Il 23 dicembre 1924, l’antivigilia del Natale di un secolo fa, i principali produttori mondiali di lampadine si trovarono a Ginevra per dar vita al Cartello Phoebus, un accordo che per molti economisti rappresenta l’alba dell’obsolescenza programmata. I produttori europei della tedesca Osram, dell’olandese Philips, della francese Compagnie des Lampes, dell’ungherese Tungsram, dell’austriaca Kremenezky, dell’inglese A.E.I./G.E.C. e dell’italiana Società Edison Clerici decisero insieme alla statunitense General Electric di limitare il ciclo di vita delle lampadine per implementarne le vendite.
Nei primi anni Venti del secolo scorso, le società firmatarie del Phoebus plc Industrial Company for the Development of Lighting erano già in grado di produrre lampadine con una vita stimata di 2.500 ore, ma il raggiungimento di questo standard aveva causato un decremento generalizzato nelle vendite. Come dimostra la Centennial Light (letteralmente: lampadina centenaria) nella caserma dei vigili del fuoco di Livermore, in California, i più arditi sperimentatori dell’illuminotecnica erano riusciti a creare lampadine capaci di andare ben oltre il limite mediano delle 2.500 ore. La Centennial Light è infatti una lampadina accesa da oltre 123 anni, cioè dal 1901, e rappresenta una delle prove più tangibili della capacità tecnologica raggiunta dai produttori di lampadine all’inizio del Ventesimo secolo. Prodotta dalla Shelby Electric utilizzando un progetto dell'inventore franco-americano Adolphe Chaillet, ha superato il milione di ore nel 2015 diventando un vero e proprio simbolo di durabilità tecnologica.
Un dogma del consumismo: meno durata, più vendite
Nei primi anni Trenta, nel pieno della crisi economica scaturita dal Martedì nero di Wall Street, l’obsolescenza programmata iniziò a diventare un mantra fra gli economisti statunitensi. Il termine è attribuito a Bernard London che nel saggio Ending the Depression through Planned Obsolescence del 1932 propose di limitare volutamente la durata dei prodotti per dare nuovo impulso a un’economia nazionale impantanata nelle secche della Grande Depressione.
Se Henry Ford agli albori dell’automotive costruiva vetture con l’obiettivo di farle durare per sempre, London proponeva un’obsolescenza programmata di stato: ai prodotti sarebbe stata assegnata una vita limitata e le persone sarebbero state multate qualora avessero utilizzato i prodotti oltre la loro “scadenza”. L’idea circolava già nell’aria, visto che nello stesso anno due designer industriali, Roy Sheldon ed Egmont Arens, pubblicarono Consumer Engineering: A New Technique for Prosperity, libro che sosteneva che una progettazione ispirata al principio dell’usa e getta avrebbe migliorato la società.
Negli anni Trenta altri settori industriali adottarono la strategia alla base dell’accordo fra i colossi mondiali dell’illuminotecnica. Nel 1939 DuPont lanciò sul mercato statunitense le prime calze di nylon. Quasi subito i vertici del colosso statunitense della chimica si resero conto di avere realizzato un prodotto di abbigliamento indistruttibile e incaricarono i propri scienziati di riprogettare le calze in modo da abbreviarne il ciclo di vita costringendo così le donne ad acquistarne un numero maggiore.
Che il concetto di obsolescenza programmata fosse già di dominio pubblico a metà del secolo scorso lo dimostra la centralità del tema nel film Lo scandalo del vestito bianco (The Man in the White Suit). In questa commedia inglese del 1951, il protagonista Sidney Stratton (interpretato da Alec Guinness) realizza un tessuto indistruttibile e impossibile da sporcare ritrovandosi al centro di una cospirazione degli industriali, intenzionati a distruggere la fibra per scongiurare il crollo dell’industria tessile.
L’Unione Europea baluardo della durabilità dei prodotti
Il fattore che ha permesso all’obsolescenza programmata di dilagare sul mercato è stata la globalizzazione e la possibilità di produrre oggetti tecnologici sfruttando la diffusa disponibilità di manodopera a basso costo. Secondo il Global E-waste Monitor nel 2022 sono state generate 62 milioni di tonnellate di RAEE, una quantità di rifiuti elettrici ed elettronici superiore dell'82% rispetto al 2010.
Il principale argine alla perpetuazione di questo dogma dell’economia lineare sembra essere l’Unione Europea, che con l’ESPR, Ecodesign for Sustainable Products Regulation, entrato in vigore lo scorso 18 luglio ha fornito una normativa orientata al miglioramento della sostenibilità ambientale dei prodotti venduti sul mercato unico europeo e all’assicurazione della loro libera circolazione tra gli stati membri dell’UE.
Il 23 aprile il Parlamento europeo ha anche approvato in via definitiva la direttiva sul diritto alla riparazione per i consumatori, fornendo una serie di norme che obbligano i fabbricanti alla riparazione dei beni e incoraggiano i consumatori a prolungare il ciclo di vita di un prodotto attraverso la sua manutenzione.
Nel contesto europeo, la Francia è sicuramente il paese all’avanguardia nel contrastare il fenomeno dell’obsolescenza programmata dal punto di vista normativo. Nel 2015, la legislazione francese ha introdotto il reato di obsolescenza programmata favorendo azioni legali che hanno visto finire in tribunale grandi marchi dell’industria tecnologica. Anche il mondo delle imprese sta facendo la sua parte. Il Club de la durabilitè riunisce oltre 40 società transalpine che, rispondendo alla crescente domanda di prodotti durevoli e riparabili da parte dei consumatori, hanno scelto di impegnarsi in tre direzioni: progettazione, riparazione e utilizzo.
Negli Stati Uniti non esiste una legge federale contro l’obsolescenza, ma sono sempre di più le normative che i singoli stati (Massachusetts, Colorado, Minnesota, California e Oregon, per esempio) mettono in atto per garantire il diritto alla riparazione e prolungare il ciclo di vita dei prodotti tecnologici. Tanto in Europa come oltre oceano, la crescente pressione pubblica e le iniziative dei consumatori sono stati i fattori che hanno accelerato il cambiamento normativo. A cent’anni dall’alba dell’obsolescenza programmata qualcosa è cambiato: grazie all’azione della società civile, accordi come quello del Cartello Phoebus sono arginati da legislazioni attente alla tutela dei consumatori e alla circolarità dell’economia.
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