Senza una sterzata decisa verso la mobilità elettrica, l’industria dell’auto Made in Italy rischia di fare poca strada. Entro il 2030, il valore della produzione del comparto potrebbe ridursi fino al 58%, contraendosi di circa 7,5 miliardi di dollari. A stimare il "costo dell'inazione" − cioè l’assenza di un piano di politiche industriali e incentivi economici coerenti con gli obiettivi climatici − è uno studio realizzato da un gruppo di economisti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Centro ricerche Enrico Fermi di Roma, su incarico del think tank ECCO e dell’organizzazione Transport & Environment (T&E).

“La crisi dell’industria dell’auto in Italia ha radici lontane e, contrariamente a quanto spesso si vuol far credere, parte da molto prima dell’avvento dell’auto elettrica. Che invece rappresenta la frontiera verso la quale si muove l’industria globale, il presente e il futuro della mobilità privata”, ha detto Andrea Boraschi, direttore di T&E Italia.

Quali scenari per l’automotive italiano?

Secondo gli esperti, senza una chiara strategia di elettrificazione e senza politiche di innovazione, la produzione di auto italiana è destinata a diminuire, provocando nei prossimi anni una perdita crescente di posti di lavoro lungo tutta la filiera, con conseguenze dirette sul potere d’acquisto e favorendo l’innesco di un ciclo economico regressivo. A seconda del grado di intervento pubblico per il sostegno al reddito, lo studio di T&E ed Ecco, pubblicato il 7 aprile, esplora tre diversi casi.

Nello scenario più prudenziale (Low intervention), che presuppone una maggiore capacità di riassorbire i lavoratori in altri settori, si stima una perdita di produzione di 7,24 miliardi di dollari e una contrazione dei consumi di automobili pari a 4,42 miliardi di dollari (-56% rispetto al 2020), a fronte però di oltre 66.000 posti di lavoro in meno, di cui il 37% diretti e il 63% lungo la filiera, con costi per la cassa integrazione di 510 milioni di dollari.

All’opposto, nello scenario peggiore (High intervention), cioè con maggiori difficoltà a riassorbire gli esuberi, il crollo della produzione e dei consumi potrebbe spingersi fino al 58% rispetto ai livelli del 2020, con perdite rispettivamente di 7,49 e 4,66 miliardi di dollari. Un’eventualità che causerebbe una perdita di posti di lavoro di 30.000 diretti (-77,6% rispetto al 2020) e oltre 64.000 indiretti.

In questo scenario il costo della cassa integrazione schizzerebbe addirittura a 2 miliardi di dollari. Una pressione sulle finanze pubbliche quattro volte superiore rispetto alle stime prudenziali e, comunque, doppia rispetto alla spesa complessiva (che include anche altri settori, non solo l’automotive) per le misure di welfare destinate all’assistenza ai disoccupati nel 2022, che ammontava a un miliardo di euro.

“Le conseguenze socioeconomiche dei ritardi nella transizione del settore automotive in Italia sono evidenti già oggi”, spiega Massimiliano Bienati, Responsabile delle politiche dei Trasporti di ECCO. “Nella trasformazione del mercato globale dell’auto, il dibattito politico e pubblico dovrebbe uscire dal paradigma della neutralità tecnologica e sviluppare un piano industriale di rilancio del comparto fondato sull’innovazione e la ricerca verso l’elettrico.”

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Le raccomandazioni, tra incentivi alla domanda e premialità

“Politiche e misure dovranno essere coerenti e allineate con gli obiettivi di decarbonizzazione europei e del piano di rilancio competitivo del settore”, continua Bienati. “Incentivare la domanda e stimolare investimenti nell’innovazione di prodotto e di processo per produzioni di veicoli elettrici e componenti Made in Italy deve diventare una priorità nazionale.”

Gli incentivi, focalizzati esclusivamente sulle tecnologie a zero emissioni, dovrebbero essere accompagnati da meccanismi di premialità, come l'Ecoscore, che favoriscano la produzione nazionale di veicoli a ridotto impatto ambientale.

Inoltre, la sperimentazione di soluzioni di social leasing sarebbe fondamentale per rendere più accessibile l'adozione di veicoli elettrici, soprattutto per le fasce di popolazione in difficoltà economica.

Per supportare questa transizione, l'infrastruttura di ricarica, sia pubblica che privata, sarà centrale, con un’attenzione particolare alla revisione della fiscalità dell’energia e all’introduzione di crediti per l’elettricità rinnovabile destinata ai trasporti.

Cosa fare per la produzione?

Sul fronte della produzione, avvisano ECCO e T&E, è essenziale adottare politiche che stimolino gli investimenti, soprattutto nello sviluppo di filiere industriali strategiche come quella delle batterie, dalla produzione delle celle al riciclo dei materiali, per ridurre la dipendenza da fornitori esteri.

“Resistere alla transizione è una strategia perdente”, conclude Boraschi. “L’Italia deve garantire un quadro regolatorio e fiscale stabile che favorisca l’elettrificazione, e dare sostegno mirato all’industria per lo sviluppo di tutte le tecnologie strategiche lungo la filiera, premiando direttamente la produzione come stanno facendo, con successo, negli USA.”

Per migliorare la competitività e colmare il divario di costi energetici rispetto ad altri paesi, inoltre, servirebbe una strategia di decoupling tra i prezzi del gas e delle energie rinnovabili, garantendo così maggiore stabilità per le aziende.

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