JPMorgan e State Street hanno lasciato lo scorso 15 febbraio Climate Action 100+, una coalizione di investitori globali che spinge le aziende a ridurre le emissioni climalteranti, mentre BlackRock ha annunciato di aver trasferito la propria adesione al suo braccio internazionale, limitando il proprio coinvolgimento come quartier generale americano.
Una serie di annunci che mostra quanto sia complessa la transizione finanziaria verso la decarbonizzazione negli Stati Uniti, dopo che vari procuratori generali hanno citato in giudizio le aziende in merito alla loro appartenenza a questi gruppi.
La posizione di JPMorgan
Nella coalizione, sostiene un portavoce di CA100+, rimangono ancora più di 700 investitori "impegnati a gestire il rischio climatico e a preservare il valore per gli azionisti attraverso la loro partecipazione all'iniziativa", con gestori di asset come Amundi fortemente intenzionati a non cambiare la rotta. La decisione congiunta però eliminerà quasi 14.000 miliardi di dollari di attività totali dagli sforzi per coordinare l'azione di Wall Street nell'affrontare il cambiamento climatico.
JP Morgan, già criticata negli ultimi giorni per le previsioni completamente errate sull’andamento del listino S&P500, ha preso questa decisione su pressione di numerosi investitori attivisti repubblicani pro-Trump, mettendo inequivocabilmente il gigante finanziario nella lista delle istituzioni non allineate con l’Accordo di Parigi. Un portavoce della società ha comunque ribadito che JP Morgan ha fatto investimenti significativi per sviluppare un proprio quadro di impegno sul rischio climatico e di avere un team di 40 professionisti dedicati agli investimenti sostenibili.
"Non mi sorprenderebbe se si verificassero altre defezioni, soprattutto perché ora c'è un rischio, legato ai contenziosi legali, che non c'era quando le aziende hanno aderito", ha dichiarato a Bloomberg Lance Dial, socio dello studio legale K&L Gates LLP di Boston, uno degli studi legali più importanti del paese.
Climate Action 100+
La coalizione di investitori è diventata bersaglio politico da vari mesi a causa di una campagna repubblicana contro gli investimenti ESG negli Stati Uniti. Il CA100+ era stato istituito per spingere aziende come BP, Exxon Mobil Corp. e Glencore a migliorare la propria governance, a ridurre le emissioni e a rafforzare le informazioni finanziarie relative al clima. Nella seconda fase di CA100+, lanciata di recente, era stato chiesto agli investitori di "chiedere alle aziende di passare dalle parole ai fatti", ad esempio riducendo attivamente le emissioni o legando i bonus dei CEO alle performance non finanziarie. Questa fase “attivista” potrebbe comportare ulteriori sfide per gli investitori che cercano di mantenere un profilo basso per le azioni sul clima, in questa fase estremamente complessa.
Eppure i risultati di CA100+ si erano fatti sentire. Lo scorso anno, il più grande asset manager europeo, Amundi, membro di CA100+, aveva votato contro più di 500 amministratori di 84 aziende del settore energetico e dei servizi di pubblica utilità, per il mancato impegno sulla decarbonizzazione. Una posizione allineata con gli obiettivi finanziari e di decarbonizzazione dell’azienda. Impegno ribadito per altro nel voto contrario (in 89 CdA) alla retribuzione dei bonus dei dirigenti presso "società del settore petrolifero, del gas e delle utilities" a causa della "mancanza di criteri di performance legati al clima nei loro sistemi di retribuzione variabile del senior management".
Il ritiro di JPMorgan e di State Street è molto importante perché invia un segnale sbagliato e dà un alibi ad altri per fare lo stesso. È tempo che le istituzioni europee e asiatiche diano un segnale importante contro la miopia statunitense, accecata da una gara elettorale che rischia di avere effetti duraturi nella complessa transizione verso un’economia a basse emissioni.
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