Il modello di economia circolare Cradle to Cradle, dalla culla alla culla, viene ormai adottato in numerosi settori dell’industria: dal tessile all’edilizia, all’automotive, alla chimica, negli imballaggi, nei prodotti cosmetici, nella stampa. E in agricoltura? Chi dice che l’agricoltura è già di per sé circolare, è di per sé Cradle to Cradle, dice il falso. 

Terreno lasciato scoperto per diversi mesi all’anno, lavorazioni invasive, monocoltura, concimazioni e trattamenti chimici, più energia da fonti fossili immessa nei processi di coltivazione di quella ricavata con i prodotti della terra. “L’agricoltura convenzionale ha un impatto ambientale particolarmente rilevante” ha scritto il professore Michael Braungart “e sta rapidamente distruggendo le risorse essenziali per l'alimentazione delle generazioni presenti e future. Più della metà della superficie terrestre utilizzabile è coltivata. Nessuna attività umana ha un impatto così profondo sulle risorse naturali del Pianeta e sul benessere umano come l'agricoltura.”

 

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Le piante, a differenza degli altri esseri viventi, hanno una caratteristica che le rende particolari, dalla più piccola specie erbacea ai maestosi baobab africani e australiani, alle gigantesche sequoie della Sierra Nevada in California: sono costituite per più del 90% da aria (CO2) e acqua trasformate in materia (zuccheri) attraverso la fotosintesi e soltanto una minima parte è rappresentata da elementi minerali, che per altro non potrebbero essere assorbiti dal terreno senza la cooperazione dei microrganismi presenti nel suolo. Fonte energetica rinnovabile, pulita, inesauribile e gratuita: il sole.

Attraverso l’apparato radicale le piante trasferiscono al microbioma del terreno gli zuccheri elaborati con la fotosintesi, e i microrganismi, principalmente batteri e funghi, rendono disponibili all’assorbimento radicale gli elementi minerali necessari alla pianta. Questo in estrema sintesi il processo che da quasi cinquecento milioni di anni fa sì che sia possibile la vita sul Pianeta.

E invece l’Homo Sapiens Sapiens cosa fa? Entra a gamba tesa in questa simbiosi perfetta con vere e proprie macchine da guerra sempre più grandi e pesanti che compattano, rivoltano gli strati e in buona sostanza uccidono la vita del suolo per poi dover nutrire le piante con fertilizzanti chimici di sintesi e proteggere le colture dalle avversità con altri prodotti chimici, il più delle volte assai dannosi per gli esseri viventi.

Con lo scopo di nutrire il Pianeta ‒ così si usa dire ‒ in realtà si produce cibo con caratteristiche nutritive scadenti e si impoverisce la risorsa principale, che più di tutte andrebbe conservata e rispettata: il suolo. Siamo sicuri, quindi, che l’agricoltura convenzionale, compresa quella 4.0 di precisione e in parte anche quella definita biologica, sia in grado di risolvere il problema dell’alimentazione mondiale?

Osservare e ispirarsi alla natura non è cosa da “figli dei fiori in comune agricola”, ma rappresenta il senso più profondo dell’appartenere a un macrorganismo molto più grande del singolo individuo. Ispirarsi alla natura significa far tesoro di 4 miliardi di anni di evoluzione nei quali le soluzioni ai problemi per la realizzazione di prodotti, principi e interi sistemi, sono già esistenti: nelle costruzioni, nella mobilità, nella gestione dei servizi, ecc.

 

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I principi del Cradle to Cradle e dell’agrosintropia

In natura non esiste il concetto di rifiuto e questo è uno dei principi del modello Cradle to Cradle: tutto viene trasformato e diviene nutrimento per gli altri organismi. In natura il suolo è sempre coperto da vegetazione, stratificata e in costante evoluzione, e questo è uno dei principi dell’agroforestazione successionale o agricoltura sintropica, così praticata da Ernst Götsch, agronomo e ricercatore svizzero, trasferitosi nello Stato di Bahia in Brasile all’inizio degli anni Ottanta, ideatore dell’approccio sintropico in agricoltura.

