Il 15 marzo gli ambasciatori degli Stati membri dell'Unione Europea riuniti presso il Comitato dei Rappresentanti permanenti COREPER hanno votato a favore della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Nota anche come CSDDD, CSDD, CS3D o più semplicemente Supply chain act, la Direttiva sul dovere di diligenza dovuta nasce per stabilire norme riguardanti le responsabilità delle grandi aziende in relazione agli impatti negativi concreti e potenziali sull'ambiente e sui diritti umani delle proprie attività di impresa, delle società controllate e lungo l’intera catena del valore. Con il voto in COREPER, la saga per l’approvazione della CSDDD volge quindi al termine. Dopo rinvii e bocciature, il prezzo dell’accordo è stato però una significativa diluizione del livello di ambizione del testo.

Il perimetro di applicazione della direttiva sarà infatti ristretto alle imprese che contano oltre 1.000 addetti (e non più di 500 come nella precedente proposta) e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro. I comparti considerati ad alto rischio al momento sembrano essere stati interamente esclusi, mentre l'introduzione della normativa subirà ulteriori posticipazioni. “Nonostante il sabotaggio da parte del Partito liberale democratico nel governo tedesco, dell'Italia [che ha però poi cambiato la propria posizione col voto del 15 marzo, ndr], della Francia, della Finlandia e di altri ‒ ha dichiarato su Linkedin Heidi Hautala, vicepresidente del Parlamento Europeo ‒ il nucleo della direttiva rimane intatto. I principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani saranno, per la prima volta, codificati nel diritto dell'UE e le imprese saranno obbligate a condurre una due diligence ambientale e sui diritti umani nelle loro catene del valore.”

"Sebbene sia un sollievo che la legislazione sia sopravvissuta ai tentativi di eliminarla completamente ‒ ha commentato Hannah Storey, Policy Advisor on Business and Human Rights di Amnesty International ‒ alcuni Stati hanno eroso il testo in modo che la CSDDD nella sua forma attuale sia inferiore alle aspirazioni originali. Ora si applicherà solo alle imprese più grandi, il che significa che quasi il 70% delle aziende che sarebbero state coperte nella precedente bozza saranno ora esentate.”

Il prossimo passo nell’iter della CSDDD sarà l'adozione formale dell'accordo da parte del Consiglio UE. Dopodiché il testo sarà votato dalla Commissione Affari Legali del Parlamento europeo. Il voto finale è atteso in plenaria ad aprile 2024.

CSDDD, un assalto alla diligenza (dovuta) riuscito a metà

Secondo quanto si apprende da diverse fonti diplomatiche, la maggioranza qualificata necessaria in COREPER è stata ottenuto attraverso intensi sforzi diplomatici e notevoli compromessi dell'ultimo momento, negoziati dalla Presidenza belga del Consiglio UE. “La Due Diligence è passata in Consiglio! Le persone e il pianeta hanno prevalso sul cinismo. Grazie alla Presidenza belga per tutti i suoi sforzi” ha subito scritto su X la relatrice della proposta Lara Wolters (S&D).

“Il comportamento del Consiglio e degli Stati membri negli ultimi mesi è stato riprovevole e dannoso per la credibilità del processo decisionale dell'UE”, ha aggiunto Heidi Hautala. “Invece di rispettare l'accordo di trilogo di dicembre, che già rappresentava un compromesso equilibrato, gli Stati membri si sono impegnati in una serie infinita di mercanteggiamenti e tentativi dell'ultimo minuto di indebolire la legislazione.”

Nelle ultime settimane in Europa intorno al testo si è giocata una vera e propria battaglia diplomatica. Dopo l’accordo provvisorio raggiunto tra Consiglio e Parlamento a dicembre, l’adozione formale della Direttiva da parte dei Paesi membri prevista il 9 febbraio è infatti saltata a causa dell’ostruzione di alcuni Stati, tra cui Germania e Italia. Le delegazioni si sono fatte voce delle preoccupazioni delle principali associazioni industriali. In particolare, la tedesca BDI e l’italiana Confindustria lamentavano il rischio dell’introduzione di eccessivi oneri burocratici e costi aggiuntivi a carico delle imprese. Ma non solo.

La reazione di Business Europe

Il 6 febbraio era circolata una lettera, visionata da Materia Rinnovabile, indirizzata da Business Europe agli ambasciatori dei 27 Stati membri. Il documento raccoglieva le ulteriori istanze degli industriali. La confederazione delle imprese europee sottolineava innanzitutto l’esigenza di un impegno politico tra Commissione e Stati membri per garantire l’armonizzazione nella futura fase di recepimento della Direttiva. Questo per impedire il rischio di frammentazione del Mercato Unico. Business Europe chiedeva poi ai Paesi membri di ribilanciare le disposizioni in materia di sanzioni e responsabilità civile (il testo di dicembre prevedeva sanzioni alle aziende inadempienti fino al 5% del loro fatturato netto mondiale).

“Le norme sulla responsabilità civile sono ancora sbilanciate perché sopravvalutano la leva e l'influenza che le imprese europee hanno nella loro catena di attività, mentre sottovalutano le asimmetrie e le lacune informative che le imprese si trovano a dover affrontare nel momento in cui mappano i loro rischi” si legge nel documento. Con la bozza approvata il 15 marzo sono tuttavia state rimosse le clausole relative alla responsabilità civile, che avrebbero permesso ai sindacati di avviare azioni legali contro le aziende non conformi.  

