Se un titolo d’investimento − in questo caso una obbligazione − ha come nome il termine sustainability-linked, parrebbe scontato pensare che i proventi dell’emissione verranno usati per la sostenibilità. La verità, in estrema sintesi, è che grazie alle regole attualmente vigenti è possibile emettere obbligazioni denominate “sustainability-linked bond” ma che sostanzialmente non impegnano a nulla di significativo l’azienda.

Nel caso denunciato da un’inchiesta del sito di informazione VoxEurop, pubblicata contestualmente anche sul quotidiano Il Domani, si citano 4,75 miliardi di euro incassati dal gigante petrolifero Eni tra il 2021 e il 2023 attraverso la vendita ai risparmiatori (privati e istituzionali) di obbligazioni dal suono chiaramente “green”, ma i cui proventi sono stati usati per finanziare la normale attività dell’azienda, largamente concentrata nel settore dell’oil&gas, con tutti gli annessi e connessi legati all’aggravamento della crisi climatica.

Un successo amplificato da un uso disinvolto sui media di termini, appunto, quali “green bonds”. Termini che hanno sicuramente attirato una fetta di risparmiatori, che hanno immaginato che le risorse sarebbe servite almeno a riorientare verso la sostenibilità ambientale il baricentro dell’azienda diretta dall’amministratore delegato Claudio Descalzi. Ma, come già spiegato, in realtà l’emissione di questi sustainability-linked bond − così come è accaduto con quelli diffusi nello stesso arco di tempo da altre società petrolifere − non lega in nessun modo le mani alle aziende che li vendono sul mercato finanziario. Specie se si scelgono gli obiettivi in modo opportuno, ovvero facilmente raggiungibili.

Non è una storia nuova: da molti anni tante aziende che producono beni o servizi ricorrono alla tecnica definita greenwashing, ovvero verniciare di verde i propri prodotti lasciando intendere che siano rispettosi dell’ambiente o di altri criteri di sostenibilità. Ed ecco gli “ecocarburanti” fossili e altre invenzioni “rispettose dell’ambiente", "naturali", "a impatto zero". Grazie a una nuova direttiva europea del 2024, d’ora in poi questi concetti potranno essere usati soltanto se documentati da prove (anche se per molto tempo sostanzialmente non ci saranno conseguenze per i trasgressori).

Il caso Eni

Non molto diversa è la situazione nel mondo della finanza, dove peraltro le regole sono ancora più lasche, vaghe e alla fine facilmente aggirabili. Come illustra l’inchiesta di VoxEurop, anche Eni, prima azienda in Italia e tredicesima al mondo nel settore dei combustibili fossili, avrebbe utilizzato questa tecnica per raccogliere ingenti risorse sui mercati da destinare in prevalenza all’attività tradizionale nell’oil&gas, che per definizione ben poco ha a che vedere con la transizione energetica e il contrasto al cambiamento climatico che mette in pericolo il futuro del pianeta.

Il tipo di prodotto finanziario emesso dall’Eni si chiama Sustainability-Linked Bond (obbligazione legate alla sostenibilità, SLB), uno strumento di finanziamento del debito gradito alle società del settore dell’economia fossile, che, come riporta VoxEurop tra il 2021 e il 2023 su dati del London Stock Exchange Group, ne hanno emessi per ben 9 miliardi di euro. Di questi, circa 4,75 riguardano Eni, che in quel periodo ha varato quattro diverse emissioni di SLB sui mercati di paesi UU ma anche in UK e in Svizzera, con il supporto di importanti banche e istituzioni finanziarie. E, si immagina, con il via libera del Ministero dell’economia, che controlla circa il 30% dell’azionariato del Cane a sei zampe. In particolare, nel gennaio 2023 Eni ha lanciato una emissione rivolta ai piccoli risparmiatori italiani, tanto gradita da raccogliere 2 miliardi contro il miliardo preventivato, col supporto di banche come IntesaSanpaolo, Unicredit, Banca Akros, BNP Paribas, trovando ben 310.000 clienti retail sottoscrittori oltre ad altri istituzionali, attratti anche dal rendimento promesso del 4,3% lordo.

