La revisione della Direttiva europea sul trattamento delle acque reflue (2024/3019) fissa obiettivi sempre più ambiziosi per i sistemi di depurazione, chiamati a ridurre drasticamente l’impatto ambientale, raggiungere la neutralità energetica e affrontare il problema dei microinquinanti. Una trasformazione radicale, che vede gli impianti evolversi in vere e proprie bioraffinerie capaci di recuperare energia, acqua e anche materie prime critiche.
Ne abbiamo parlato con Daniele Basso, fondatore e CEO di HBI, realtà italiana specializzata in tecnologie avanzate per la valorizzazione dei fanghi, con moduli già operativi in Alto Adige e Veneto e nuovi progetti industriali in cantiere.
La revisione della Direttiva UE sul trattamento delle acque reflue spinge verso una gestione più intelligente e circolare del ciclo dell’acqua. Quali opportunità ci vedete?
Anzitutto, l’innalzamento dei target di neutralità energetica degli impianti spinge verso tecnologie avanzate e sostenibili per il recupero di energia dai fanghi. Processi come quello che abbiamo sviluppato, che integra digestione anaerobica e valorizzazione del residuo post-digestione, vanno proprio in questa direzione. In secondo luogo, c’è la rimozione in situ di microinquinanti emergenti come microplastiche, molecole antibiotiche e organiche, e PFAS. Lo scopo ultimo è quello di prevenirne la diffusione nelle matrici ambientali a valle, che oggi ancora succede a causa dell’adozione di metodi convenzionali di smaltimento dei fanghi. Il terzo obiettivo, ancora più ambizioso, coinvolge invece tematiche di resilienza e indipendenza strategiche dell’EU e riguarda il recupero di materie prime critiche, in primis il fosforo riutilizzabile per la produzione di fertilizzanti sostenibili.
Cosa serve invece per rendere concreti i nuovi target della Direttiva? Secondo il Blue Book 2025 di Utilitalia e Fondazione Utilitatis, adeguare il parco dei grandi depuratori italiani richiederà investimenti fino a 1,5 miliardi di euro – in un paese dove 1,3 milioni di cittadini non hanno ancora accesso al servizio di depurazione. A quali condizioni sarà l’occasione per compiere un salto di qualità, trasformando i grandi impianti in vere e proprie bioraffinerie circolari?
È necessario lavorare sia sulla certezza dell’impianto normativo-autorizzativo, con il fine di agevolare e velocizzare le procedure esistenti, sia su strumenti finanziari ad hoc e sull’attuale sistema tariffario. Servono fonti diverse − anche tramite strumenti come quelli previsti dal recente Clean Industrial Deal − e un quadro stabile, che favorisca le gestioni industriali e l’aggregazione di operatori privati capaci di applicare le nuove tecnologie. L’adeguamento alla nuova direttiva europea richiederà investimenti ben superiori alla media attuale: oggi l’Italia investe circa 70 euro pro capite nel ciclo idrico, ma ne serviranno almeno 120 all’anno per i prossimi dieci anni. Un salto che impone, e giustifica, un adeguamento della tariffa, tra le più basse d’Europa. Alcuni paesi europei, come Germania e Paesi Bassi, stanno già riconfigurando i grandi depuratori in impianti multifunzione per la produzione di biometano, fosforo recuperato, e persino energia elettrica netta. L’Italia ha un ritardo strutturale, come dimostrano le numerose e onerose procedure di infrazione comunitaria, ma può fare un salto qualitativo proprio in questa fase, se affronta la transizione con una logica sistemica e industriale.
Come cambierà invece l’approccio alla progettazione e gestione degli impianti decentrati, ora che si parla di estendere obblighi a conglomerati anche di dimensioni fino a 1.000 abitanti equivalenti, e non più 2.000?
L’estensione sarebbe un passaggio ulteriore e importante: riconoscerebbe che la qualità ambientale non può più dipendere esclusivamente dai grandi impianti urbani. Questo è ancora più rilevante per l’Italia che ha una fittissima rete di piccoli centri urbani. I sistemi decentrati entrerebbero così a pieno titolo nella strategia europea. Anche i piccoli impianti, se dotati di adeguata tecnologia di trattamento, possono diventare efficienti e funzionali, adattandosi con maggiore flessibilità alle specificità territoriali e climatiche. Ma di nuovo: servono criteri tecnici e autorizzativi chiari e soprattutto modelli gestionali integrati industrialmente in una logica di Hub e Spoke fino alla filiera a valle dei prodotti per l’agricoltura, per garantire economicità e continuità nel tempo.
In questo senso, cosa ne pensa di un'integrazione con soluzioni basate sulla natura per il trattamento diffuso?