Nella lettera, Business Europe evidenziava inoltre i rischi derivanti dall’introduzione dell’obbligo di rescindere i contratti in essere in caso di violazione delle disposizioni in materia di tutela ambientale, di tutela dei lavoratori e di protezione dei diritti umani lungo la catena di fornitura. “L'obbligo di rescindere i contratti dovrebbe essere davvero una misura di ultima istanza”, si legge. “Il Consiglio dovrebbe mantenere la sua posizione precedente che concedeva eccezioni alla risoluzione nei casi in cui l'interruzione di un rapporto sarebbe peggiore dell'impatto da evitare o quando non esista alcuna alternativa disponibile a tale rapporto commerciale.” In quel caso la risoluzione “causerebbe un pregiudizio sostanziale all'azienda”. Un rischio che secondo Business Europe minerebbe “l'obiettivo dell'Europa di garantire l'accesso a materie prime essenziali per la transizione e la sicurezza”.

Sul punto si è espresso anche Alessandro Asmundo, Senior Policy Officer del Forum per la Finanza Sostenibile, che a Materia Rinnovabile ha spiegato: "La Direttiva obbliga in termini di impegno, di procedure, e non di risultati. Richiede cioè alle imprese di fare tutto il possibile per minimizzare gli impatti negativi. Non chiede di non avere impatti negativi, perché chiaramente c'è la consapevolezza che è difficile ritenere un'impresa automaticamente e pienamente responsabile di quello che viene fatto dall'altra parte del mondo, per esempio da un'azienda partner. Al contrario, è legittimo richiedere che abbia fatto tutto il possibile per garantire che quel rischio fosse minimizzato. La sanzione massima del 5% è prevista unicamente nel caso di gravi violazioni e non è correlata al mancato raggiungimento di un obiettivo. Questo risultato è frutto di una mediazione emersa proprio nel dialogo tra Parlamento e Consiglio, per tenere conto delle istanze delle imprese." 

Reagendo all'accordo del 15 marzo, il direttore generale di Business Europe, Markus J. Beyrer, ha però dichiarato: "Le nuove norme sulla due diligence aggiungeranno obblighi senza precedenti, stabiliranno dure sanzioni con potenziali implicazioni esistenziali per le aziende e le esporranno unilateralmente a controversie legali da ogni parte del mondo. Le PMI, pur essendo teoricamente fuori dal campo di applicazione della direttiva, saranno colpite negativamente in quanto costituiscono la maggior parte delle catene del valore […] Abbiamo chiesto un'armonizzazione significativa, definizioni più chiare e disposizioni più equilibrate in materia di applicazione e responsabilità, che non ci sono. Lo stretto margine di approvazione e l'astensione di ben 10 Stati membri, che rappresentano oltre il 31% della popolazione dell'UE, dimostrano che questo compromesso è ancora lontano da una soluzione praticabile. Esortiamo i decisori dell'UE ad affrontare le restanti preoccupazioni prima dell'adozione finale della direttiva".

Non tutta l’industria era contraria

Va sottolineato che non tutta il mondo industriale era contrario alla CSDDD. Ad esempio, il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), organizzazione globale guidata dai CEO di oltre 225 tra le principali aziende al mondo, il 15 febbraio ha esortato “vivamente” gli Stati membri dell'Unione Europea (UE) a sostenere la CSDD nella votazione della riunione del COREPER.

All’appello del WBCSD faceva eco negli stessi giorni una lettera aperta firmata da 26 aziende e reti di fornitori ‒ tra cui ALDI SÜD, Bayer, Primark, Mars, Tchibo, KiK, Ritter Sport, VAUDE, FRoSTA – indirizzata alla Cancelleria tedesca per sostenere l’approvazione della Direttiva. “In qualità di grandi, medie e piccole imprese e delle loro reti, siamo molto preoccupati che il sostegno tedesco alla direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità delle imprese (CSDD) possa essere ancora ritirato durante il processo di approvazione finale. Il compromesso politico sulla CSDDD del dicembre scorso si basa sugli standard delle Nazioni Unite e dell'OCSE e quindi su linee guida che le aziende responsabili utilizzano come riferimento da anni. A nostro avviso, i requisiti della CSDDD sono appropriati e fattibili.”

Altre reazioni

"Dopo anni di intensi negoziati e nonostante i molteplici tentativi di sventrare la legge, gli Stati membri hanno finalmente appoggiato la CSDDD. Ma questo voto ha avuto un prezzo elevato: grazie a un mercanteggiamento dell'ultimo minuto, la legge coprirà ora solo un numero limitato di aziende, mancando l'obiettivo iniziale di affrontare l'intera impronta ambientale delle imprese”, ha dichiarato in un comunicato Anaïs Berthier, responsabile dell'ufficio di Bruxelles della ONG ClientEarth, commentando il voto del 15 marzo.

Secondo Berthier la direttiva CSDD ha il potenziale per creare un precedente a livello mondiale, trasformando gli standard internazionali volontari in norme vincolanti che promuovono una concorrenza leale e livellano le condizioni di gioco per le grandi aziende in tutta l'UE. “Le lobby aziendali e i giochi politici hanno sprecato questa opportunità di rivoluzionare il modo in cui facciamo affari nell'UE e oltre, escludendo la maggior parte delle aziende dal suo campo di applicazione”, aggiunge Berthier. Secondo quanto dichiarato dall’European Coalition for Corporate Justice “purtroppo, la direttiva CSDD si applicherà solo a circa lo 0,05% delle imprese e delle attività commerciali dell'UE che tipicamente comportano rischi per l'ambiente e i diritti umani”.

 

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Immagine: Consiglio dell'Unione Europea