Quasi certamente è un colpo di grazia per le speranze di centrare gli obiettivi 2030 della decarbonizzazione. Il Consiglio dei ministri di lunedì sera, 6 maggio, ha approvato il cosiddetto Decreto-Legge Agricoltura, uno zibaldone di norme e misure, dalla caccia alla sospensione del pagamento dei mutui. Ma la novità più eclatante è sicuramente lo stop (di fatto) alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra in terreni che hanno destinazione d’uso “agricola”.
Sono previste alcune deroghe, sono esclusi i progetti già approvati, quelli legati al PNRR e quelli che faranno parte di CER, le Comunità energetiche rinnovabili. E, ancora, è esplicitamente consentita la costruzione di impianti di tipo agrivoltaico o con filari alti, che permettono di continuare a coltivare la terra, pur essendo decisamente più costosi. Ma non c’è dubbio che questo ennesimo cambiamento di normative, questo ulteriore appesantimento dei vincoli e dei costi dei progetti, questa nuova incertezza delle regole renderanno con ogni probabilità impossibile far sì che entro il 2030 il solare fotovoltaico possa dare il contributo previsto alla decarbonizzazione.
Una premessa indispensabile: al momento il testo vero e proprio del Decreto-Legge non esiste. A disposizione, oltre alle dichiarazioni in conferenza stampa dei ministri, ci sono delle slide, la nota di Palazzo Chigi e un tweet del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in cui rivendica uno “stop al fotovoltaico senza regole e più energia pulita senza consumare suolo agricolo”. Detto questo, è abbastanza evidente che dal braccio di ferro dei giorni scorsi tra i due ministri, quello dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e quello dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, è uscito decisamente vincitore l’esponente di Fratelli d’Italia, nonché cognato del premier.
I divieti al fotovoltaico
Nella nota stampa diffusa da Palazzo Chigi si legge che il decreto introduce il “divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e di aumento della estensione di quelli già esistenti, nelle zone classificate come agricole dai piani urbanistici, fatti salvi gli impianti finanziati nel quadro dell’attuazione del PNRR, quelli relativi a progetti di agrovoltaico e quelli da realizzare in cave, miniere, aree in concessione a Ferrovie dello Stato e ai concessionari aeroportuali, aree di rispetto della fascia autostradale, aree interne a impianti industriali”.
Secondo una bozza del testo che circola, la norma “non si applica nel caso in cui gli impianti fotovoltaici collocati a terra siano oggetto di configurazioni di autoconsumo e comunità energetiche rinnovabili” e agli impianti “in corso di autorizzazione”. Come ha detto Pichetto Fratin, “se è stata presentata l’istanza per avere il preventivo TICA si può considerare autorizzato. Dovranno poi esserci degli atti regolamentari per definire cosa significa progetto iniziato”.
Deroghe e incertezze
Più in dettaglio, per quanto riguarda le deroghe, a quel che si sa i pannelli a terra potranno essere installati in aree formalmente considerate agricole, ma inadatte alla coltivazione: cave, miniere, adiacenze alle autostrade (fino a 300 metri), terreni in mano a Ferrovie dello Stato o dei concessionari aeroportuali. Salvaguardato anche tutto ciò che riguarda l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in particolare le Comunità energetiche rinnovabili. Serviranno invece ulteriori regolamenti per capire che fine faranno i progetti avviati ma che non hanno ancora ricevuto una autorizzazione, o quelli in aree sulle quali già insistono impianti per rifacimento, modifica, revisione.
Tra le tante incertezze, infine, non è chiaro che cosa accadrà agli impianti che le norme di semplificazione approvate dal governo Draghi consentivano: parliamo del fotovoltaico a terra nelle aree classificate come agricole dove non si dovrebbe o non si può coltivare, le cosiddette “solar belt” intorno alle aree industriali. E che sarà dei terreni all’interno dei siti di interesse nazionale (SIN) e regionale (SIR) da bonificare?
Decreto Agricoltura, fotovoltaico e agrivoltaico
Come ha affermato il ministro Lollobrigida, l’intervento del governo (fortemente sollecitato da Coldiretti) nasce dai tempi lunghi del decreto Aree idonee, ancora atteso, attuativo del d.lgs. 199/2021, “una norma di riferimento di difficile applicazione e con articoli che la renderebbero inefficace”, che non arriva da tre anni per dissidi tra uffici e Conferenza delle regioni. “Lo Stato considera i terreni agricoli produttivi un bene prezioso con delle agevolazioni importanti”, ha dichiarato Lollobrigida. “Ma se ci vuoi mettere i pannelli fotovoltaici stai cambiando la destinazione d’uso, e non riteniamo che questo tipo di prassi debba continuare. Abbiamo scelto di limitare ai terreni produttivi questo divieto”. La tecnologia su cui eventualmente puntare è l’agrisolare: “Consente di avere pannelli che permettono di coltivare, anzi c'è una forma di protezione di quello che viene coltivato sotto. C'è la possibilità di continuare a produrre energia ma senza sottrarre terreno prezioso all'agricoltura per fare altro", ha concluso Lollobrigida.
