Mentre alla COP29 di Baku Giorgia Meloni sceglieva la via della crescita e della neutralità tecnologica, nel vasto mondo della sostenibilità c’era chi discuteva idee del tutto opposte. Decrescita e post crescita sono le alternative e stanno prendendo sempre più popolarità, complice un acceso dibattito che ha preso luogo sulla piattaforma X. Reviewing studies of degrowth: Are claims matched by data, methods and policy analysis è il titolo della pubblicazione che ha fatto tanto discutere, ma si potrebbe chiamare “paper della discordia” per il clamore che ha suscitato.
Secondo gli autori, Ivan Savin e Jeroen van den Bergh, gran parte della ricerca sulla decrescita sarebbe fondata su “opinioni soggettive” piuttosto che “analisi” supportate da metodi scientifici, motivazioni che hanno portato perfino a suggerire “autocritica e modestia” ai ricercatori impegnati in questo campo. Conclusioni che non sono passate inosservate e che hanno spinto accademici del calibro di Jason Hickel e Timothée Parrique a prendere pubblicamente le difese dei loro studi definendo la pubblicazione un esempio di “cattiva scienza”.
Decrescita e post crescita, di cosa si parla?
Questi concetti rappresentano un’alternativa alle soluzioni capitaliste “come strategia per affrontare le problematiche ambientali e sociali”. Fra le tesi a supporto di questa branca di studi, in forte espansione, quella dell’impossibilità, oltre che dell’insostenibilità, di una crescita economica infinita. Anche se la crescita economica fosse verde, Green Growth, non sarebbe infatti sufficiente a raggiungere gli obiettivi della sostenibilità e portare a un decoupling assoluto. Questo a causa di alcune dinamiche economiche, come l’effetto rebound, o della fisica, visto che la seconda legge della termodinamica suggerisce che nessun materiale è riciclabile al 100%.
Alle soluzioni “business as usual”, basate sull’efficienza e sul progresso tecnologico, volte a tutelare la crescita a tutti i costi, vengono dunque preferite opzioni più radicali come una riduzione deliberata della produzione o l’uso di indicatori alternativi al PIL per spingere verso un modello di sviluppo realmente compatibile con i limiti ecologici e in contrasto con le nuove forme di imperialismo e colonialismo.
L’applicazione di politiche di questo tipo porterebbe per forza di cose a un vero e proprio cambio di paradigma economico, anche se, stando al paper della discordia, “la decrescita non può (ancora) essere considerata un campo significativo della ricerca accademica”. La replica però non si è fatta attendere, tanto che la pubblicazione è stata definita un “bad faith hit piece”, cioè realizzata in cattiva fede con l’obiettivo di screditare il lavoro altrui.
La tesi di van den Bergh
Per approfondire la questione, Materia Rinnovabile ha chiesto chiarimenti direttamente a Jeroen van den Bergh, ricercatore presso l’Università autonoma di Barcellona e autore della discussa ricerca, che difende così la propria posizione: “Abbiamo seguito una procedura equa e trasparente e l'articolo è stato pubblicato su una rivista rispettata con una seria procedura di revisione”.
Ma allora perché tante critiche? La ricerca in questione “valuta tutti gli studi che segnalano nel titolo una chiara attenzione alla decrescita, e conclude negativamente sulla qualità metodologica di questi; e la comunità della decrescita comprende molte persone con una forte convinzione che il pensiero della decrescita possa salvare il mondo, quindi qualsiasi critica sarà fortemente contrastata, indipendentemente dalla sua veridicità”, ci spiega van den Bergh.
Fra le criticità emerse c’è l’idea del “degrowth business”, secondo cui le imprese “dovrebbero volontariamente ridurre la domanda di qualsiasi bene o servizio indesiderabile dal punto di vista ambientale”, definita “un’idea irrealistica”. Ma anche la larga presenza dei cosiddetti “sostantivi zombie” come “decolonialità” o “produttivismo”, volti a impressionare ma che in realtà indicherebbero “una cattiva scrittura e un pensiero sciatto”. E ancora vi sarebbe una certa “confusione” attorno al termine stesso di decrescita, scambiata erroneamente con concetti profondamente diversi quali “declino economico”, “recessione e crisi”. Una potenziale decrescita sarebbe infatti deliberata e non imprevista o indesiderabile.
La replica dei “degrowthers”
“Gli autori esaminano solo gli studi che contengono ‘post-crescita’ o ‘decrescita’ nel titolo, ma questo ignora gran parte del lavoro empirico chiave che ha plasmato e fatto avanzare il campo recentemente”, infatti, “non tutta la ricerca sulla decrescita ha ‘decrescita’ nel titolo!”, scrive su X Jason Hickel che rincara la dose sostenendo che “gli autori sono pienamente consapevoli di questa letteratura più ampia, eppure la escludono”. Questa la critica di uno dei più noti ricercatori sul tema oltre che autore di best seller come Less is More e New Divide.
Pensiero sostenuto anche da Timothée Parrique, autore del report Decoupling Debunked (una pietra miliare per gli studi sulla Post Growth), secondo cui Jeroen van den Bergh avrebbe intrapreso “una personale vendetta in stile John Wick”. Parrique ha infatti rivelato a Materia Rinnovabile che “per anni, e per ragioni ignote (probabilmente un po' di gelosia accademica, dato che la decrescita è diventata enormemente popolare negli ultimi dieci anni), Jeroen van den Bergh ha sistematicamente attaccato la decrescita come concetto, spesso basandosi su idee sbagliate. Questo è strano, dato che il suo ufficio si trova allo stesso piano della stessa università di Giorgos Kallis, Jason Hickel, Joan Martinez-Alier e molti altri che lavorano attivamente sull'argomento”.
Per Parrique la pubblicazione rappresenta “uno studio difettoso” e garantisce che la solidità scientifica degli studi sulla decrescita non è in discussione, anzi: “Ora che esiste una solida base per dimostrare l'impossibilità della crescita verde, le idee della decrescita e post-crescita stanno diventando sempre più accettabili”.
Oltre la crescita
A conferma delle parole di Parrique l’interesse per le alternative al paradigma della crescita sembra infatti proliferare, e non solo nel mondo accademico. L’iniziativa dell’ONU Beyond GDP, le conferenze Beyond Growth e la menzione della “decrescita” nel sesto rapporto dell’IPCC sono solo alcuni esempi di come l’idea di uno sviluppo alternativo stia prendendo piede. D'altronde l’idea della Green Growth non soddisfa pienamente nemmeno il critico Jeroen van den Berg che, quasi a sorpresa, ne prende le distanze. “Sono critico sia nei confronti della pro-crescita che dell'anti-crescita. La mia opinione è una terza, ovvero la a-crescita. Questa deriva dall'ignorare il PIL come indicatore rilevante del progresso”. Una sorta di “agnosticismo verso la crescita economica”, ha chiarito a Materia Rinnovabile.
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