia
Nel 2020, i Paesi UE-27 hanno importato oltre 8,7 milioni di tonnellate di materiale tessile e hanno prodotto 6,9 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti. Le attività riconducibili a produzioni tessili hanno prodotto emissioni per 121 milioni di tonnellate di CO₂eq, usando 175 milioni di tonnellate di materie prime vergini, consumando 24.000 milioni di m3 di acqua e occupando 180.000 km² di terreno – circa 400 m² per persona.
Eppure, a fronte di questi dati, l’Agenzia europea per l’ambiente riporta che tra il 2017 e il 2020 l’impatto ambientale unitario dei prodotti tessili domestici è diminuito in media del 46,3% in soli 4 anni. Sempre tra il 2017 e il 2020, lo sviluppo tecnologico nel settore Moda è avanzato del 23,3% principalmente trainato dall’incremento di brevetti depositati.
L’atteggiamento dei consumatori e lo spreco delle restituzioni di vestiti online
Il 58% dei consumatori globali afferma che avere un impatto sulla sostenibilità della moda sia personalmente importante, ma le persone di ogni età acquistano raramente abbigliamento sostenibile nei negozi abituali. In più, circa il 30% degli acquisti online viene restituito, e il 70% di questi resi è il risultato di un “cambio di idea”, fatto senza rendersi conto delle ripercussioni: come per esempio il conferimento in discarica di un’ingente quantità di capi “indesiderati”. Una parte considerevole finisce in Africa, dove più del 50% dei vestiti usati diventa immediatamente rifiuto.
Le opportunità del riciclo e del riuso degli abiti
Le stime sui rifiuti tessili prodotti annualmente in Europa variano dai 5,2 milioni di tonnellate ai 7,5 milioni di tonnellate – pari a circa 26 miliardi di capi di abbigliamento con una crescita del 20% prevista al 2030. Più del 60% dei prodotti tessili gettati sono composti da fibre sintetiche come il poliestere. In media, su 35 articoli tessili buttati ogni anno da un cittadino europeo, 3 vengono riciclati e meno di 1 viene riutilizzato nel mercato domestico.
L’industria europea del riciclo di materiali tessili vale più di $4,6 miliardi, pari al 29,6% del valore complessivo a livello globale, ed è in grado di gestire più del 32% dei rifiuti tessili generati annualmente nel continente (circa 700.000 tonnellate). In questo contesto, considerata la crescente concentrazione di capi sintetici sul mercato europeo, il riciclo rappresenta una soluzione sempre più promettente.
A sua volta, il riuso consente di evitare fino al 97% delle emissioni di CO₂ e di ridurre del 99% il consumo di acqua rispetto al riciclo chimico. Il mercato del lusso di seconda mano, che nel 2018 valeva $24 miliardi, sembra essere cresciuto rapidamente, con un aumento del 28% nel 2022.
Cresce l’impegno delle aziende della moda per la transizione
Tra il 2021 e il 2022, il numero di aziende europee della moda che presidiano la sostenibilità è aumentato del 17%: 71 tra le 100 più grandi si sono già attrezzate per gestire la transizione ma la migliore tra queste soddisfa solo il 70% dei requisiti di maturità dei presidi ESG.
Evidenziare una forte correlazione tra presidio e accelerazione delle performance è ancora complesso, ma le aziende con una governance ESG strutturata e remunerazioni collegate vantano presidi superiori in media del 36% rispetto ai propri concorrenti, mentre le aziende che hanno rendicontato le proprie emissioni in modo regolare negli ultimi 4 anni hanno ottenuto una riduzione del 37% delle emissioni di scopo 1 e 2.
Il ruolo degli incentivi
Come sottolineato da Carlo Cici, Partner & Head of Sustainability Practices, The European House - Ambrosetti, è fondamentale “liberare e sfruttare appieno il potenziale di cambiamento delle aziende UE promuovendo sviluppo, diffusione e adozione su larga scala di tecnologie green lungo tutta la catena di valore della moda, traendo ispirazione dall’esperienza positiva dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense che riconosce fino al 40% del credito d’imposta alle aziende che investono nel green moltiplicando così almeno 5 volte gli investimenti in rinnovabili in un solo anno”.
La Tax Credit è stata al centro del dibattito sugli incentivi pubblici, ma non come unico livello di intervento in materia di due diligence e compliance, come sottolineato a Materia Rinnovabile da Maria Teresa Pisani, OiC Chief Trade Facilitation di UNECE. “Oltre agli incentivi pubblici, per me sono ancora più importanti gli incentivi che devono essere messi in essere all'interno della filiera, quindi privati. Questo vuol dire che il brand, il retailer o la parte a valle della filiera ‒ quella i cui margini sono più elevati ‒ deve trasferire quel valore in parte a monte.
Questo è importante perché la parte a monte della filiera non avrà un obbligo normativo, in quanto la materia prima e la lavorazione delle fasi iniziali e centrali della produzione avvengono prevalentemente extra UE. Bisogna incentivare questi attori. Ad esempio con meccanismi di price premium per coloro che lavorano su sostenibilità, che è una sfida costosa e complessa. Oppure, attraverso relazioni contrattuali più a lungo termine. Per fare un esempio, piccoli produttori di cotone in Perù o produttori di cotone rigenerativo in India o Turchia hanno bisogno di ricevere maggiore sicurezza.”
SEGUI MATERIA RINNOVABILE SU GOOGLE NEWS
Immagini: Venice Sustainable Fashion Forum