Forse non lo sapete, ma la gente ha paura di tutto. Ha paura (e forse ha qualche ragione, visti i precedenti storici) delle centrali nucleari e dei depositi radioattivi; delle centrali a carbone e delle fabbriche chimiche. Ma ha anche paura degli impianti di produzione di biogas, delle turbine eoliche, dei campi di pannelli fotovoltaici. E, da qualche tempo a questa parte, ha paura anche delle batterie dei sistemi di accumulo energetico.

Da Nord a Sud dello Stivale, paesi grandi e borgate agricole sono sul piede di guerra, con tanto di manifestazioni, riunioni pubbliche affollate e agitate, petizioni e comitati. Vedono questi sistemi come potenziali bombe a orologeria pronte a esplodere da un momento all’altro, come strutture che distruggono il paesaggio e il territorio.

E ogni notte tutti questi innocenti, bravissimi, generosi e disinformati cittadini terrorizzati dalle batterie dormono accanto a una batteria al litio attaccata alla rete elettrica: quella del loro smartphone. E magari lo tengono pure sotto il cuscino!

È vero che sono passati gli anni dell’ottimismo tecnologico, quando ogni innovazione era accolta con entusiasmo positivista. In effetti, quella cultura ci ha consegnato un mondo con tanti problemi difficili da gestire, a cominciare da quello dell’inquinamento e del collasso climatico.

È vero pure però che bisognerebbe − per usare una frase fatta ma che ben si adatta al caso − non fare di tutt’un’erba un fascio: alcune innovazioni hanno pericoli, criticità, problemi da gestire, altre sono del tutto innocue.

Le batterie sono pericolose?

Sappiamo tutti che l’energia rinnovabile è il futuro, e che le batterie di accumulo (tecnicamente BESS, Battery Energy Storage System) ne sono un pilastro fondamentale. Perché servono a immagazzinare l’energia prodotta dal sole o dal vento di giorno, per utilizzarla quando ce n’è bisogno, magari di notte, o “coprire” eventuali blackout o interruzioni di rete. Sono una chiave di volta per un sistema più sostenibile e meno inquinante.

E poi le batterie dei sistemi di accumulo di rete non sono né pericolose né invasive. Dentro i sistemi BESS, in genere una serie di scatoloni di metallo tipo container, ci sono solo tante batterie al litio collegate, simili a quelle dei cellulari e delle auto. Non sono proprio identiche, perché invece delle “solite” si usano quelle, più avanzate, al litio-ferro-fosfato, le LFP.

Sono progettate con mille sistemi di sicurezza, hanno certificazioni rigorose e il loro utilizzo non è più rischioso di quello di qualsiasi altro dispositivo elettrico presente nelle nostre case. Il frigorifero, il computer, persino la televisione: tutto ciò che è connesso alla corrente ha una batteria o un sistema di alimentazione che, se maltrattato, potrebbe creare problemi.

E, appunto, in ogni istante della nostra vita un telefonino o un auricolare o lo spazzolino elettrico funzionano con batterie (spesso attaccate alla corrente) di qualità molto inferiore, e con sicurezze molto inferiori a quelle dei sistemi BESS.

Le batterie bruciano solo in casi rarissimi (come il mega incendio di Los Angeles) e sicuramente fanno rumore, dovuto al funzionamento di vari componenti come inverter, trasformatori e sistemi di raffreddamento.

Certo, vanno messe lontano da zone abitate. Dal punto di vista visivo, bisogna fare un buon lavoro di mascheramento sfruttando il terreno e piantando alberi. Ma quando le persone hanno paura (o quando gliela incutono…) parte il panico. Il ronzio diventa una vibrazione che fa impazzire, con tanto di “onde elettromagnetiche” cancerogene; si temono incendi ed esplosioni; il paesaggio diventa orribile; i terreni agricoli saranno inquinati; le case verranno svalutate.

Le proteste del “movimento NO BATT”

Ecco qualche esempio di proteste NO BATT delle ultime settimane, che poi diventano terreno di scontri politici tra maggioranze e opposizione locali. Quasi sempre in modo strumentale, nel senso che la sinistra contesta il sindaco di destra perché non fa abbastanza contro le batterie, e la destra fa lo stesso quando il sindaco è di sinistra.

A Ostiglia, vicino Mantova, l’installazione di un impianto con oltre 300 batterie-container da 250 MW è stata autorizzata. Questo ha provocato la reazione di un comitato cittadino per l’ambiente. Una nota del comitato contesta “la necessità di raffreddare con ventole rumorose le batterie per cercare di evitare l’incendio o lo scoppio. Si va incontro a un inquinamento acustico ed elettromagnetico da capogiro con tutte le gravi conseguenze per la salute”. Angoscia che invece non scatta di fronte al fatto che sempre a Ostiglia dagli anni Sessanta c’è una centrale termoelettrica, prima funzionante a olio combustibile e ora a gas metano.

Anche a Durazzanino, nel comune di Forlì, il posizionamento di un impianto BESS è stato contestato. I residenti temono l’inquinamento elettromagnetico, il rumore continuo e il rischio incendi. Eppure la struttura non supererà i 3 metri di altezza, nascosta da filari di alberi alti 6 metri e con barriere acustiche alte 5 metri e mezzo previste su due lati. In tutto la superficie occupata è di 3 ettari, ed è adiacente a un impianto della rete elettrica di Terna.

Un progetto per un sistema BESS al confine con Nizza ha suscitato la mobilitazione della comunità locale a Incisa, in provincia di Asti. La mobilitazione è stata spinta da alcuni produttori di vino, che hanno avviato una raccolta firme per opporsi alla “speculazione” e ai “rischi di esplosione” e al “campo elettromagnetico”. Il comitato locale dice che l’impianto BESS “distrugge il paesaggio e non porta nessun beneficio per il territorio”. Eppure il terreno interessato, circa 9.000 metri quadrati, è area industriale.

A Fauglia, nelle colline dietro Pisa, la notizia del via libera a un primo impianto da 50 MW ha scatenato una forte opposizione. I cittadini, guidati dal comitato di protesta, hanno evidenziato problemi di sicurezza e il rischio di incendio, oltre a criticare l’impatto paesaggistico causato dal “mostro delle colline”, i container delle batterie. “Va bene la transizione ecologica, va bene la decarbonizzazione da realizzare nel più breve tempo possibile, ma non si capisce perché questa e altri tipi di realtà come queste”, dice il Comitato, “non possano essere realizzati in zone già compromesse dal punto di vista paesaggistico e ambientale.”

Ovviamente bisogna trovare collocazioni giuste per i sistemi di batterie. A Fano (Pesaro-Urbino), il comune dice no all’impianto di accumulo energetico da 175 MW che dovrebbe sorgere a Torno, non lontano dalla centrale elettrica di Carrara, che pare location pregiata. A Modena, il consiglio comunale ha bocciato le richieste di due impianti “a ridosso di edifici residenziali e attività di attrattività turistica”. E come sappiamo c’è un problema di condivisione e di iter delle richieste di autorizzazione.

Ma cosa si può fare per cercare di ripristinare equilibrio e buonsenso? Come smontare la narrativa tossica che oggi ci presenta il conto? Con comunicazione e divulgazione di qualità, con informazione coinvolgente delle persone sul territorio. Anche a questo serve il buon giornalismo.

 

In copertina: Salam Habash, Unsplash