Il 9 aprile scorso la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) ha pronunciato una decisione che studiose e studiosi già considerano una pietra miliare per il contenzioso climatico. Si sono intrecciati a Strasburgo i percorsi di tre diverse azioni legali relative agli impatti del cambiamento climatico sui diritti umani e le storie delle persone che le hanno portate avanti negli anni. Quali sono queste storie? Quali conseguenze avrà questa sentenza su simili azioni legali pendenti e future, ma anche sull’ambizione degli Stati nell’azione climatica?

Sono più di 2.500 le azioni legali nel mondo che rientrano nel novero del contenzioso climatico, o climate change litigation, l’insieme, dai confini incerti, dei casi che portano in giudizio questioni di fatto o di diritto correlate al cambiamento climatico. Circa due terzi sono statunitensi, ma le giurisdizioni statali interessate sono almeno cinquanta e nuovi ricorsi sono presentati ogni anno dinanzi a corti e altri organi giudicanti a ogni livello. In questo contenitore si ritrova tutta la complessità della crisi climatica: cittadini preoccupati e governi inerti, amministrazioni locali ambiziose, grandi imprese che negano l’evidenza, climate washing e investimenti anacronistici, vulnerabilità specifiche e disuguaglianze sistemiche che si aggravano, ingiustizie globali e migrazioni climatiche, resistenza a una transizione energetica ingiusta da parte delle comunità e reazioni sanzionatorie più o meno proporzionate all’attivismo.

Dal 2018 nella letteratura scientifica dedicata si è scritto di una “svolta dei diritti umani” nel contenzioso climatico a fronte di un numero crescente di ricorsi per violazioni dei diritti umani dovute agli impatti del cambiamento climatico a carico di autorità pubbliche o imprese. Tra questi, anche i tre casi protagonisti delle cronache recenti, i cui percorsi si sono articolati nel corso di anni.

Il caso delle anziane donne svizzere

Era il 2016 quando un’associazione di circa 800 donne svizzere over 64 e altre cinque donne a titolo privato presentarono, su iniziativa e con il supporto di Greenpeace, un ricorso contro il Consiglio federale, ovvero l’esecutivo svizzero, e alcune agenzie federali con competenze negli ambiti dei trasporti, dell’ambiente e dell’energia.

Le KlimaSeniorinnen sostenevano che questi enti non fossero adempienti rispetto alle obbligazioni derivanti dalla Costituzione federale e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La riduzione delle emissioni climalteranti prevista dallo Stato non era coerente con l’obiettivo concordato a livello internazionale di mantenere il surriscaldamento globale ben al di sotto di 2°C rispetto al periodo preindustriale, come dettato dall’Accordo di Parigi. Non raggiungere l’obiettivo di mitigazione avrebbe comportato sulla loro salute conseguenze maggiori di quelle determinate dal cambiamento climatico. In particolare, basandosi su studi scientifici, le ricorrenti sostenevano di essere portatrici, in quanto donne nella terza età, di una vulnerabilità specifica alle ondate di calore, eventi la cui intensità e durata è in aumento in Europa.

Nel 2017 l’autorità di prima istanza rigettò il ricorso su basi procedurali, non riconoscendo alcuna lesione dei diritti delle ricorrenti e opponendosi a una actio popularis, ovvero un’azione a tutela di interessi collettivi, inammissibile nell’ordinamento svizzero federale. In appello, nel 2018, anche il Tribunale amministrativo federale rigettò il ricorso su basi procedurali: l’impatto dei cambiamenti climatici sulle appellanti non sarebbe stato distinguibile da quello sperimentato dalla totalità dei cittadini. Il Tribunale federale, adito in qualità di ultima istanza, ha ulteriormente confermato le decisioni delle corti inferiori nel 2020. L’associazione, giunta nel frattempo a contare più di 2.000 socie e centinaia di sostenitori, ha proseguito nell’azione legale presentando un ricorso contro lo Stato svizzero alla Corte EDU, invocando gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto a un processo equo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU.

Il caso del sindaco francese

Nel 2018 Damien Carême era, già da diciassette anni, il sindaco, di area socialista, di Grande-Synthe, una piccola municipalità costiera della regione francese Hauts-de-France, tra le più note Calais e Dunkerque. Il primo cittadino inviò una lettera al Presidente della Repubblica francese, al Primo Ministro e al Ministro della Transizione Ecologica e della Solidarietà, richiedendo azioni di mitigazione in linea con gli accordi internazionali e l’implementazione immediata di misure di adattamento ai cambiamenti climatici. Non ebbe risposta, ma impugnò tale silenzio, come individuo e come sindaco, dinanzi al Consiglio di Stato francese, che dichiarò il ricorso ammissibile solo per quanto relativo alla municipalità.