Nella comunicazione istituzionale di Eni − va da sé − non si dice nulla di irregolare. Tuttavia nella stragrande maggioranza degli articoli pubblicati sui mezzi di informazione si è parlato di “green bonds” (che sono un’altra cosa, come le obbligazioni classificate come ESG, che promuovono benefici ambientali, sociali e di governance) e non si è mai fatto cenno al fatto che l’attività prevalente di Eni di fatto aggrava la crisi climatica. Ma mentre per emettere green bonds la società deve poi impegnarsi a utilizzare le risorse per specifici progetti ambientali, nel caso dei sustainability-linked bonds è sufficiente impegnarsi a raggiungere determinati indicatori di performance (i cosiddetti KPI).

Obiettivi facili, poco impegno

Nel caso degli SLB Eni citati dall’inchiesta, nel prospetto di emissione i KPI indicati sono due: l’aumento di 5 GW della produzione di energia rinnovabile e la riduzione al 2030 delle emissioni di gas serra derivanti dalle sue attività “di Scope 1 e Scope 2” del 65% rispetto ai livelli del 2018. Obiettivi modestissimi: il primo è già quasi raggiunto. Il secondo è ancora più scontato, perché le emissioni di gas serra di Scope 1 e Scope 2 (cioè quelle direttamente o indirettamente derivanti dall’attività aziendale) sono secondo l’agenzia di rating Moody’s solo il 3% del totale delle emissioni climalteranti imputabili a Eni. Il 97% della CO₂ di cui è responsabile Eni sulla base delle regole internazionali dipende infatti dall’utilizzo dei prodotti Eni (cioè petrolio e gas) da parte dei fornitori e dei clienti. E peraltro, anche non venissero centrati, l’unica teorica conseguenza negativa è che alla scadenza del titolo Eni dovrà pagare ai sottoscrittori un tasso del 4,8% lordo.

Bisogna dire che anche il mercato delle obbligazioni ESG opera secondo linee guida volontarie stabilite dall'International Capital Market Association (ICMA), un'associazione che comprende le società che emettono le obbligazioni, le agenzie che le certificano e le banche che le immettono sul mercato per gli investitori. Insomma, autoregolato dai diretti interessati e non regolato da alcuna autorità pubblica, né nazionale né europea, ma sempre più degli SLB.

Per la sua emissione, Eni ha pubblicato un documento generale, il Sustainability-Linked Financing Framework, approvato dall’agenzia di rating Moody’s (naturalmente ha dovuto pagare per il servizio), in cui la stessa agenzia ha quantificato il target sulle emissioni definendolo però “nel complesso limitato”. Come riporta VoxEurop, inoltre, circa il 40% di questo obiettivo verrà centrato attraverso compensazioni, ovvero acquistando crediti di carbonio generati da progetti di terzi (riforestazione o energia rinnovabile).

La risposta di Eni

Abbiamo chiesto a Eni di replicare a quanto affermato nell’inchiesta di VoxEurop/Domani. In un lungo documento, che qui sintetizziamo, il colosso petrolifero pubblico ribadisce quanto indicato nella sua strategia di decarbonizzazione, che prevede di raggiungere la neutralità carbonica al 2050, “riducendo le emissioni Scope 1+2” e accelerando “la decarbonizzazione della catena del valore, con particolare riferimento ai consumatori”. Di questa strategia fa parte “la cattura e lo stoccaggio della CO₂, necessaria per abbattere fin da subito le emissioni delle attività cosiddette hard to abate (proprie e di altri complessi industriali), laddove l’elettrificazione non è praticabile”, ma anche i biocarburanti (per trasporto leggero, pesante, aereo e navale), il biometano, la chimica rinnovabile e da riciclo.

Sulle fonti rinnovabili: “Nel 2024 raggiungeremo 4 GW di capacità rinnovabile installata (a fine 2018 tale capacità era pari a 40 MW)”, che servirà anche per “l’aumento progressivo della componente di gas naturale nel proprio portafoglio produttivo Upstream. Il gas naturale, infatti, è la fonte tradizionale più idonea ad accompagnare il processo di transizione energetica, data la sua limitata impronta carbonica rispetto alle altre fonti fossili (es. carbone) e la sua flessibilità e affidabilità”. Per Eni si tratta di un percorso con i “target intermedi più sfidanti del settore Oil&Gas”, visto che “la serietà dell’impegno di Eni nella riduzione delle proprie emissioni è testimoniata dai risultati del 2023, che riportano una riduzione di oltre il 20% delle emissioni Scope 1+2+3 in soli 5 anni”.

