Il 18 luglio è entrato in vigore il regolamento che stabilisce il quadro per la definizione dei requisiti di progettazione ecocompatibile per prodotti sostenibili, più conosciuto nell’acronimo inglese ESPR (Ecodesign for Sustainable Products Regulation), uno degli ultimi tasselli del Green Deal Europeo.

Il regolamento ha il doppio obbiettivo di migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti venduti sul mercato unico europeo e di assicurare la loro libera circolazione tra gli stati membri dell’Unione. Da un lato quindi si occupa dell’aspetto ambientale, dando alla Commissione europea la possibilità di predisporre un’ampia varietà di requisiti, ad esempio per aumentare la durata dei prodotti, o per eliminare le sostanze chimiche che impediscono il loro riuso o riciclo. Dall’altro si occupa degli aspetti economici per facilitare le aziende che hanno deciso di abbracciare la transizione verde. Infatti, un sistema armonizzato di regole europee che stabiliscono in maniera vincolante quando un prodotto è sostenibile o no è un vantaggio per le aziende che possono sfruttare il volàno di un mercato di quasi 450 milioni di consumatori senza doversi conformare a regole nazionali differenti.

Il regolamento ha anche il grande potenziale di assicurare una concorrenza leale per i prodotti “verdi”, perché si applicherà a tutti i prodotti venduti sul mercato interno indipendentemente dal loro luogo di origine. A tal fine sarà molto importante che vengano messe in pratica dagli stati membri (in collaborazione con la Commissione europea) le norme ESPR tese a rafforzare la vigilanza del mercato e il supporto alle autorità doganali.

La politica di consentire l’accesso al mercato unico europeo ai soli prodotti che sono conformi a requisiti di progettazione ecocompatibile (ecodesign) esiste da alcuni decenni. La prima Direttiva Ecodesign è del 2005 e all’epoca l’attenzione si focalizzava sui prodotti che usano energia (molti degli elettrodomestici nelle nostre case sono regolati dalla Direttiva) o, dopo la revisione del 2009, che sono legati al suo consumo (ad esempio i materiali isolanti, che riducono il consumo energetico degli edifici), cercando di migliorarne l’efficienza energetica.

È lecito dire che l’ecodesing sia una delle politiche ambientali di maggiore successo dell’Unione Europea: si calcola che dalla sua entrata in vigore al 2023 abbia consentito risparmi in bolletta ai cittadini di circa 125 miliardi euro. Il regolamento ESPR progressivamente si sostituirà alla Direttiva Ecodesign nell’acquis communautaire, ricalcandone alcuni elementi (ad esempio la struttura di legislazione quadro seguita negli anni da atti delegati per disciplinare prodotti specifici) e introducendo alcune importanti novità.

Cosa cambia con il regolamento europeo ecodesign

La prima grande novità di ESPR è che non si guarda più unicamente all’efficienza energetica (che resta comunque un parametro importante) ma anche a una serie di altri aspetti ambientali, tra cui, oltre a quelli menzionati prima, ci sono l’impronta ambientale e di carbonio lungo il ciclo di vita dei prodotti; la loro possibilità di essere riparati, rifabbricati o riciclati; il contenuto di materiali riciclati nella loro fabbricazione ed altri ancora a seconda delle specificità dei prodotti che verranno regolati.

L’altra grande novità è l’ampliamento dell’ambito di applicazione: non solo prodotti che sono legati all’energia, ma potenzialmente tutti i prodotti fisici (con poche eccezioni: alimenti, mangimi, medicinali e in una certa misura alcuni veicoli). Questo non vuol dire che l’immenso e variegato portafoglio di prodotti venduti in Europa sarà disciplinato, poiché ciò richiederebbe un investimento sproporzionato in termini di risorse da parte della Commissione europea.

Alla stregua di quanto già succede con la Direttiva Ecodesign, saranno progressivamente regolati i prodotti che sono venduti in grandi quantità e per i quali gli impatti ambientali lungo il loro ciclo di vita sono più rilevanti. Altri criteri importanti sono l’assenza di una legislazione specifica che assicuri la sostenibilità di tali prodotti e l’esistenza sul mercato di prodotti con performance ambientali più alte della media. In altre parole, l’obiettivo è di rendere l’eccellenza ambientale la normalità per i prodotti che saranno acquistati in futuro dei cittadini europei.

