“La donna è stata bloccata per secoli. Quando ha accesso alla cultura è come un'affamata. E il cibo è molto più utile a chi è affamato rispetto a chi è già saturo.” La frase è di Rita Levi Montalcini, e a distanza di anni è ancora perfetta per descrivere il rapporto che le donne hanno avuto (e che in alcune parti del mondo continuano ad avere) con il sapere scientifico. Una frase che racchiude il segreto del successo di ciascuna delle donne protagoniste del libro Prime. Dieci scienziate per l’ambiente curato da Mirella Orsi e Sergio Ferraris, edito questo autunno da Codice Edizioni.

Prime racconta le storie di dieci donne fra naturaliste, botaniche, biologhe, biofisiche e altre scienziate innovative che hanno fatto la storia delle scienze ambientali con le loro ricerche e scoperte. Studiose che, con perseveranza e una dose di coraggio non indifferente per la loro epoca, hanno operato dietro le quinte di un mondo accademico al maschile, lasciando un segno indelebile ma nascosto. Perché, se anche certe scoperte sono oggi note a tutti, i nomi e le storie di chi le ha fatte rimangono ancora sconosciuti.

Ecco allora un libro che accende i riflettori sulle zone d’ombra della cronaca delle scienze ambientali, sulle intuizioni e sui meriti dimenticati. E che invita a riflettere su quanto ancora dobbiamo fare per colmare il gender gap nelle STEM.

History and Herstory: mind the gender gap

Inciampare in quel gap è facile e sempre più pericoloso. Per questo, come si legge nelle note dei curatori all’inizio del testo, Prime ha cinque autrici e cinque autori, una curatrice e un curatore. Non tanto per tenere l’ago di un’ipotetica quanto inutile bilancia al centro, quanto per mandare un messaggio simbolico: stiamo raccontando una storia che non è né al maschile, né al femminile. Una storia che non ha genere perché, dopo secoli di squilibrio, è finalmente di tutti. Sulla scia di quel dibattito che in inglese prende il nome di History contro Herstory, e che si risolve nella definizione del concetto di Ourstory.

Accanto a Orsi e Ferraris, ci sono quindi i nomi di Paola Bolaffio, Giorgia Burzachechi, Simona Falasca, Ivan Manzo, Matteo Martini, Davide Mazzocco, Giorgia Marino e Gabriele Vallarino. Dieci professioniste e professionisti dell’informazione ambientale per mettere nero su bianco le storie di Dian Fossey, Eunice Newton Foote, Mária Telkes, Jeanne Baret, Laura Conti, Sylvia Earle, Dana Meadows, Rachel Carson, Maria Sibylla Merian e Jane Goodall.

Dieci storie che sono un punto di partenza perché, come scrivono gli autori, “non si può neanche immaginare quante scienziate restano ancora nascoste in attesa di essere scoperte”.

Dieci scienziate, dieci storie

La ourstory di Prime è una collezione di ritratti biografici. Scienziate che si sono distinte nel campo della climatologia, della primatologia e dell’ecologia tracciando la strada per diventare le prime, nonostante gli ostacoli e tutte le limitazioni imposte loro in quanto donne. Dall’epoca moderna fino a quella contemporanea, ogni capitolo ricostruisce e racconta una vita diversa, portandoci in secoli, Paesi e contesti culturali lontani fra loro.

Si scava indietro nel tempo fino alla Germania del Seicento, dove una giovanissima Maria Sibylla Merian si approccia all’entomologia e allo studio della natura con un metodo d’avanguardia basato sull’osservazione. Un lavoro pioneristico che darà forma a due concetti rivoluzionari: quello ancora sconosciuto e misterioso della metamorfosi, e l’idea di un’analisi scientifica che solo secoli dopo verrà chiamata “ecologia”.

Jacob Marrel, Public domain, via Wikimedia Commons

 

Dalle “origini dell’ecologia” si va poi avanti nel Settecento con la botanica Jeanne Baret, figura affascinante che, pur di prendere parte a una spedizione scientifica intorno al mondo, si travestì da uomo. Prima donna di fatto a circumnavigare il globo, Baret contribuì in modo significativo alla scoperta della pianta che oggi conosciamo come buganvillea e di altre specie botaniche.

Si arriva all’Ottocento con Eunice Newton Foote, che pubblicò ricerche fondamentali sull'atmosfera e sul calore del sole, ma il suo lavoro fu dimenticato a favore di altri scienziati uomini. Per quel che si sa, rimane a oggi la prima donna ad avere pubblicato su una rivista scientifica nel campo della fisica. C’è poi Rachel Carson, autrice della magistrale Primavera silenziosa, fondamentale nel sollevare l'attenzione sull'impatto dannoso degli insetticidi negli anni Sessanta del Novecento, e che per questo fu vittima di diffamazione da parte di numerose aziende chimiche.

Jeanne Barret, extract from Navig. di Cook - Bougainville, Cristoforo Dall'Acqua (1734-1787), Public domain, via Wikimedia Commons

 

Altre storie del secolo scorso coinvolgono Mária Telkes, chimica ungherese, e Sylvia Earle, pioniera dell'ecologia marina, entrambe affermatesi nonostante l'ambiente prevalentemente maschile in cui lavoravano. Più noto è forse il nome di Dian Fossey, celebre per il suo studio sui gorilla ed entrata più facilmente nella cultura pop grazie all’interpretazione di Sigourney Weaver in Gorillas in the Mist, trasposizione cinematografica della sua autobiografia. Fossey perse la vita uccisa dai bracconieri, che vendevano femmine e cuccioli di gorilla agli zoo. Figura spesso sovrapposta a quella di Jane Goodall, una delle voci più autorevoli per la conservazione degli scimpanzé, oggi ancora molto attiva nell’indirizzare ragazze e giovani studiose verso gli studi scientifici.

La raccolta esplora poi figure come Laura Conti, attiva dopo il disastro di Seveso del 1976 e determinante per fare luce sulle quantità di gas disperse nell’aria, e Dana Meadows, la cui ricerca sui modelli ecologici è stata fondamentale, nonostante il suo lavoro sia stato ostacolato e criticato per anni. Oggi nota principalmente per essere fra gli autori del celebre volume I limiti dello sviluppo, che per la prima volta 50 anni fa svelò al mondo le conseguenze della crescita continua della popolazione e dei processi produttivi sull'ecosistema terrestre.

Jane Goodall alla UN Bonn Climate Change Conference, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

 

 

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