Nel 2021 la corte amministrativa ha ordinato al Governo francese di prendere entro un anno tutte le misure necessarie per diminuire le emissioni di gas a effetto serra e raggiungere gli obiettivi climatici, tra cui una riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030, a fronte di azioni insufficienti a tale scopo. Carême, nel frattempo non più sindaco ma europarlamentare nelle file dei Verdi, ha portato avanti l’azione individuale presentando un ricorso alla Corte EDU, invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione: l’insufficienza delle azioni dello Stato francese per la mitigazione del cambiamento climatico avrebbe violato il suo diritto alla vita e al rispetto per la vita privata e familiare poiché avrebbe posto la sua abitazione a Grande-Synthe maggiormente a rischio.

Il caso dei giovani attivisti portoghesi

Catarina, Cláudia, Martim, Mariana, Sofia e André sono i sei giovani portoghesi che compongono il gruppo Youth for Climate Justice, supportato da Global Legal Action Network (GLAN) e dal crowdfunding in un’azione a dir poco ambiziosa: contro 33 Stati del Consiglio d’Europa, Italia inclusa, direttamente dinanzi alla Corte di Strasburgo. Tra gli 8 e i 21 anni quando è stato presentato il ricorso nel 2020, alcuni di loro potrebbero vivere attorno a quell’anno 2100 verso cui gli addetti ai lavori proiettano gli scenari peggiori, con un distacco che le nuove generazioni non possono più permettersi.

Sono numerosi i casi di contenzioso climatico che vedono attori bambini o adolescenti, al punto che alcuni studiosi hanno prodotto delle linee guida da seguire per garantire loro piena partecipazione seppur al riparo da eccessivo stress, e fugare ogni dubbio di strumentalizzazione da parte di chi li supporta (ACRiSL, 2023).

I giovani portoghesi hanno lamentato una violazione da parte degli Stati inadempienti rispetto agli impegni di mitigazione del loro diritto alla vita per gli effetti dei cambiamenti climatici che colpiscono il Portogallo, come l’aumento degli incendi boschivi. Inoltre, la loro vita privata e familiare sarebbe turbata dalle ondate di calore, che impediscono di trascorrere tempo all’aria aperta, e dall’ansia per il futuro incerto che si prospetta a causa del cambiamento climatico. Un futuro nel quale potrebbero vivere più a lungo delle generazioni che li precedono, con una possibile violazione del divieto di discriminazione, all’articolo 14 della CEDU.

Prima di accedere alla Corte EDU si dovrebbe aver esaurito tutti i rimedi legali a livello nazionale, ma ciò, moltiplicato per i 33 Stati, avrebbe richiesto risorse esorbitanti e un tempo eccessivo rispetto a quanto ne abbiamo a disposizione per mitigazione e adattamento secondo la comunità scientifica.

Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo

Il contenzioso climatico è talvolta descritto come un movimento internazionale in cui consulenti legali delle diverse parti, giudici, ONG e studiosi interagiscono per individuare soluzioni alle sfide di interpretazione e applicazione del diritto esistente a circostanze senza precedenti. Tuttavia, i tre casi riassunti non hanno avuto un collegamento esplicito fino alla decisione, il 29 giugno 2022, di riassegnare i procedimenti alla Grande Camera della Corte EDU, nella stessa composizione di diciassette giudici, pur senza riunirli. I casi hanno avuto, inoltre, priorità rispetto ad altri e udienze pubbliche, affatto scontato per la prassi della Corte, che hanno attirato grande attenzione mediatica a marzo e settembre 2023. Si trattava dei primi ricorsi climatici dinanzi alla Corte di Strasburgo, ma non degli unici: altre azioni, tra cui quelle che vedono attrici italiane contro lo Stato italiano ed altri Stati (De Conto e Uricchio), sono state sospese in attesa della pronuncia dello scorso 9 aprile.

Il ricorso francese (Carême v. France) e quello portoghese (Duarte Agostinho and Others v. Portugal and 32 other States) sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte EDU su basi procedurali. In estrema sintesi: Damien Carême non abita più in Francia, mentre, negata la possibilità di estendere la giurisdizione a Stati diversi da quello in cui i sei giovani di Youth for Climate Justice risiedono, con riferimento al solo Portogallo i ricorrenti avrebbero dovuto tentare in precedenza di agire in giudizio nell’ordinamento portoghese.

Per quanto anche questi insuccessi in giudizio possano essere utili per orientare azioni future, la decisione che cambia le carte in tavola e modifica le prospettive del contenzioso climatico è quella relativa al caso Verein KlimaSerinnen Schweiz and Others v. Switzerland.

