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da New York - Il 24 settembre 2024, lo Ziegfeld Ballroom, la mecca di Manhattan degli eventi di gala, si è trasformato nel palcoscenico del 9° Forum annuale sugli investimenti sostenibili in Nord America. Il Forum, organizzato da Climate Action in collaborazione con la UN Environment Programme Finance Initiative, ha riunito oltre 620 investitori istituzionali e società finanziarie, per un totale di 3.000 miliardi di dollari di asset in gestione.

Mentre la temperatura media dell’atmosfera continua a superare gli 1,5° C fissati dall’accordo di Parigi e la COP29 di Baku è alle porte (e a casa dei petrolieri), la comunità finanziaria è infatti chiamata ad agire rapidamente. Tra greenwashing (e qui si potrebbe fare dell’amaro sarcasmo, visto che allo Ziegfeld hanno debuttato film come Apocalypse Now, Cabaret e Incontri ravvicinati del terzo tipo) e reali impegni nella decarbonizzazione dei portfolio, però, su questa urgenza si innesta l’incertezza normativa e delle stime macroeconomiche. Per non parlare della polarizzazione geografica e politica, elezioni presidenziali negli Stati Uniti comprese, che in Nord America produrranno gli impatti più immediati.

Tuttavia, al Forum il vero quesito sembra essere un altro. La “CAPEX mentality”, cioè l’approccio basato sui costi di capitale e il parossismo della performance a breve termine, è destinata a trasformarsi oppure no? Indipendentemente dalla risposta, come in Apocalypse Now, l’aria imperturbabile che si respira allo Ziegfield sa di un viaggio verso un mondo più caldo (quanto ancora non si sa) in cui sarà il cammino, più della meta finale, a regalare le maggiori soddisfazioni.

Il pericolo di una “transizione globale a due velocità”

“La decarbonizzazione è inevitabile e rappresenta la più grande trasformazione dell'economia globale di questo secolo. Il che rende l'azione per il clima una cosa molto, molto astuta. Ma dall'altro lato, quello che state facendo non è affatto facile.” È con queste parole che Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ha aperto il suo discorso al Forum sugli investimenti sostenibili in Nord America.

Nonostante i tassi di interesse elevati, le politiche pubbliche spesso incoerenti e i problemi di approvvigionamento, secondo le stime riportate dal segretario i flussi finanziari destinati all'azione per il clima superano già i mille miliardi di dollari. Nel 2024, solo gli investimenti nel solare fotovoltaico cresceranno fino a superare i 500 miliardi di dollari. Una cifra superiore all'importo totale investito in tutte le altre tecnologie di generazione elettrica messe insieme.

“La trasformazione è necessaria in ogni settore e questo significa opportunità in ogni settore, ma − ed è un grosso ma − al momento la stragrande maggioranza di questo denaro sta confluendo in progetti nelle economie più grandi. Questo mega-trend dell'energia pulita sta progredendo in modo disomogeneo”, ha aggiunto Stiell. Se un numero maggiore di paesi in via di sviluppo non vedrà aumentare questo crescente flusso di investimenti, ha avvertito il capo dell’UNFCCC, si instaurerà rapidamente una “pericolosa transizione globale a due velocità”. Lo stesso Stiell, a febbraio, aveva indicato una cifra di almeno 2,4 migliaia di miliardi di dollari per mantenere gli obiettivi globali in materia di cambiamento climatico.

Simon Stiell

Colmare i gap di finanziamento nei paesi in via di sviluppo

Cosa manca allora per colmare questo divario? “Serve un approccio più integrato che riunisca i diversi soggetti interessati all'interno dell'ecosistema dei finanziamenti per il clima. Ciò significa fare leva sulla finanza mista, ossia sulla combinazione di diversi tipi di fonti di finanziamento, per attirare fornitori di capitali agevolati. Questi potrebbero essere le DFI (Development Finance Institutions, Istituzioni finanziarie per lo sviluppo), le MDB (Multilateral Development Banks, Banche multilaterali di sviluppo) e le fondazioni, tutte in grado di svolgere un ruolo catalizzatore nella mobilitazione di capitali privati su larga scala”, ha spiegato a Materia Rinnovabile Joe Leavenworth Bakali, Senior Program Associate e Catalytic Climate Finance Facility Lead della Climate Policy Initiative, organizzazione internazionale di analisi e consulenza con base a San Francisco, California.

“Nonostante esistano molti team promettenti impegnati nello sviluppo di soluzioni innovative di finanza climatica, in particolare nelle economie in via di sviluppo, spesso questi non riescono ad accedere alle risorse necessarie”, continua Bakali. “Al momento, i tempi per la raccolta di fondi risultano estremamente lunghi, e gli investitori tradizionali tendono a percepire rischi significativi quando si tratta di investire in queste aree.” Tra i principali ostacoli vi sarebbe una percezione di squilibrio tra rischio e rendimento, oltre a una carenza di consapevolezza o di conoscenze specifiche sui settori climatici emergenti.

