La transizione circolare è sempre più urgente e sempre più regolata dal diritto. A tutti i livelli – internazionale, nazionale e subnazionale ‒ cresce la mole di norme che punta a ridurre i consumi, intervenire sulla gestione dei rifiuti e controllare la domanda di materie prime vergini. Ma qual è l’impatto di questa transizione? E, in particolare, queste leggi stanno producendo risultati equi e giusti a livello globale?

Lo abbiamo chiesto alle ricercatrici Feja Lesniewska e Katrien Steenmans, autrici del volume Circular Economy and the Law - Bringing Justice into the Frame (Routledge, 2023). Un’analisi olistica attraverso la quale hanno cercato di riportare il tema degli impatti della transizione al centro del dibattito giuridico.

Da sinistra: Katrien Steenmans e Feja Lesniewska

Perché questo titolo?

Finora non ci sono state molte persone che si sono concentrate sulla complessità delle diverse aree dell’economia circolare che coinvolgono il diritto. Sempre di più si guarda al diritto dell’economia circolare e non, come si dovrebbe, all’economia circolare e al diritto. Un’impostazione che consente di guardare all’ambito regolatorio in modo più sistemico, fondato sull’interconnessione dei vari aspetti. Giustizia ed equità incluse.

Un esempio di questa interconnessione?

Sicuramente è il caso degli schemi di responsabilità estesa del produttore (EPR). Uno dei problemi con il concetto di economia circolare è che spesso l'attenzione si concentra più sulla dimensione del riciclo piuttosto che sulla prevenzione dei rifiuti e sulla minimizzazione dell'uso delle risorse.

È invece possibile modellare la “responsabilità” negli schemi EPR in modo da aumentare la capacità di ottenere effettivamente una riduzione dell’uso delle risorse creando più economie di servizio, come noleggio e condivisione.

Nella vostra analisi vi siete occupate anche degli impatti della transizione circolare, come mai?

A livello accademico sarebbe stato abbastanza facile occuparci solo di diritto ed economia circolare. Abbiamo però preferito considerare in maniera critica il design e gli impatti del modo in cui la transizione circolare sta avvenendo, soprattutto in quelle giurisdizioni che sono ad alto consumo.

Fino ad ora ci si è interrogati poco su dimensioni come giustizia, equità e sugli impatti sociali dell'adozione di innovazioni normative per passare a un'economia circolare. I regimi di responsabilità estesa del produttore, ad esempio, hanno creato un'élite che possiede tutte le risorse. Sono in molti a sostenere che, se non si affrontano le ingiustizie e le disuguaglianze, allora l'economia circolare non decollerà. Abbiamo quindi ritenuto che questo aspetto dovesse essere messo in evidenza nel dibattito.

Steenmans, lei ha curato il primo dei due case study presenti nel volume, intitolato L’economia circolare della plastica. Di cosa parla?

Essenzialmente evidenzia che l'economia circolare, anche se sempre più spesso viene collegata al settore della plastica, non sta portando a un cambiamento radicale riguardo questo materiale. Restano molte sfide. Oltre a questioni di giustizia ed equità, manca un approccio multistakeholder. Abbiamo bisogno di molte voci diverse e a diversi livelli per lavorare insieme su questo tema.

Ci sono azioni a livello internazionale, nazionale e subnazionale, ma questi livelli non sono sempre adeguatamente collegati tra di loro. Non sempre tutte le parti interessate vengono coinvolte e se vengono coinvolte non lo sono in modo significativo. Restano partecipazioni simboliche, senza che possano farsi sentire attivamente.

Invece, Lesniewska, per quanto riguarda il case study dedicato alla Bioeconomia circolare e foreste?

A oggi la bioeconomia comporta una mercificazione, sotto diverse forme, di risorse forestali. L’economia circolare punta invece alla valorizzazione della risorsa al livello più alto. Solo a cascata, a un certo punto, potrebbe essere necessario il recupero, cioè, bruciare la biomassa. Dare priorità alla combustione della biomassa di fatto crea nuovo mercato per l’estrazione da foreste primarie di materia che potrebbe essere invece valorizzata o destinata a mercati più piccoli.

A livello di gestione forestale abbiamo già visto un problema simile con la mercificazione del carbonio. È stata l’introduzione nel 2008 della REDD+ [ndr: Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation, plus the sustainable management of forests, and the conservation and enhancement of forest carbon stocks] a cambiare per alcuni anni il dibattito sull’utilizzo delle foreste. Si è iniziato a tenere in considerazione che ci sono persone che fanno affidamento sulle foreste, che in alcuni casi non possono più essere utilizzate per sostenere i loro mezzi di sussistenza. E spesso si tratta delle comunità più povere o indigene, spesso non consultate.

 

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