La Commissione europea è tenuta a comunicare entro l’aprile 2025 il primo piano di lavoro ESPR che dovrà avere una durata di almeno 3 anni. Il legislatore europeo ha richiesto che sia data priorità a una serie di prodotti con grande impatto ambientale, tra cui acciaio, alluminio, prodotti tessili, mobilio, pneumatici e vari prodotti chimici, elettronici e della tecnologia dell'informazione e della comunicazione. Sarà arduo per la Commissione europea lavorare simultaneamente su una lista così lunga e variegata: è più probabile che sia completata in più piani di lavoro.

Un elemento cruciale per il successo futuro di ESPR è il coinvolgimento di tutti i principali portatori d’interesse, che includono gli esperti degli stati membri, delle associazioni industriali e di consumatori, i rappresentanti delle piccole e medie imprese, delle università e della ricerca scientifica. A tal fine, nei prossimi mesi sarà costituito il Forum sulla progettazione ecocompatibile (Ecodesign Forum) in cui i portatori d’interesse si confronteranno in maniera periodica con la Commissione europea su tutte le principali tematiche legate all’attuazione del regolamento, in particolare sull’elaborazione del piano di lavoro e sui requisiti di progettazione ecocompatibile per i prodotti che saranno inclusi in esso.

Il passaporto digitale del prodotto

Una delle grandi innovazioni incluse in ESPR è il passaporto digitale di prodotto. L’argomento meriterebbe un approfondimento specifico, ci limiteremo quindi ad alcuni elementi principali. Il nome fa già capire che si tratta del “documento d’identità digitale” di un prodotto, atto a memorizzare e rendere disponibile una grande quantità di informazioni sul suo ciclo di vita, inclusi i suoi materiali, la loro provenienza, le capacità di riparazione e di riciclaggio e più in generale la sua performance ambientale. Questi dati saranno accessibili elettronicamente (probabilmente attraverso un codice QR sul prodotto), rendendo più facile per consumatori, operatori economici e autorità di vigilanza prendere decisioni più consapevoli, ad esempio scegliere il prodotto a minor impatto ambientale o riciclarlo nella maniera più corretta.

Il passaporto digitale sarà obbligatorio per qualsiasi operatore economico che immette sul mercato unico un prodotto regolato dagli atti delegati ESPR. Tuttavia, le potenzialità di questo strumento possono andare oltre l’ESPR: di fatto altre proposte legislative europee stanno analizzando la possibilità di utilizzare il passaporto di prodotto come custodia digitale delle informazioni necessarie alla conformità dei prodotti.

Un elemento apparentemente estraneo in una legislazione che si occupa di ecodesign è il divieto di distruzione dei beni di consumo perché esso non si occupa di come i prodotti vengono concepiti ma di quello che accade loro alla fine del ciclo di vita. Il legislatore europeo ha ritenuto tale pratica deprecabile, legata a ragioni di business che giocano in senso ostativo alla necessità di mantenere il più al lungo possibile il valore delle risorse nell’economia, principio cardine a cui s’ispira l’economia circolare e quindi anche l’ESPR.  Sulla base di tale ragionamento, il legislatore ha inserito nel regolamento una serie di norme che impongono sia un obbligo di trasparenza agli operatori economici che attuassero tale pratica (ad esempio pubblicando annualmente sul proprio sito i dati sulla merce distrutta) sia il divieto di distruggere qualsiasi prodotto di abbigliamento e calzatura entro il 19 luglio 2026. Inoltre, ha dato alla Commissione Europea la possibilità nei prossimi anni di introdurre attraverso atti di implementazione divieti anche per altri prodotti.

Come abbiamo visto, l’ESPR si inserisce nel solco ben tracciato della promozione dell’economia circolare nell’Unione Europea (e auspicabilmente per riflesso attraverso il Brussels effect anche nei principali partner commerciali, dato che la protezione dell’ambiente è una sfida globale) ma al tempo stesso è una legislazione decisamente innovativa, con grandi potenzialità sia per la riduzione degli impatti ambientali del consumo europeo che per il miglioramento competitivo della sua industria.

Purtroppo però non basta sfornare una buona legislazione a Bruxelles per generare impatti positivi. Occorre investire risorse (sia finanziare che umane), attenzione politica e predisporre una comunicazione efficace per coinvolgere cittadini, imprese, politici e associazioni nella sua attuazione. Mi auguro che questo articolo possa essere un piccolo contributo in tale direzione.

 

* Le opinioni espresse sono quelle personali dell’autore e non costituiscono una presa di posizione ufficiale della Commissione Europea, né sono per essa vincolanti *

 

Immagine di copertina: Envato