Decrescita, decrescita “felice”, post-crescita. Nel dibattito su uno sviluppo più equo e sostenibile, questi termini ricorrono spesso come un mantra. Ma è davvero in queste idee la chiave per combattere le crisi ambientali in corso? Lo scenario di un’Europa e un’Italia senza crescita sarebbe così positivo come molti immaginano? E se, invece di rallentare l’economia globale come suggerisce la decrescita, riformassimo il capitalismo per trasformarlo in una “forza positiva” per il bene comune? È questa la teoria dietro il concetto di Green Growth, la cosiddetta crescita verde.
A distanza di un anno, Materia Rinnovabile ne ha parlato nuovamente con Alessio Terzi, economista alla Direzione generale per gli affari economici e finanziari della Commissione europea (dove ha contribuito alla strategia economica associata al Green Deal) e docente all’Università di Cambridge e a Sciences Po di Parigi, per discutere del suo libro La crescita verde. Il futuro dell'economia nell'era del cambiamento climatico da poco pubblicato da Edizioni Ambiente. Edizione italiana di Growth for Good: Reshaping Capitalism to Save Humanity from Climate Catastrophe, fra i Best Book of the Year 2022 di Foreign Affairs: un libro che offre un punto di vista inedito sul futuro dell’economia globale e che mette in discussione alcuni pilastri della critica ambientale al capitalismo.
Nella prima parte del tuo libro parli di “distopia post-crescita”, quando molti potrebbero riferirsi a teorie come quella della decrescita come a qualcosa di utopico, piuttosto che distopico. Quali sarebbero le conseguenze negative di un mondo che rinuncia alla crescita economica? Quali settori o aspetti della società potrebbero essere più colpiti?
Indubbiamente il punto di partenza per molti è la realizzazione che ci sono degli eccessi nel sistema economico corrente, come possono essere i mega yacht dei miliardari, accompagnati da profondi problemi ambientali come sono l’inquinamento dell’aria o le emissioni di gas serra. La reazione più immediata e diretta è quella di sognare proibizioni e abolizioni, in modo da tornare a una vita più ancorata alle cose vere, e alla natura. Ma per porre un freno alla crescita economica si dovrebbe abolire il capitalismo e nel fare ciò si tornerebbe ai problemi vissuti nell’Unione Sovietica: enormi inefficienze, povertà relativa, mancanza di innovazione e un freno alle libertà personali. Nessuna di queste cose era la vocazione del Manifesto di Karl Marx, eppure l’URSS è scivolata in questa direzione perché il capitalismo cerca di assecondare alcune pulsioni umane, mentre l’(eco)socialismo si appoggia sull’illusione che il genere umano non attenda altro che essere liberato dagli eccessi imposti dal capitalismo. Come dice il proverbio, “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Un intero capitolo suona il campanello d’allarme di un’Italia senza crescita. Dopo tre decenni di crescita irrisoria del PIL, potrebbe il nostro paese essere un esempio positivo per i sostenitori della decrescita? Perché non è così?
L’Italia è un pessimo esempio per i fautori della decrescita perché abbiamo toccato con mano cosa vuol dire restare al palo quando gli altri paesi procedono: povertà relativa. Questo implica emigrazione di milioni di persone, in cerca di opportunità altrove. Comporta meno risorse per investimenti e innovazione. Comporta lo scontro per le risorse rimaste, con un aumento di tensione tra gruppi (Nord vs Sud, giovani vs anziani ecc). Comporta un generale senso di sconforto e perdita di speranza verso il futuro.
Perché la redistribuzione, azione chiave per la cosiddetta “decrescita felice”, non può sostituirsi alla crescita? In che modo, parafrasando dal tuo libro, inasprirebbe le tensioni sociali?
Se ci pensiamo, abbiamo vissuto fino ad ora in un periodo incredibile della storia umana, dove la ridistribuzione avviene in maniera volontaria. Alla fine dell’anno, chi più chi meno decide di acconsentire a versare fino al 50% dei propri introiti allo stato. È utile realizzare che fino all’Ottocento lo stato era minuscolo (ovunque nel mondo) e la pressione fiscale non sorpassava il 5%. Se c’era “redistribuzione” della ricchezza, questo avveniva perché i ricchi e potenti obbligavano i poveri e deboli a versare loro parte del proprio raccolto, come durante il feudalesimo. Nel libro mi unisco a un coro di storici economici ed esperti di disuguaglianze, come Branko Milanovic, che sostengono che questa trasformazione sia stata resa possibile dall’accelerazione della crescita economica. Per arricchirsi non è necessario drenare risorse da quelli con meno potere di me, ma posso invece investire nel migliorare processi produttivi, aumentare l’efficienza e innovare. In altre parole, se dovessimo tornare a una condizione di zero crescita, che poi era lo scenario in Europa durante buona parte del Medioevo, si rischierebbe di tornare a forti tensioni tra gruppi della società e una discesa verso la legge del più forte.
È dell’anno scorso la notizia che 6 su 9 limiti planetari sono stati superati. Concretamente, in che modo un sistema economico che promuove la crescita può diventare uno strumento – “una forza positiva” – utile per il contrasto della crisi climatica e di altre problematiche ambientali? Su quali strategie può fare leva, oltre che su quella dell’innovazione tecnologica e digitale?
