L’autonomia differenziata è più che azzoppata. Nelle 166 pagine diffuse il 3 dicembre delle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 14 novembre, la Corte Costituzionale assesta durissimi colpi alla legge sull’autonomia differenziata delle regioni, varata con tanto sforzo e tanta sofferenza dal governo.

La sentenza della Corte Costituzionale approfondisce il baratro che su questi temi, ma anche molti altri, separa sempre più la Lega da Forza Italia, e indebolisce la leadership e la maggioranza di Giorgia Meloni. Lascia aperta la possibilità di dare luce verde al referendum abrogativo richiesto dalle quattro regioni (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli, sulla cui ammissibilità deciderà la Corte di Cassazione il 15 dicembre. Restringe fortemente il campo di applicazione dell’autonomia differenziata, indicando una serie di materie su cui le regioni devono lasciare la presa, come le politiche energetiche e quelle ambientali, il commercio con l’estero, le reti delle comunicazioni, di trasporto e navigazione, l’istruzione. Consegna la parola al Parlamento su alcuni aspetti centrali della legge, come la definizione dei LEP, i livelli minimi essenziali delle prestazioni, che non possono essere regolati dal governo con lo strumento dei DPCM.

Naturalmente è presto per capire se la riforma Calderoli sopravviverà, e in che forma e modalità. Ma l’impressione è che l’intreccio tra la pressione della Consulta, le difficoltà parlamentari e le tensioni nella maggioranza abbiano posto in gravissima crisi la riforma sull’autonomia differenziata, che insieme a quella della giustizia e al premierato è uno dei tre grandi capisaldi del governo di destra di Giorgia Meloni.

Perché la Corte Costituzionale ha bocciato l’autonomia differenziata

Tra i motivi principali della bocciatura c’è il fatto che molte funzioni non possono essere assegnate autonomamente soltanto alle regioni, perché “predominano le regolamentazioni dell’Unione Europea”. Ad esempio, la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto e di navigazione. Stesso discorso anche per le norme generali sull’istruzione, che, si legge nelle motivazioni, hanno una “valenza necessariamente generale e unitaria”, o per le funzioni relative alla materia delle professioni che hanno finalità di tutela dei consumatori.

La questione dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni

Nessuna possibilità di trasferimento per materie che richiedono una capacità di coordinamento spesso sovranazionale, o che incidono sui diritti civili e sociali, che dovranno essere condizionate alla definizione e al finanziamento reale dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Tuttavia i LEP non si potranno determinare con i decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, come prevedeva la legge Calderoli. Motivando i vari profili di illegittimità, i giudici partono da una premessa: “Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili, senza che siano in alcun modo configurabili ‘popoli regionali’”, con una propria sovranità. Dev’essere il Parlamento, cui solo “spetta il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale”, a stabilire in via legislativa i LEP.

Le motivazioni della Corte

Una forte critica c’è per gli aspetti in cui la riforma sull’autonomia differenziata non rispetta il principio di sussidiarietà previsto dall’articolo 116 della Costituzione, che “richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà”, e che “la ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali e all’adeguatezza dell’attribuzione della funzione a un determinato livello”. Tradotto: la Corte Costituzionale dice che ci sono materie che potrebbero teoricamente essere devolute alle regioni ma per le quali servirebbero giustificazioni e motivazioni che sembra impossibile individuare alla luce della sentenza. E tra queste ci sono le transizioni digitale e quella energetica, su cui eventuali intese su iniziativa regionale saranno sottoposte a uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale.

Dunque, l’autonomia deve essere ispirata ai principi di solidarietà, cooperazione e salvaguardia dell’unità nazionale. Resta l’incognita referendum sull’autonomia differenziata, come spiega il presidente della Consulta, Augusto Barbera: "Noi abbiamo appena depositato la sentenza. Ora tocca all'Ufficio centrale del referendum presso la Cassazione, alla quale abbiamo trasmesso il testo, verificare se ci sono le condizioni o meno per la consultazione referendaria. Questo è il primo dei passaggi. Per gli altri si vedrà".

 

Foto: Palazzo Chigi