Paola Bolaffio è una persona – mi scuserete ma mi è impossibile parlarne al passato, anche se non è più con noi dal 22 luglio 2024 – che definire “soltanto” solare è riduttivo. Paola è una giornalista, un’ambientalista, una persona che mette la passione in tutto ciò che fa, ma, soprattutto, possiede la passione verso il futuro.

Con questa passione nel 2006 ha creato giornalisti Nell’erba (gNe), iniziativa che ha unito per la prima volta in Italia l’informazione ambientale (della quale all’epoca tutti noi sapevamo poco o nulla) e l’educazione sull’ambiente, che in quegli anni non aveva, in Italia, un’identità precisa. Paola ibridò le due tematiche, applicando all’informazione il rigore e la schiena dritta – due qualità che l’hanno sempre contraddistinta – e il senso del futuro, altra sua grande caratteristica, all’educazione italiana, paludata, nozionistica e di gentiliana memoria (allora come oggi), violandone le regole. Il risultato è stata un’iniziativa che ha unito innovazione, freschezza e gioia.

Sì, gioia, perché Paola è felice quando la vedi parlare con i ragazzi e i suoi interlocutori più grandi e poi ti aggancia con quel suo sguardo denso di significati, diretto ed esaustivo. Lo sguardo d’intesa e di complicità che solo i migliori cronisti sanno usare. Ottenere il suo sguardo complice per chi le è amico/a è il massimo della relazione. E me lo ricordo bene quel suo sguardo complice quando mettemmo a punto l’intervista, rubata e non prevista per l’intervistato, come nella migliore tradizione dei cronisti, dal giornalista di gNe Eric Barbizzi, che all’epoca aveva dieci anni, a Carlo Calenda, allora Ministro dello Sviluppo Economico, sulle clausole capestro del TTIP. Fu un lavoro di squadra.

L’idea ci venne durante una telefonata, dopo che Eric aveva messo in difficoltà me durante la Giornata annuale di giornalisti Nell’erba, nella quale mettemmo a punto l’attacco. Accreditai come QualEnergia Eric e quando mi contestarono al desk d’ingresso la minore età, Paola, che lo aveva previsto, disse: “Nessun problema, il nostro giornalista è accompagnato, come nella migliore delle tradizioni italiane, dalla mamma. Non dal papà”. Ci guardammo e scattò lo sguardo complice di Paola.

Successivamente parlammo con la portavoce del ministro Calenda che ci trattò con aria di sufficienza, come a dire “sì carina l’intervista di un bambino, facciamola!”. E venne il turno del ministro che si avvicinò a Eric con altrettanta sufficienza, con quel sorrisetto tipico di chi incontra un bambino considerandolo inferiore. Fu un piacere vedere il ministro messo in difficoltà da Eric, ed era un piacere vedere lo sguardo di Paola oscillare tra la soddisfazione e la sfida. Uno di quegli sguardi che non ti dimentichi. E il parlare di Paola è fatto anche di sguardi che filtrano da quella enorme massa di capelli biondi che ho sempre immaginato essere una rappresentazione della sua mente: complessa, solare, intricata ma tesa alla semplicità.

Passione e sfida: il giornalismo ambientale secondo Paola

Del resto Paola la provocazione, positiva e mai fine a sé stessa, l’ha nel sangue. Come quella volta che mi chiamò e senza mezze parole al telefono mi disse: “Ferraris: ma se ti dicessi che la plastica è più sostenibile dell’acciaio tu cosa diresti?”. Io risposi: “Ma dai! è una balla”. E lei mi lanciò un amo: “Ti mando i dati”. Aveva ragione: l’uso della plastica, con annesso riciclo, per i fusti della birra alla spina, era molto più sostenibile dei fusti d’acciaio. E quando qualche giorno dopo le telefonai dicendole che aveva ragione, lei replicò: “Sei uno dei pochi giornalisti ambientali che non ragiona per partito preso, Ferraris. Hai vinto una birra assieme”. Detto da lei, uno dei migliori complimenti che abbia mai ricevuto.

Perché Paola è così: diretta e netta. E anche per questo motivo non è mai stata un’invitata ai consessi di gala più blasonati del giornalismo ambientale, e lei lo sa, ma non se ne n’è mai occupata più di tanto, della sufficienza e dello sguardo dall’alto con i quali è stata “giudicata” da alcuni colleghi. A Paola queste piccolezze non interessano, sa che la partita dell’informazione ambientale del futuro – essenziale per il futuro – si gioca sui giovani che saranno giornalisti nei prossimi anni. Ed è questo che conta. Come per Paola conta il fatto di farcela.

Quando le telefonai un paio d’anni fa chiedendole di partecipare come autrice di un capitolo del libro Prime. Dieci scienziate per l’ambiente, mi rispose che non sapeva se ce l’avrebbe fatta a scrivere il testo. E alla mia replica circa il fatto che dopotutto erano “solo” 30.000 battute, lei rispose: “Ferraris, fossero anche solo 2.000 battute, io ci metto lo stesso impegno di 200.000”. Colpito. Ma io volevo Paola nel progetto e allora le dissi: “Se serve ti do una mano”. “Vediamo”, mi rispose, e pochi giorni dopo mi disse: “Ok lo faccio, è un bel progetto”. Quanto alla mia offerta di aiuto, rispose ancora una volta: “Vediamo”. Non parlammo più del progetto fino a quando non arrivò il suo testo, sulla pioniera dell’energia solare Mária Telkes. Intrigante, perfetto e appassionato. E al telefono mi disse: “Forse non è un granché, ma ci sono riuscita da sola”. Ho immaginato che dicendomelo avesse quel suo sguardo intrigante di sfida e soddisfazione. E sicuramente lo aveva, quel suo sguardo complice, con il suo pizzico di sfida.

Ora che Paola se n’è andata, il 22 luglio 2024, esattamente il giorno del record di temperatura media a livello globale mai riscontrata (17,15 °C), è compito nostro proseguire la sua azione. Usando la memoria di ciò che ha realizzato, ma soprattutto mettendo gioia nella lotta per il clima. Perché questo è ciò che Paola ha prima sperimentato con successo e poi insegnato a noi. La lotta per il futuro, a cominciare da quella climatica, può essere vinta solo coniugando rigore, giustizia e gioia.

 

Nella foto di copertina: Paola Bolaffio