“Una guerra mondiale tra superpotenze scatenata da una concorrenza per le risorse naturali? Non mi sembra così improbabile.” È con le parole di Rod Schoonover, ex ufficiale dell’intelligence statunitense, che si apre The Grab, documentario scritto e diretto da Gabriela Cowperthwaite e realizzato grazie al lavoro del Center for Investigative Reporting (CIR).

Il docufilm, definito da The Guardian “il documentario più scioccante dell’anno”, racconta di come il cambiamento climatico stia modificando le relazioni tra gli stati più potenti del mondo in uno scacchiere internazionale dove le disponibilità di cibo e acqua rappresentano il perno degli equilibri geopolitici.

Grazie all’abilità investigativa del giornalista Nate Halverson e della sua équipe, The Grab fa luce su quella che si prospetta essere, e che in parte è già, la guerra fredda del Ventunesimo secolo: una competizione spietata per l’accaparramento di terre e risorse idriche sempre più scarse a causa del riscaldamento globale.

Gabriela Cowperthwaite © The grab

Il ruolo di Cina, Arabia Saudita e Stati Uniti

L’inchiesta parte dal caso dell’azienda americana Smithfield Foods, la più grande produttrice di carne suina al mondo, acquistata nel 2013 dalla cinese Shuanghui. L’operazione, costata alla Bank of China 4,7 miliardi di dollari, è parte della strategia “Going Global”, un piano del governo di Pechino che mira, tra le altre cose, a esercitare un controllo sempre maggiore sull’approvvigionamento alimentare americano. Grazie a questa acquisizione, infatti, la Cina è riuscita ad accaparrarsi 1 maiale americano su 4, alleviando, anche se solo in parte, la pressione sulla domanda interna cinese di carne che nel paese è in continua crescita.

The Grab ci mostra che anche l’Arabia Saudita sta adottando comportamenti simili per ottemperare alla strategia nazionale sulla sicurezza alimentare. Negli anni Novanta l’Arabia Saudita era il sesto esportatore di grano mondiale. Poi ha estratto dalle proprie falde acquifere una quantità d’acqua tale da prosciugarle quasi completamente. Ciò ha spinto Re Abdullah, reggente fino al 2015, a promuovere l’acquisizione di terreni agricoli all’estero.

È il caso di una società saudita che ha acquistato un terreno di oltre 15 miglia quadrate in Arizona, nella contea di La Paz. Lì, ancora oggi, sorge Fondomonte, un’azienda che sfrutta le risorse idriche della Butler Valley per la coltivazione di erba medica destinata all’esportazione. “Prosciugano la nostra acqua per far crescere fieno così da poterlo spedire nella penisola araba e continuare a nutrire le loro vacche da latte.” Così commenta Holly Irwin, membro del Board of Supervisors della contea, che da anni raccoglie gli appelli disperati degli agricoltori americani (i cui pozzi sono ormai completamente prosciugati), e che lamenta la totale mancanza di regolamentazione che rende possibile, in Arizona, avere accesso illimitato all’acqua senza alcuna restrizione.

E tuttavia negli Stati Uniti, accanto a chi subisce questi metodi spregiudicati di accaparramento di risorse, troviamo anche chi li orchestra traendone ingenti profitti. Ne è un esempio la testimonianza di Edward Hargroves, Co-Founder di Goldcrest Farm Trust, imprenditore che negli ultimi anni ha investito sempre più in progetti di agricoltura rigenerativa, che racconta di come, agli inizi della sua attività, il suo lavoro fosse quello di offrire consulenze “allo scopo di favorire acquisizioni di terre ricche d’acqua adatte alla coltivazione per poi vendere il raccolto in zone dove questa scarseggia.”

Nate Halverson © The grab

Land grabbing e “nuovo colonialismo” in Africa

E sempre gli Stati Uniti sono protagonisti del vero scandalo portato alla luce dall’inchiesta del CIR: si tratta di The Throve (“Il tesoro”), una cartella contenente oltre 10.000 scambi di email tra gli azionisti di Frontier Resource Group, il fondo di private equity creato da Erik Prince, già CEO della società militare privata Blackwater, finanziata dal governo americano per fornire servizi di sicurezza in Iraq. Dall’attento esame delle conversazioni email emerge uno scenario piuttosto inquietante: un piano di investimenti finalizzato all’acquisizione di terreni in Africa per il soddisfacimento di interessi nazionali. Un piano sostenuto dallo sceicco Tahnoon, fratello del sovrano degli Emirati Arabi Uniti, e da Johnson Chun Shun Ko, potente uomo d’affari cinese. Non è un caso che proprio in Africa, a oggi, si trovino tra il 50 e il 60% delle terre coltivabili non ancora sfruttate dall’industria alimentare.

