“L’economia globale è oggi circolare solo per il 7,2%; e peggiora di anno in anno a causa della crescita del tasso di estrazione ed uso dei materiali”. Si apre così, senza tanti giri di parole o tentativi di indorare la pillola, il Circularity Gap Report 2023.
Presentato in occasione del World Economic Forum di Davos, lo studio, redatto dal think-tank Circle Economy in collaborazione con Deloitte, arriva quest’anno alla sua sesta edizione e non porta buone notizie. Se era già chiaro quanto lunga fosse la strada per colmare il gap di circolarità dell’economia globale, sembra tuttavia che il mondo abbia preso la direzione sbagliata: dal 9,1% del 2018 si è scesi infatti all’8,6% di due anni fa, e ora al 7,2%.
Il dato non deve però demoralizzare, e va preso invece come un segnale di urgenza. “C’è molto di più in questa storia oltre al semplice numero”, ci ha detto Laxmi Haigh, co-autrice del report insieme a Matthew Fraser e Alvaro Conde Soria. Siamo dunque andati a vedere cosa c’è dietro questa perdita di 1,4 punti percentuali: le ragioni metodologiche, le cause materiali e le possibili soluzioni.
Circolarità in calo: perché?
Il dato da cui partire è spaventosamente rotondo: 100 miliardi di tonnellate. Sono i materiali che attualmente l’economia globale consuma ogni anno; numero che è quasi raddoppiato dal 2000 ad oggi e che, purtroppo, è in un trend di crescita stabile.
Di questi materiali, una parte consiste in materie prime seconde, ovvero la frazione misurata dal Circularity Gap Report e che oggi corrisponde solo al 7,2%.
Il numero, per chi si occupa di economia circolare, è francamente sconfortante e può far pensare che gli sforzi compiuti fino ad ora siano vani. Ma va spiegato e analizzato. “Bisogna innanzitutto parlare della metodologia – dice Laxmi Haigh a Materia Rinnovabile – La percentuale non era aggiornata dal 2020 perché non c’erano dati sufficienti. In questi due anni abbiamo migliorato e perfezionato moltissimo i nostri metodi di misurazione, includendo anche più Paesi nella ricerca, e questo fa sì che la nuova percentuale non sia direttamente confrontabile con il precedente 8,6%. Tuttavia, sulla base delle tendenze globali che abbiamo riscontrato, possiamo affermare che anche con dati omogenei avremmo comunque osservato un calo”.
Quali sono allora le ragioni di questo effettivo trend negativo della circolarità? “La prima causa è l’aumento eccessivo del consumo di materiali”, spiega Haigh. “Anche se oggi sentiamo tanto parlare di economia circolare, i sistemi effettivamente implementati per rimettere in circolo la materia sono ancora pochi. In sintesi, il riciclo non tiene il passo con la crescita del consumo”.
C’è poi il problema della crescita dell’ambiente costruito. “Paesi in pieno sviluppo economico, quelli che nel report sono definiti Grow countries, come la Cina, il Messico e il Brasile – continua Haigh - stanno costruendo una enorme quantità di infrastrutture. Ogni 5 giorni a livello globale viene edificata una superficie pari alla città di Parigi”. E questo significa non solo che vengono estratti e utilizzati materiali vergini, ma che quei materiali rimarranno stoccati per molto molto tempo in edifici, strade, ponti e in ogni altra forma di bene costruito e duraturo, ad esempio grandi macchinari. Si tratta di una grossa fetta dei materiali immessi nell’economia globale: secondo il report sono il 38%, e la loro quantità è cresciuta di ben 23 volte dall’inizio del secolo. “In pratica – conclude Haigh - non rientrando nel ciclo produttivo per moltissimi anni, questi stock di materiali ‘bloccati’ influiscono sul tasso di circolarità facendolo decrescere”.
Insomma, fino a quando non riusciremo a rallentare il consumo di materiali, il tasso di circolarità è destinato a calare.
Ma l’economia circolare non è solo riciclo
Se rincorrere la voracità del mondo nel consumo di materia sembra un’impresa immane, va però ricordato che il riciclo è solo una delle opzioni della transizione circolare. “C’è molto più nell’economia circolare del solo riuso dei materiali”, precisa Haigh. “La cosa buona di avere una metrica condivisa per misurare la circolarità è che quel numero ha il potere di creare un senso di urgenza. Ma non possiamo considerarlo esaustivo, perché dà conto solo di una parte dell’economia circolare”.
Nella gerarchia della transizione circolare, il riciclo è in realtà l’ultima opzione. Come evidenzia il report, un sistema circolare olistico dovrebbe cercare di ridurre il consumo di materia secondo quattro strategie principali: Narrow, ovvero usare meno risorse, che si tratti di materie prime o di energia; Slow, cioè usare più a lungo prodotti, componenti e materiali; Regenerate, che significa sostituire materiali o processi tossici o pericolosi con risorse rigenerative; e infine Cycle, cioè il riciclo e riuso vero e proprio dei materiali.
Altro parametro che rimane fuori è il calcolo della circolarità della biomassa, ovvero tutti i materiali organici di origine animale e vegetale che entrano nei flussi del settore alimentare, ma anche di altri settori come l’abbigliamento, e rappresentano circa il 25% dell’input di materia nell’economia del mondo. “Purtroppo ad oggi i dati a disposizione sono insufficienti e inaffidabili – ci spiega Laxmi Haigh – Ma se riuscissimo a misurare con una certa precisione i flussi di biomassa che rientrano nel ciclo economico (ad esempio sotto forma di nutrienti del terreno quali fosforo e azoto, ndr), il tasso di circolarità globale aumenterebbe di certo”.
Va infine tenuto presente, come sottolineano gli autori del report, che “raggiungere un’economia completamente circolare non è tecnicamente possibile”, dato che, tornando al tema del riciclo, la maggior parte dei materiali possono essere riutilizzati solo per un numero limitato di cicli prima che le loro qualità si degradino.
Fermare la fame di materia per rientrare nei limiti planetari
Insomma, quel 7,2% non pretende di dar conto in modo completo di tutte le strategie attuabili, aprendo quindi un vasto margine di azione, e di speranza, per colmare il gap di circolarità dell’economia globale.
Una strada che però va percorsa con una certa urgenza, visto che la nostra inarrestabile fame di materiali – come avvertono i ricercatori di Circle Economy - ci ha già portati a superare 5 dei 9 limiti planetari, ovvero quei confini che secondo lo scienziato Johan Rockström faremmo bene a non oltrepassare per garantire la sopravvivenza dell’umanità sul pianeta. Siamo invece entrati pericolosamente in zona rossa per quanto riguarda la perdita di biodiversità, l'inquinamento da sostanze chimiche, lo sfruttamento del suolo, l’alterazione dei cicli del fosforo e dell’azoto e, ovviamente, il cambiamento climatico, mentre siamo sull’orlo di una crisi per l’acidificazione degli oceani.
La buona notizia, che è forse il punto più importante del Circularity Gap Report 2023, è che l’economia circolare può invertire la rotta e farci rientrare nei limiti del pianeta. Usare meno, usare più a lungo, riusare e produrre in modo pulito: applicando su scala globale i principi di una vera transizione circolare si potrebbero soddisfare i bisogni delle persone, e garantirli anche ai Paesi che ancora non li hanno raggiunti, utilizzando solo il 70% dei materiali che consumiamo oggi. Un ottimo motivo per non abbattersi e rimboccarsi le maniche.
Immagine: Greg Rosenke (Unsplash)