Guardando all’Europa, per esempio, Danimarca, Svezia e Austria da anni adottano approcci decentralizzati combinati con soluzioni NBS, integrati in una visione di bacino. È il momento di portare anche in Italia questo tipo di cultura progettuale e gestionale, superando la dicotomia tra “grandi” e “piccoli” impianti. La sfida è realizzare un sistema idrico circolare e diffuso, robusto e adattivo, in grado di affrontare i cambiamenti climatici e le crescenti pressioni ambientali, e di assicurare continuità e resilienza alla fornitura di risorsa idrica e dei prodotti recuperati dal ciclo di uso, trattamento e riuso.
Rispetto ai target sul trattamento dei microinquinanti e contaminanti emergenti, a che punto è la disponibilità tecnologica?
L’introduzione di target specifici rappresenta uno dei passaggi più avanzati e condivisibili della nuova Direttiva europea: è la dimostrazione che il ciclo dell’acqua deve oggi confrontarsi non solo con la questione della quantità e della disponibilità, ma sempre più anche con la questione della sua qualità e salubrità. Tecnologicamente, la disponibilità di soluzioni esiste già. Ma è importante dirlo chiaramente: non tutte le tecnologie sono uguali. Solo approcci combinati, modulari e ad alta efficienza, come quelli che abbiamo sviluppato, sono in grado di abbattere selettivamente PFAS, antibiotici, microplastiche e altri microinquinanti con efficacia stabile e replicabile.
Oggi in Italia viene riutilizzato solo il 4% delle acque reflue affinate, ma potremmo rapidamente superare il 30% e coprire oltre il 40% della domanda irrigua nazionale: dove occorre intervenire per liberare questi volumi e rendere il riuso una risorsa concreta per l’agricoltura?
Per liberare questi volumi d'acqua è necessario agire su tre fronti: semplificare le procedure autorizzative e sanitarie, potenziare gli standard di trattamento per garantire qualità e fiducia, e sostenere gli investimenti attraverso tariffe e incentivi adeguati. La tecnologia c’è, la necessità ambientale è evidente, e oggi anche la cornice europea è chiara. Tocca a tutti noi – operatori pubblici, privati e istituzioni – rimuovere gli ostacoli che ancora frenano la transizione verso un vero ciclo idrico circolare e sicuro.
Sul fronte dei fanghi di depurazione quali tecnologie state sviluppando come HBI per accompagnare i gestori nella loro valorizzazione e nella chiusura del ciclo delle risorse, come per fosforo e azoto?
Abbiamo sviluppato e offriamo ai gestori soluzioni che superano e vanno oltre il mero “smaltimento”: parliamo di trattamenti avanzati in grado non solo di valorizzare tutta l’energia generabile dai fanghi e di recuperare l’acqua che contengono e che altrimenti verrebbe dispersa, ma anche di recuperare fosforo, azoto, magnesio, rendendoli prodotti riutilizzabili in agricoltura o nei cicli industriali. Tecnologie modulari, compatte, pensate per integrarsi sia nei grandi impianti che nei contesti decentralizzati, e che puntano a chiudere il ciclo in modo sicuro, tracciabile e sostenibile. Il nostro obiettivo è cambiare il paradigma del fango, da rifiuto da smaltire a miniera urbana strategica da valorizzare. E questo approccio è oggi perfettamente coerente con gli obiettivi europei su economia circolare, fertilizzanti biobased e autonomia strategica in materia di nutrienti.
Un’ultima domanda. Ci può raccontare qualche dettaglio in più sugli impianti già installati?
Dal 2021 abbiamo avviato con successo due impianti pilota – uno all’interno del depuratore in provincia di Bolzano, l’altro esterno a quello di Fusina (VE) – utilizzando un modulo tecnologico integrato per il trattamento di fanghi disidratati fino a 1.000 tonnellate l’anno. La tecnologia, flessibile e scalabile, può essere impiegata sia come integrazione alla linea fanghi esistente sia come hub centralizzato. Nel 2022 ha ottenuto la certificazione ETV da RINA, che ha validato le performance: oltre il 90% di riduzione del rifiuto da smaltire, potenziale per abilitare la neutralità energetica del depuratore e possibilità di recuperare materie prime critiche come il fosforo. Testata su fanghi di diversa origine e stagionalità, ha dimostrato grande adattabilità, contribuendo a ridurre i rischi legati allo scaling-up industriale e portando al deposito di un brevetto migliorativo. Due nuovi progetti industriali, con capacità di trattamento pari a 5.000 e 7.000 tonnellate l’anno, sono attualmente in fase di sviluppo e partiranno nel 2026.
Questo contenuto è realizzato grazie al supporto degli sponsor
In copertina: impianto HBI