Per la prima volta un gruppo di ricercatori ha registrato un calo significativo dei livelli atmosferici di idroclorofluorocarburi (HCFC), un’ampia gamma di gas refrigeranti che se rilasciati in ambiente riducono lo strato di ozono e riscaldano il pianeta. Dopo il picco nel 2021, la presenza in atmosfera degli HCFC – in passato utilizzati ampiamente nei sistemi di aria condizionata, nei frigoriferi e negli estintori – si è ridotta prima del previsto e secondo gli scienziati è tutto merito di uno dei trattati internazionale climatici più riusciti di sempre.
Lo studio, pubblicato su Nature Climate Change, dimostra come il protocollo di Montreal (Montreal Protocol on Substances that Deplete the Ozone Layer), adottato universalmente nel 1987, sia stato decisivo nel frenare le emissioni degli idroclorofluorocarburi e di un altro centinaio di sostanze chimiche che assottigliano lo strato di ozono, le cosiddette ozone-depleting substances. Preservarlo è importante perché, come uno scudo, lo strato di ozono è in grado di bloccare i raggi ultravioletti provenienti dal Sole. Se non esistesse, queste radiazioni solari renderebbero la vita sulla Terra impossibile. Oltre a essere cancerogeni per l’essere umano, i raggi UV danneggiano il DNA di piante e animali, interrompendo una serie di processi biologici e riducendo l'efficienza della fotosintesi.
Come i gas refrigeranti danneggiano lo strato di ozono
La caccia globale alle sostanze colpevoli di distruggere lo strato di ozono iniziò nel 1985, quando nella stratosfera sopra l’Antartide venne notato per la prima volta un buco nell’ozono di circa 10 milioni di chilometri quadrati. Secondo la comunità scientifica non c’erano dubbi: i maggiori responsabili erano i clorofluorocarburi (CFC), gas utilizzati per decenni nelle bombolette spray e negli ormai obsoleti sistemi di raffreddamento.
“I gas come i CFC contengono cloro che, dopo essere rilasciato in stratosfera, innesca in Antartide e a determinate condizioni climatiche una serie di meccanismi che distruggono le molecole di ozono”, spiega a Materia Rinnovabile Jgor Arduini, professore del dipartimento di scienze pure e applicate dell’Università Carlo Bo di Urbino. “Negli ultimi anni stiamo assistendo a un indebolimento anche dell’ozono artico, nel Polo Nord. Considerando che le temperature dell’inverno artico iniziano ad assomigliare sempre più a quelle del Polo Sud, l’insolita formazione di buchi d’ozono sopra le regioni polari settentrionali è probabilmente causata dal riscaldamento globale.”
Una volta banditi dal protocollo di Montreal, i clorofluorocarburi furono, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, progressivamente sostituiti dagli idroclorofluorocarburi (HCFC). Sebbene con effetti meno devastanti, il cloro continuava a essere un problema. Inoltre gli HCFC non promettevano grandi benefici neanche sotto il profilo climatico. I ricercatori attribuiscono al HCFC-22, uno dei gas fluorurati più abbondanti in atmosfera, un effetto climalterante quasi 2.000 volte maggiore dell’anidride carbonica su un orizzonte temporale di 100 anni. Per questo motivo nel 1992, attraverso un emendamento del protocollo di Montreal, i paesi concordarono nel vietarne la produzione e il consumo. Nei paesi in via di sviluppo il phase out degli HCFC è previsto per il 2030.
Stoppata la produzione, era importante tratteggiare il trend di permanenza di questi gas in atmosfera. Così, attingendo dai dati di due programmi globali di monitoraggio dell'aria, il team di ricercatori ha potuto registrare per la prima volta una diminuzione in atmosfera sia del contenuto di cloro che dell’effetto climalterante degli HCFC. Dopo aver raggiunto il picco nel 2021, questi gas stanno lentamente decrescendo e secondo i modelli climatici torneranno ai livelli degli anni Ottanta solamente tra 50 anni.
“Questo studio è importantissimo perché dimostra l’efficacia di politiche internazionali lungimiranti”, aggiunge Arduini, che non è stato coinvolto nella ricerca. “A distanza di oltre 30 anni dal protocollo di Montreal tocchiamo con mano i primi risultati positivi.” Essendo l’unico trattato delle Nazioni Unite firmato da tutti i paesi del globo, oggi il protocollo di Montreal è considerato il più grande successo della diplomazia climatica. Si ritiene inoltre che abbia contribuito a evitare 2 milioni di casi di cancro alla pelle.
L’industria dei refrigeranti in cerca di soluzioni più sostenibili
Eliminati in parte anche gli HCFC e il loro dannoso cloro, oggi l’industria dei refrigeranti deve fare i conti con un'altra famiglia di potenti gas a effetto serra: gli idrofluorocarburi (HFC). Un altro tipo di refrigeranti, senza cloro, ma con un potenziale climalterante altissimo. A porre rimedio a una crescita emissiva fuori controllo (+8% all’anno) ci ha pensato l’emendamento di Kigali del protocollo di Montreal, entrato in vigore nel gennaio del 2019. Secondo l’accordo, 140 paesi si impegnano a ridurre la produzione e il consumo di HFC di oltre l'80% nei prossimi 30 anni, puntando a evitare più di 70 miliardi di tonnellate di emissioni equivalenti di CO₂ entro il 2050.
Anche in Europa si vedono progressi. Lo scorso 11 marzo è entrata in vigore la F-gas Regulation, il regolamento europeo che prevede di eliminare gli HFC dal mercato europeo entro il 2050. Limitando l’uso di gas fluorurati e sostanze chimiche che assottigliano lo strato di ozono, l’UE punta a evitare il rilascio in atmosfera di 500 milioni di tonnellate di emissioni equivalenti di anidride carbonica entro la metà del secolo. Numeri paragonabili alla somma delle emissioni annuali di Francia e Belgio.
Secondo Jgor Arduini esistono già alternative di refrigeranti più sostenibili. “Oggi l’industria sta puntando sugli HFO (idrofluoroolefine): si tratta di idrocarburi a basso impatto climatico perché permangono poco in atmosfera”, sottolinea Arduini. “Ci sono anche altre alternative come propano, butano e ammoniaca ma questo significa dover fare grosse modifiche agli impianti di produzione.”
Immagine di copertina: skyline di Los Angeles, Envato