Se l’agricoltura convenzionale non ha nulla a che vedere con il principio Cradle to Cradle per i motivi già esposti, l’agrosintropia può essere considerata a pieno titolo la parte agroforestale del modello Cradle to Cradle di cui ricordo i tre principi fondanti: non esiste il concetto di rifiuto, tutto è nutrimento; l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili è la base della produzione; le diversità biologica e culturale devono essere sostenute e incrementate. Ne aggiungerei poi un quarto che recita: il maggior input esterno è la conoscenza, il sapere.

In agricoltura sintropica vengono soddisfatti anche i cinque criteri indicati dal Cradle to Cradle Products Innovation Institute per la certificazione del prodotto, ovvero: salubrità dei materiali; riciclabilità dei materiali; rispetto dei cicli di acqua e suolo; impatto positivo sulla qualità dell’aria e sui cambiamenti climatici; utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; rispetto dell’equità sociale.

Ma perché l’agricoltura sintropica è diversa? Cos’ha in più rispetto a tutte le altre forme di coltivazione? Perché può essere considerata l’agricoltura Cradle to Cradle? Perché è la forma di agricoltura che più di altre genera la vita e non la distrugge, perché la progettazione è essenziale per un risultato efficace, perché lascia un’impronta positiva.

Ciò che fa la differenza, può sembrare banale, è che l’agricoltura in genere lavora sulle due dimensioni che sono lunghezza e larghezza. L’agrosintropia lavora invece su quattro dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza (stratificazione)  e tempo (successione ecologica).

 

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Vegetazione e stratificazione

Con l’occhio rivolto alle foreste naturali, vero modello di riferimento per l’agricoltura sintropica, la stratificazione di specie erbacee, arbustive e arboree su più livelli a seconda delle esigenze in fatto di illuminazione e ombreggiamento mantiene il suolo costantemente coperto in modo tale che la sostanza organica ‒ grazie a una intensa attività microbica ‒ e la disponibilità di acqua ne conservino e ne accrescano la fertilità, facendo sì che la CO2, uno dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo, venga efficacemente trattenuta.

La successione ecologica è invece il processo con il quale un ecosistema, attraverso costanti modificazioni, tende a evolvere da una fase di colonizzazione con specie pioniere verso uno stato climax in equilibrio con l’ambiente circostante.

Gli organismi viventi, rispetto alle altre trasformazioni spontanee dell'universo, che durante i processi tendono all’entropia ‒ ovvero tendono a dissipare energia ‒ alternano le fasi di perdita con l’accumulo e la concentrazione di energia; la sintropia all’opposto dell’entropia ma complementare a essa, accumula e organizza l’energia. Successione naturale e stratificazione perciò hanno il compito di seguire il flusso di questa tendenza sintropica della vita, aumentando la biodiversità, la biomassa, l’energia in generale e in definitiva, la fertilità.

Nella pratica questi principi si traducono in una densità di impianto molto elevata rispettando tutte le fasi della successione e la stratificazione che, trattandosi di un’attività produttiva vengono accelerate da interventi di manutenzione mirati. Tra questi la potatura drastica svolge un ruolo fondamentale poiché stimola la produzione di ormoni vegetali della crescita che vengono trasferiti alle radici; stimola la fotosintesi; produce biomassa che viene lasciata al suolo con funzione di fertilizzazione. A questo scopo insieme alle piante da reddito vengono messe a dimora piante da supporto che svolgono proprio la funzione di accrescere la biomassa accelerando i processi di successione e stratificazione.

 

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L’agricoltura sintropica cambia i microclimi

Agua se planta”, l’acqua si pianta, sostiene Ernst Götsch, e lui l’acqua l’ha piantata per davvero nella Fazenda Olhos de Agua, nello Stato di Bahia in Brasile. Insediatosi in quella che veniva chiamata “Fugidos da Terra Seca” piantando alberi, coltivando e soprattutto osservando ciò che avveniva in natura, ha letteralmente trasformato, nel volgere di alcuni anni, non solo la vegetazione, ma anche il microclima della zona, in cui sono aumentate le precipitazioni.

