Nel 2016 l’Italia è diventata il primo paese, dopo gli Stati Uniti, a introdurre nella propria legislazione la possibilità per le aziende di adottare la qualifica di “società benefit”, uno status giuridico adottato da imprese che oltre a distribuire gli utili perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, ambiente e stakeholder, impegnandosi a valutare in maniera trasparente il proprio impatto.

Il bilancio del 2024 illustrato ieri, giovedì 20 febbraio, a Roma in una ricerca condotta da NATIVA, il Research Department di Intesa Sanpaolo, InfoCamere, l’Università di Padova, la Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit, rivela un quadro particolarmente interessante. Intanto, perché con 4.593 aziende registrate alla fine del 2024 (+27% rispetto all'anno precedente) il movimento delle società benefit sta rapidamente guadagnando terreno nel tessuto economico italiano, generando un valore della produzione di circa 62 miliardi di euro e dando anche lavoro a oltre 217.000 persone.

Insomma, questo modello sembra rappresentare molto più di una tendenza passeggera. La fotografia del periodo oggetto della ricerca (2021-2023) sottolinea come queste aziende si confermino più dinamiche rispetto alle non-benefit simili per dimensione e specializzazione. La crescita del fatturato delle società benefit risulta superiore, con un incremento cumulato in termini mediani del 26% e un divario netto rispetto al campione di confronto delle non-benefit, in cui la crescita si attesta invece al +15,4%. Inoltre, le società benefit sono caratterizzate da un maggior grado di investimenti su importanti leve strategiche come innovazione, internazionalizzazione, attenzione alla sostenibilità e investimento in energia rinnovabile.

Anche il sostegno all’occupazione risulta maggiore rispetto alle non-benefit, con il 62% di società benefit che ha incrementato il numero di addetti rispetto al campione di confronto che si ferma al 43%. Particolarmente significativo è l'impegno verso il capitale umano: il 62% delle benefit ha aumentato il proprio organico, contro il 43% delle imprese tradizionali. Non solo più assunzioni, ma anche maggiore attenzione alla qualità del lavoro, con un aumento del costo del lavoro del 25,9%, quasi doppio rispetto al 12,5% delle non-benefit, segno tangibile di un maggior investimento nelle persone.

Le società benefit si distinguono anche per una governance più inclusiva e innovativa. Il 48% di queste imprese vanta almeno una presenza femminile nei consigli di amministrazione, percentuale che sale al 62% nelle grandi imprese, superando significativamente le aziende tradizionali. La presenza di giovani under 40 nei board raggiunge il 27,9%, con punte del 30,4% nel Mezzogiorno, portando risultati tangibili: le società benefit guidate da giovani hanno registrato una crescita del fatturato del 30,6%, nettamente superiore al 23,5% delle imprese con board composti da over 65 e mostrano una maggiore propensione ad assumere (+20% vs +11%) e a riconoscere aumenti salariali più elevati (+34,5% vs + 23,2%), valorizzando il capitale umano e rafforzando la propria competitività.

L’analisi della distribuzione regionale mostra una concentrazione più elevata nel nord, in particolare in Lombardia (1.500 aziende). L’alta incidenza nel territorio lombardo (2,74% sul totale delle imprese) è in parte dovuta alla forte presenza di grandi aziende che trainano il fenomeno. Tuttavia, l’ampia diffusione in tutte le classi dimensionali suggerisce una propensione culturale più forte all’innovazione e all’adozione di questo modello. Seguono il Lazio (509), il Veneto (470) e l’Emilia-Romagna (402). Per quanto riguarda invece le province con la maggior incidenza di benefit sul totale, il podio è formato da Milano (3,95%), Trieste (3,35%) e Trento (3,26%).

 

In copertina: immagine Envato