“Il capacity building è una parte fondamentale di questo processo. Ma si tratta anche di inserire meccanismi di de-risking finanziario, come garanzie e prodotti assicurativi, accanto allo sviluppo delle capacità delle istituzioni”, conclude Bakali. “Questa combinazione è fondamentale per consentire un maggiore afflusso di capitali in settori come l'agricoltura sostenibile e la blue economy. Questi settori sono stati storicamente poco serviti e sottocapitalizzati, ma sono fondamentali per gli sforzi di adattamento e mitigazione nelle economie in via di sviluppo.”

Il ruolo delle policy e la spinta dell’Inflation Reduction Act

Come evidenziato dallo stesso rapporto Draghi sulla competitività europea, con l’Inflation Reduction Act (IRA) gli Stati Uniti hanno messo il piede sull’acceleratore. L’IRA, la legge sul clima più importante mai approvata da Washington, punta a ridurre le emissioni statunitensi del 40% entro il 2030, “sostenendo al contempo le comunità svantaggiate e la base industriale dell'energia pulita”. A questa misura vanno poi aggiunte le risorse sbloccate dalla legge bipartisan sulle infrastrutture (BIL) e al CHIPS and Science Act. Il primo contiene (anche) piani per la resilienza climatica, mentre il secondo sostiene la produzione federale di semiconduttori.

Uno dei settori più significativi per illustrare il legame tra finanza, clima e commercio globale è l'idrogeno verde. Tuttavia, c'è un alto rischio di confusione riguardo ai finanziamenti, specialmente con l'idrogeno blu, che è prodotto dal metano, come dimostrano i 900 milioni di dollari stanziati per l'Appalachian Hydrogen Hub (ARCH2). L'idrogeno (verde) rappresenta infatti una grande opportunità, in particolare per i paesi in grado di produrlo in larga scala. “Se si pensa alle molecole verdi come vettore di decarbonizzazione, si tratta essenzialmente di un modo per fornire elettricità verde a livello globale”, spiega a Materia Rinnovabile Nabil Bennouna, Principal al Rocky Mountain Institute (RMI) per il programma Climate Aligned Industries. “Ciò significa che non si è più limitati dai vincoli dei mercati di trasmissione. Trasformando l'energia in un liquido o in un carburante, è possibile fornire la decarbonizzazione come servizio, spostandola dal punto A al punto B in qualsiasi parte del mondo.”

“Anche la certezza per gli investitori è importante. In questa fase di transizione, in molti casi, le policy sono il prodotto”, continua Bennouna. “Prendiamo ad esempio l'idrogeno verde, con il cosiddetto credito d'imposta 45V [un incentivo statunitense per la produzione di idrogeno pulito, nda]. Più della metà del potenziale di guadagno deriva da un meccanismo di sostegno normativo. Quindi, in sostanza, si sta creando valore attraverso le policy, non solo attraverso il contenuto energetico. Si tratta di energia combinata con la capacità di raggiungere l'obiettivo politico a elevata integrità. Questo serve come ponte per il riconoscimento finale del pieno valore dell'attributo climatico stesso.”

Reporting di sostenibilità, efficienza anche nei dati

Oltre all’armonizzazione degli standard ESG, dal Forum annuale sugli investimenti sostenibili in Nord America è arrivata con forza anche la chiamata all’ottimizzazione. “Dobbiamo fare di più, con meno”, spiega a Materia Rinnovabile Sherry Madera, Chief Executive Officer CDP. “Troppe aziende temono che vengano richiesti troppi dati a costi troppo elevati. La rendicontazione è uno degli strumenti più potenti che abbiamo. Dobbiamo fare in modo che i dati più significativi siano divulgati solo una volta, ma utilizzati per qualsiasi scopo: meno duplicazioni, meno tempo e meno spese. Mettere i dati al servizio del massimo impatto e creare nuovi prodotti, prestiti legati alla sostenibilità, come stanno facendo Citibank, Walmart, HSBC e BBVA con i nostri dati”.

CDP, ex Carbon Disclosure Project, è un'organizzazione no-profit che gestisce un sistema di divulgazione globale per aiutare investitori, aziende e governi a gestire il loro impatto ambientale. I dati raccolti sui gas serra, l'uso delle risorse idriche, la deforestazione e la supply chain sono utilizzati da investitori istituzionali e decisori politici per sviluppare strategie di sostenibilità e investimento responsabile. “La standardizzazione è fondamentale”, conclude Madera. “CDP sostiene la convergenza intorno agli standard ISSB e TNFD in qualità di partner chiave per la divulgazione e fornisce ai richiedenti del mercato dei capitali − 700 dei quali con 142.000 miliardi di dollari di asset − un set di dati ambientali di base, denso e comparabile a livello globale. Questa convergenza rende il processo di rendicontazione più prezioso e significa che può essere utilizzato per molti usi più facilmente”.

Sherry Madera

 

Immagini: Sustainable Investment Forum