La Grande Camera ha stabilito a maggioranza (il giudice Tim Eicke, unico a opporsi, ha redatto un parere separato) che vi è stata una violazione dell’articolo 8 della CEDU, ovvero del diritto al rispetto della vita privata e familiare, che include, secondo l’innovativa interpretazione della Corte, un diritto all’effettiva protezione da parte delle autorità statali dagli effetti avversi del cambiamento climatico sulla vita, sulla salute, sul benessere e sulla qualità della vita. Lo Stato svizzero non ha agito in modo tempestivo e appropriato per produrre e implementare norme e misure per la mitigazione del cambiamento climatico.

La possibilità di far valere questa violazione in giudizio è stata riconosciuta solo all’associazione KlimaSeniorinnen Schweiz, mentre i ricorsi individuali sono stati giudicati inammissibili poiché le ricorrenti non avrebbero dimostrato un’esposizione sufficientemente intensa ai rischi correlati al cambiamento climatico e alle ondate di calore in particolare. Inoltre, all’unanimità, la Grande Camera ha stabilito che vi è stata una violazione dell’articolo 6 della CEDU, ovvero del diritto a un processo equo e di avere accesso alla giustizia: le autorità svizzere adite non hanno fornito argomentazioni sufficienti rispetto all’aver considerato non necessario esaminare la questione nel merito.

Le conseguenze

Quali sono le conseguenze, da un punto di vista pragmatico, di queste violazioni per la Confederazione Elvetica? Richieste di risarcimento del danno erano state avanzate solo dalle ricorrenti individuali, i cui ricorsi sono stati giudicati inammissibili. Pertanto, lo Stato dovrà soltanto coprire 80 mila euro di spese legali per l’associazione. La richiesta alla Corte di ordinare allo Stato di prendere delle misure non è stata accolta: a fronte della complessità e della natura delle questioni sollevate, sarà lo Stato a scegliere con quali mezzi adeguarsi alla decisione e rispettare le obbligazioni che derivano dalla Convenzione.

Dr. Iur. Helen Keller, giudice della Corte EDU dal 2011 al 2020 e professoressa dell’Università di Zurigo, ha commentato per Materia Rinnovabile la storica decisione in Verein Klimaseniorinnen Schweiz v. Switzerland: “La sentenza è dirompente per due motivi. Anzitutto, perché ha stabilito per la prima volta a livello internazionale il legame tra diritti umani, in particolare l’articolo 8 della CEDU, e l’obbligazione positiva [degli Stati] rispetto al diritto del clima. Conferma così una tendenza già emersa in molte decisioni di casi di contenzioso climatico a livello nazionale. In secondo luogo, [la sentenza] estende la legittimazione attiva delle associazioni e delle ONG. Riprende così un’evoluzione normativa evidente sin dall’entrata in vigore della Convenzione di Aarhus. Le decisioni dei casi a venire chiariranno i dettagli rispetto a entrambe le questioni, ma questi passi sono importanti per il diritto del clima, per i diritti umani e per le ONG.” Non tutte le associazioni hanno ora il diritto di agire per conto di individui nel ricorrere alla Corte di Strasburgo per simili questioni climatiche, le condizioni sono illustrate nella lunga sentenza già disponibili sul sito della Corte.

Anche secondo Dr. Iur. Corina Heri, Ricercatrice dell’Università di Zurigo esperta di diritti umani che ha collaborato alla stesura di interventi di terze parti in diversi procedimenti di contenzioso climatico, la sentenza è “una pietra miliare: ha stabilito una cornice teorica per decidere futuri casi relativi alla mitigazione dinanzi alla Corte e ha riconosciuto in modo empatico come gli individui debbano avere accesso alla giustizia anche nel contesto del cambiamento climatico.”

Il successo delle KlimaSeniorinnen non si può misurare, tuttavia, solo in termini di richieste accolte dalla Corte o di nuove possibilità per il contenzioso climatico. La loro instancabile mobilitazione ha ribaltato pregiudizi di genere e di età, ispirando altre azioni, e attirando anche una tempesta di spiacevoli reazioni misogine. La loro esperienza non finisce con la sentenza: in una conversazione a giugno del 2023 Rosmarie Wydler-Wälti, co-presidente dell’associazione, illustrava come le KlimaSeniorinnen già pianificavano il monitoraggio dell’implementazione della decisione della Corte.

Le novità di questa settimana impegneranno il movimento del contenzioso climatico ancora per mesi, nell’attesa di vederne l’applicazione ad altri ricorsi pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo e non solo. Al di là del contenzioso climatico, il riconoscimento di un diritto dei cittadini alla protezione dagli effetti avversi dei cambiamenti climatici da parte degli Stati parte della Convenzione, e la possibilità per le associazioni di rivolgersi alla Corte per farlo valere rappresentano un ulteriore incentivo per gli Stati stessi a non sottovalutare gli impegni climatici. In una visione di sistema, si tratta di ulteriori strumenti giuridici per garantire che l’ambizione non resti sulla carta, mentre il tempo scorre.

 

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Immagini: © Miriam Künzli / Greenpeace