Bisogna tuttavia ricordare un dato: attualmente, come conferma l’ISPRA, soltanto 17.000 ettari di superficie agricola sono occupati da impianti fotovoltaici a terra, ovvero lo 0,13% della superficie agricola utilizzabile. E sulla carta se si volesse installare con pannelli a terra (ma non si potrà più) tutta la potenza fotovoltaica prevista in Italia dal PNIEC (Piano nazionale per l’energia e il clima) sarebbero necessari altri 80.000 ettari circa, ovvero soltanto lo 0,6% della superficie agricola nazionale. E sempre in teoria, per raggiungere il target sottoscritto dall’Italia al recente G7 Clima, ambiente ed energia di triplicare le rinnovabili (ovvero, installare nuovi 140 GW), servirebbe meno dell’1% dei terreni agricoli, sempre evitando le aree agricole di pregio.
Le reazioni
Ampiamente negativi i commenti da parte delle associazioni dell’industria di settore e di Legambiente. Per Italia Solare, “con questo provvedimento si impedisce l’agrivoltaico a terra, se non con strutture elevate e molto costose che necessitano di incentivi per i quali il fotovoltaico poteva fare a meno con provvedimenti più lungimiranti, senza contare l’impatto paesaggistico di questa tipologia di impianti che creerà problemi in fase autorizzativa”. Per Elettricità Futura, saranno a rischio i target delle rinnovabili al 2030, generando “un effetto domino con rialzi dei costi di realizzazione dei nuovi impianti e un aggravamento normativo e amministrativo, oltre alla difficoltà di raggiungimento dei target”. Secondo l’associazione aderente a Confindustria, “si renderà più cara l’energia che costa meno in assoluto, quella prodotta dal fotovoltaico a terra”. Infine, “i contenuti annunciati appaiono inoltre in contrasto con l’impegno di triplicare le rinnovabili al 2030 assunto dal Governo al G7 appena lo scorso 30 aprile”.
Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, dice che “il provvedimento non affronta le vere cause dell’incessante consumo di suolo agricolo, causato soprattutto dalle nuove edificazioni”, e che “la diffusione delle rinnovabili non è in antitesi con l’agricoltura, anzi è di grandissimo interesse anche per il mondo agricolo che, come tutti, paga le bollette impazzite a causa delle speculazioni sul gas ed è tra le prime vittime della crisi climatica. Non mancano le soluzioni avanzate: l’agrivoltaico innovativo, ma anche quello più tradizionale, con i filari di pannelli molto distanziati, garantisce da tempo la convivenza tra la produzione agroalimentare ed energetica”.
Come spiega Marco Bergaglio, presidente di Unionplast (l’associazione aderente a Confindustria del settore plastico), "ci viene impedito di fare impianti su suolo agricolo, sapendo che il cambio destinazione è caro, lungo e spesso impossibile. Si tarpano ali alle imprese che hanno bisogno di estensioni che vanno ben oltre il proprio tetto, il proprio parcheggio e le aree ‘interne al perimetro di stabilimento’”. Soddisfatto, invece, il numero uno di Coldiretti Ettore Prandini: “Arriva un giusto intervento per fermare le speculazioni dei grandi fondi di investimento che in molte aree del Paese sta mettendo in difficoltà la produzione agricola”.
Caccia, mutui sospesi e nuovi fondi
Come detto, il testo del provvedimento contiene altre misure. Tra quelle che hanno fatto più discutere c’è la scelta di utilizzare 177 uomini delle Forze Armate e i cacciatori iscritti alle associazioni per le “attività di contrasto alla peste suina africana”, che in altre parole significa la caccia ai cinghiali selvatici. Stesso discorso per la norma che estende alle associazioni venatorie il ruolo di guardie antibracconaggio, rendendo i cacciatori controllori di sé stessi. Ancora un nucleo di Carabinieri Forestali, la Sezione operativa reati in danno agli animali, viene tolta al ministero dell’Ambiente e assoggettata a quello dell’Agricoltura. Infine, vengono sospesi per 12 mesi i mutui per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che nel 2023 hanno registrato una riduzione del volume di affari di almeno il 20% e vengono erogati nuovi fondi per sostenere il comparto.
Immagini: Palazzo Chigi