Il progetto di Prince si concentra in Zambia, tra le regioni del continente africano più ricche d’acqua. Qui, Kharika Phiri, capo della comunità di Lala Chiedom, in Serenje, racconta come le attività di Frontier Resource Group abbiano destabilizzato l’intera regione, alimentando lotte intestine e causando una profonda devastazione territoriale. Facendo leva sull’assenza di atti di proprietà, che legalmente rende le terre ancestrali coltivate dagli indigeni “terre di nessuno”, l’arrivo degli americani ha di fatto sottratto loro migliaia di ettari di terreno, sradicandoli dalle proprie abitazioni.

Felix Tomato, agricoltore della comunità, confessa alle telecamere: “Da un giorno all’altro è arrivato l’uomo bianco con un trattore, ci ha detto che aveva comprato la terra e che dovevamo andarcene subito. Ci ha mollato al bordo della strada e ci ha lasciati lì, senza un rifugio.” “Si tratta di un nuovo tipo di colonizzazione dell’Africa”, aggiunge un altro intervistato. “L’unica differenza con il passato è che all’epoca ci usavano per estrarre minerali, oggi ci usano per la terra”, prosegue. È questo il costo umano delle attività di una fitta rete di piccole società di capitali che rendono di fatto impossibile risalire al mandante primo degli investimenti e tracciare gli spostamenti di denaro.

Nate Halverson, Mallory Newmann, Emma Schwarts © The grab

Le mire geopolitiche di Putin e l’agrobusiness russo

Se in Occidente e nel Sud Globale il cambiamento climatico sta esacerbando la disponibilità di risorse, spingendo alcuni paesi ad andare all’estero per garantirsi scorte di cibo e acqua, altri, come la Russia, guardano con favore all’innalzamento medio delle temperature. L’economia agricola russa sta già beneficiando del riscaldamento globale: sempre più terreni stanno diventando fertili e adatti all’allevamento, trasformando l’ex URSS “da un deserto di ghiaccio all’Iowa”. Queste le parole di Halverson, che vola in Russia per incontrare agricoltori locali. Questi gli rivelano come, negli ultimi anni, moltissimi cowboy americani siano stati assunti per importare nel paese il know-how necessario per la gestione del bestiame e delle pratiche agricole.

Victor Linnik, presidente dell’azienda agricola Miratorg, che esporta già parte della sua produzione di carne di maiale in Vietnam, sottolinea che la crescita dell’agribusiness è stato un obiettivo centrale di Vladimir Putin sin dal suo insediamento. Oggi, per il presidente russo, accrescere le mandrie di bestiame è ancora più cruciale, perché significa accrescere il peso geopolitico della nazione. Lo conferma anche Linnik, secondo cui “il cibo sta diventando più importante del petrolio e delle armi […] e la Russia ha il potenziale per sfamare la popolazione globale”.

Nate Halverson, Mallory Newman © The grab

Il futuro del pianeta (che è il presente delle popolazioni vulnerabili)

Il mondo descritto da The Grab ci parla di un futuro in cui le rivolte alimentari scatenate dalle disuguaglianze nell’accesso al cibo e all’acqua saranno all’ordine del giorno. Un futuro che ci presenta un problema demografico, oltreché ambientale. Nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi, ma, mentre la domanda di risorse naturali continuerà a crescere, la quantità di terre coltivabili sarà sempre meno. “Più di 1 miliardo di persone vivrà in paesi che dovranno far fronte a un’assoluta scarsità d’acqua”, afferma Aaron Salzberg, Ex Global Water Strategy per il Dipartimento di stato americano. Un futuro che è già un sottaciuto presente per tutte le popolazioni più vulnerabili del mondo che, dall’Arizona allo Zambia, a causa della complicità delle élite politico-finanziare, stanno venendo private dalle multinazionali della possibilità di decidere della propria stessa vita.

È questo, dunque, il furto, The Grab. Una corsa spietata all’accaparramento di cibo e acqua. Una progressiva concentrazione delle risorse naturali nelle mani di pochi. Un gioco cinico, questo, in un mondo che per giunta deve fare i conti con gli effetti senza precedenti del cambiamento climatico.

 

Immagine di copertina: Ricardo Iv Tamayo, Unsplash