Fa proprio leva sull’innovazione, non necessariamente digitale. Il motivo per cui dico questo è che il modo in cui rientreremo all’interno dei limiti planetari è “facendo di più”, non “di meno”. Faccio un esempio. Il modo in cui ridurremo il tasso di azoto nei mari non è tornando a produrre la quantità di cibo che producevamo nel 1850 [prima che venisse inventato il processo Haber Bosch di cattura dell’azoto per i fertilizzanti, ndr], ma piuttosto inventando nuovi modi per continuare a produrre cibo in maniera diversa. Questo può voler dire efficientamento, con agricoltura di precisione, invece che usare fertilizzanti a pioggia. Può voler dire innovazione, per esempio usando nuovi batteri capaci di fissare l’azoto in loco. E al limite potrebbe voler dire trovare modi per catturare l’azoto nei mari e ridurne la concentrazione. Efficientamento (fare di più con meno) e innovazione (creare qualcosa di desiderato, e precedentemente impossibile) sono i due ingredienti fondamentali della crescita.
Per i lettori e le lettrici di Materia Rinnovabile che non hanno ancora letto il tuo libro, ti rivolgo la stessa domanda con cui apri il paragrafo intitolato L’epic fail di dimensioni planetarie. Sinteticamente, se il capitalismo è una macchina innovativa tanto potente, perché finora non abbiamo visto progressi nell’agenda verde, o comunque ne abbiamo visti troppo pochi, dato il disastro del cambiamento climatico e del degrado ambientale in corso?
Il capitalismo ha tanti demeriti, tra cui una tendenza naturale all’accumulo della ricchezza. Ma ha un pregio, e cioè che è un macchinario efficiente nel generare innovazione. Ora, questa innovazione però va in tutte le direzioni, spesso creando cose che considereremmo un po’ inutili o comunque non utili in ottica climatico-ambientale, se ci limitiamo a questa dimensione. Quello che è necessario quindi è orientare il capitalismo e allinearlo coi bisogni della società. Per fare questo saranno necessarie varie politiche pubbliche, che possono includere il classico rimedio perorato dagli economisti da anni, e cioè l’introduzione di un prezzo sulle emissioni di carbonio, ma anche altre misure, come investimenti pubblici in innovazione, politiche industriali verdi e anche l’uso occasionale di regolamenti e proibizioni (penso per esempio al divieto per la plastica monouso).
Hai ribadito più volte che abbiamo ormai perso il treno del digitale, ma siamo ancora in tempo per quello della crescita verde. Come dovrebbe muoversi strategicamente l’Italia per inseguire questo trend adesso? Quali politiche pubbliche e iniziative private potrebbero essere implementate?
Ai governi, quello che dico è: non pensate per un attimo che ostacolare il cambiamento fermerà la trasformazione in corso. Il rischio sarà solo quello di rendere l’Italia molto presto ancorata al passato, a metodi di produzione e prodotti visti come desueti e di valore ridotto. Quello che invece è importante è accompagnare il cambiamento, perché le sfide sono molteplici e implicano accompagnare i lavoratori nella transizione, aiutare le imprese che non hanno accesso a capitali per gli investimenti, investire nelle infrastrutture. Il mondo si sta muovendo e il senso di marcia è stato tracciato. La scelta ora è se essere leader o arrivare inesorabilmente tardi e perdere le occasioni economiche associate.
Alla luce dei risultati delle elezioni europee da poco concluse, quali prospettive ci sono – in Italia e in Europa – per l’attuazione di politiche economiche di crescita che aiutino a contrastare le crisi ambientali che stiamo vivendo?
Le elezioni europee hanno portato a una riduzione dei posti in parlamento per i partiti dei verdi, e un aumento di quello delle destre. Nonostante ciò, si sta profilando sempre più uno scenario di continuità in termini di maggioranza di governo per la Commissione UE. Ciò detto, è probabile che le politiche green riceveranno meno attenzione in questa legislatura. Questo è meno grave di quanto potrebbe sembrare in prima istanza: la maggior parte del Green Deal è legge. Ora la questione è l’implementazione. L’importante è non fare passi indietro rispetto a quanto già deciso. Vediamo cosa succede con il divieto per la vendita di auto a combustione interna dal 2035.
Cosa rispondi a chi sostiene che la Green Growth sia utilizzata per mascherare col “green” le dinamiche tradizionali di un sistema economico che punta esclusivamente alla crescita, e che una buona maggioranza vuole tenere in vita nonostante tutto?
Esattamente questo: che una buona maggioranza vuole tenere in vita questo sistema economico. Aspettare la rivoluzione è come l’attesa ne Il Deserto dei Tartari. Meglio iniziare a rimboccarsi le maniche e fare quello che è possibile ora e con il sistema economico corrente. La sfida è enorme, e quindi le opportunità di contribuire a questo obiettivo sono illimitate, qualsiasi sia la professione: ingegnere, designer, economista, imprenditore, consumatore, scienziato, artista e molto altro ancora.
Immagine di copertina: Alessio Terzi