Quanto al merito delle emissioni di SLB e all’uso dei loro proventi, “come chiaramente specificato nei nostri prospetti di emissione, i proventi degli SLB vengono utilizzati per finanziare l’ordinario fabbisogno finanziario di Eni; queste emissioni non sono collegate al finanziamento di attività o progetti specifici”. L’azienda conferma la bontà della scelta di usare Moody’s come fornitore di una “second party opinion”, attraverso un pagamento, “come avviene da prassi per le SPO realizzate per aziende e istituzioni finanziarie in molteplici ambiti di attività”.

Infine, a proposito dell’assenza di una indicazione di riduzione delle emissioni Scope 3 come obiettivi dei SLB, si afferma che “il primo target in ordine temporale stabilito da Eni nel proprio piano di decarbonizzazione sull’abbattimento delle emissioni Scope 3 è a fine 2030 (-35% delle emissioni nette Scope 1, 2 e 3 rispetto al 2018), rispetto al quale il calcolo e la certificazione delle emissioni avverranno nei primi mesi del 2031. I quattro bond Eni sustainability-linked hanno scadenza tra il 2027 e il 2030, anni in cui evidentemente non sarà possibile determinare il raggiungimento o meno dell’obiettivo Scope 3 (risultato che sarà noto solo nella prima parte del 2031). Non era quindi possibile inserire l’obiettivo Scope 3 nei bond emessi. Inoltre sulle emissioni Scope 3 siamo ancora in attesa che venga definita a livello pubblico una metodologia condivisa”.

Una questione di trasparenza e monitoraggio

Ai lettori trarre le proprie conclusioni, anche considerando che nel 2025 entrerà in vigore la nuova direttiva sulla divulgazione della sostenibilità delle imprese (CSRD), che impone obblighi sulla base di standard europei di rendicontazione della sostenibilità (ESRS), e che per quando riguarda il cambiamento climatico fa riferimento a una metodologia ben definita per calcolare le emissioni Scope 3. Va ricordato anche che nei progetti di Eni c’è l’aumento della produzione di petrolio e di gas naturale nei prossimi anni.

Certo è che il tema della necessità di una maggiore chiarezza su come vengono venduti i prodotti finanziari è davvero urgente. Per fortuna a dicembre 2024 entrerà in vigore un nuovo regolamento UE sui green bond, che stabilisce che “per poter utilizzare la denominazione di European green bond o EuGB, gli emittenti devono investire i proventi di queste obbligazioni per intero, prima che l'obbligazione raggiunga la scadenza, in attività economiche sostenibili coperte dalla normativa dell'Unione Europea (UE) sulla tassonomia”.

Come afferma Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la finanza sostenibile, “è fondamentale ricordare che green bond e SLB sono due strumenti diversi, con standard di trasparenza differenti. I green bond sono supportati da un quadro di valutazione e certificazione che garantisce la trasparenza e l'effettiva destinazione dei fondi a specifici progetti sostenibili. Gli SLB hanno finalità e struttura tecnica differente: essi, infatti, sono strumenti più flessibili, utilizzati per finanziare in generale il bilancio dell'emittente che lega il pagamento dell’obbligazione al raggiungimento di target di sostenibilità”.

Per questo, dice Bicciato, “è importante che i casi di SLB che non sono legati a obiettivi di sostenibilità ambiziosi non vadano a minare la fiducia verso i green bond”. E di certo “l’entrata in vigore del regolamento che introduce in Europa il Green Bond Standard contribuirà ulteriormente a rafforzare il ruolo di questi strumenti nel finanziamento della transizione, garantendo al contempo maggiore trasparenza per gli investitori”. Infine, conclude il direttore del FFS, bisogna che gli investitori istituzionali si impegnino di più “nel monitorare i percorsi di sostenibilità delle aziende emittenti e verificare il raggiungimento degli obiettivi fissati”. Una strategia fondamentale per stimolare le aziende a impegnarsi in modo serio per la transizione.

 

In copertina: Claudio Descalzi, © Eni via Flickr