I cambiamenti climatici in atto provocano, tra gli effetti, lunghi periodi siccitosi; l’aumento della capacità di fotosintesi determinata dall’elevata densità di impianto accresce la disponibilità idrica nel suolo e nel periodo medio-lungo modifica anche le condizioni microclimatiche, consentendo di coltivare anche senza l’apporto di acqua dall’esterno.

Trattandosi di un’attività a cielo aperto, in zone climatiche anche molto differenti tra loro, non esiste una ricetta valida ovunque, ma solamente principi generali da applicare a seconda delle condizioni ecologiche nelle quali si opera. Ogni caso presenterà differenze nella composizione del terreno, di temperatura, umidità, di esposizione e di copertura del suolo che vanno rispettate, e le azioni intraprese dovranno essere di cooperazione piuttosto che di competizione.

Tutto ciò richiede una profonda conoscenza dell’areale e delle tecniche, ma anche di dimenticare e abbandonare molte delle pratiche agricole abituali. Per questo è necessario, come per il concetto Cradle to Cradle, un cambiamento culturale che deve coinvolgere le istituzioni, dagli ordini professionali alle associazioni di categoria alle scuole e università di agraria, alle amministrazioni pubbliche a ogni livello.

Cosa serve?

Approfondimenti sulle tecniche di agricoltura sintropica sono disponibili in siti internet, pubblicazioni e video esplicativi. Inoltre è in fase di pubblicazione l’edizione in italiano del libro di Dayana Andrade e Felipe Pasini Vida em Sintropia, mentre l’altro testo, Agricultura sintropica segundo Ernst Götsch di Fernando Rebello e Daniela Sakamoto, è per ora solamente in lingua portoghese.

Quello che si vuole sottolineare con questo articolo è l’aderenza dell’agricoltura sintropica al principio Cradle to Cradle e la funzione che questa modalità di coltivazione potrà avere in futuro, per il suo impatto positivo sull’ambiente e sulla qualità del cibo prodotto.

In genere nelle nostre considerazioni siamo portati a vedere ciò che ci è più familiare, che ci riguarda più da vicino, ma niente più dell’agricoltura deve essere osservato in un’ottica planetaria. Come l’agricoltura sintropica ha trasformato una “terra secca” in una foresta nella quale oggi si produce il miglior cacao del Brasile, insieme a numerosi altri frutti, senza alcun apporto di acqua e di energia dall’esterno (sotto forma di fertilizzanti e antiparassitari) se non quella del Sole e del lavoro umano, così è necessario abbandonare pratiche agricole che stanno rapidamente portando alla desertificazione vaste aree agricole del Pianeta, compreso il nostro Paese, con conseguenze devastanti per le popolazioni in termini di accesso al cibo, all’acqua, causa di migrazioni e di guerre.

 

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L’agricoltura sintropica sarà in grado di nutrire tutti gli esseri umani del Pianeta? Se consideriamo i risultati ottenuti da Götsch in Brasile, dalle altre esperienze in Brasile, in Africa e in Australia, da Gennaro Cardone e Marc Leiber, pionieri di questa pratica nelle zone più aride d’Europa, in Portogallo, oltre alle numerose piccole realtà sparse per l’Europa e in Italia, dove, nel Salento Dayana Andrade e Felipe Pasini da alcuni anni lavorano alla masseria Amadeco, la risposta è che l’agricoltura sintropica su larga scala è possibile ed efficace anche per produrre cibo sufficiente per tutti gli abitanti della Terra.

Cosa serve? La diffusione della conoscenza, innanzitutto. Servono ‒ sembrerebbe ovvio ma così ovvio non è ‒ macchine agricole che lavorino a favore della vita del suolo e non contro di essa. È necessario perciò che anche la ricerca faccia la sua parte e faccia convergere progetti e risorse nello studio e nella sperimentazione alle varie latitudini, e di concerto con le istituzioni e le realtà già esistenti crei il substrato culturale per un cambio davvero epocale, esattamente come per il modello Cradle to Cradle.

 

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Immagine: Eddie Kopp, Unsplash