Per adattarsi a un clima sempre più caldo serve l’aria condizionata. Tra ondate di calore, temperature più alte e crescita economica nei Paesi emergenti, riusciremo a produrre abbastanza energia per rinfrescare tutti? Si tratta di un compromesso tra adattamento e mitigazione approfondito da uno studio apparso su Nature, che ha stimato per la prima volta due effetti separati del cambiamento climatico sull’uso dei condizionatori in ambito domestico.
Il primo riguarda l’intensità nell'uso dei condizionatori, cioè osserva quanta elettricità verrà consumata al variare delle temperature. Il secondo tiene conto dell'aumento dell'acquisto di condizionatori a livello globale – aspetto inedito in letteratura – che può avere ragioni climatiche oppure semplicemente economiche, come l’incremento del potere d’acquisto in un determinato Paese emergente.
Dallo studio dell'Università Ca' Foscari di Venezia emerge che entro il 2050 – in uno scenario di riscaldamento globale allarmante che prevede un aumento delle temperature medie globali di circa 4-5°C entro metà secolo – la diffusione di condizionatori raddoppierà in Europa e quadruplicherà in India, registrando un incremento del 40% in entrambe le regioni. Si stima che da un lato l’uso dell’aria condizionata potrà ridurre l'esposizione giornaliera al calore di 150 milioni di europei e 3,8 miliardi di indiani, ma allo stesso tempo potrebbe aumentare la domanda annuale di elettricità di 34 TWh e 168 TWh rispettivamente in Europa e in India.
“Il raffrescamento industriale e quello commerciale sono i settori che contribuiscono di più ai picchi di domanda energetica – spiega a Materia Rinnovabile Francesco Colelli, autore dello studio – il problema, però, è che i dati provenienti da questi comparti sono tipicamente molto aggregati e quindi non abbiamo delle proiezioni specifiche. Siamo riusciti a valutare molto meglio l'impatto della diffusione dei condizionatori a livello residenziale.”
L’IEA stima che l’uso dei condizionatori triplicherà entro il 2050. Ad oggi globalmente sono in uso circa 3,6 miliardi di dispositivi di raffreddamento, ma se dovessero essere forniti a tutti coloro che ne hanno bisogno, e non solo a coloro che possono permetterselo, entro metà secolo sarebbero necessari ben 14 miliardi di condizionatori.
Le emissioni derivate dal raffrescamento
L’incremento della domanda di energia si traduce in rilascio di grandi quantità di anidride carbonica. Colelli e le ricercatrici Ian Sue Wing e Enrica De Cian, assumendo che l’elettricità si continui a produrre con l’attuale mix energetico, hanno calcolato che entro metà secolo il funzionamento dei condizionatori genererebbe tra le 7 e 17 milioni di tonnellate di CO2 in Europa, e tra le 38 e 160 milioni di tonnellate in India.
“È vero che in uno scenario di decarbonizzazione avremo meno emissioni – commenta Colelli – ma saranno necessari grandi investimenti nel sistema elettrico perché dovremo aumentare le installazioni di solare ed eolico. In Paesi come Italia e Spagna, la scelta del condizionamento come strategia di adattamento all'innalzamento delle temperature comporterà anche un aumento dei picchi di consumo elettrico.” Secondo Francesco Colelli servono quindi investimenti in impianti di generazione e trasmissione necessari per far fronte ai nuovi livelli di domanda di energia elettrica.
In Italia, in particolare, si stima che la domanda di picco energetico annuale aumenti di circa 10 GW, un aumento del 16% rispetto ai livelli attuali. Oltre all’Italia, anche altri Paesi dell’Europa meridionale come Cipro, Grecia, Spagna dovranno affrontare picchi di domanda energetica. Secondo i ricercatori sarà necessario “incrementare in modo sostanziale la capacità di generazione elettrica”.
La domanda di raffreddamento nei Paesi emergenti
Negli ultimi vent’anni, il settore in cui sì è verificata la più rapida crescita nell’uso di energia è stato quello del raffreddamento nelle aree urbane, in seguito a un chiaro aumento del possesso di apparecchiature di raffrescamento, principalmente nei Paesi più sviluppati. La crescita demografica e il riscaldamento globale rappresentano un ulteriore ostacolo per soddisfare le future esigenze energetiche soprattutto nei grandi aggregati urbani. Su questo ha dedicato uno studio il CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) con l’obiettivo di stimare la domanda globale di aria condizionata e comprendere le esigenze nazionali di approvvigionamento e stoccaggio dell’energia.
Considerando i fattori di umidità e densità di popolazione, sono India, Cambogia, Thailandia e Vietnam i Paesi in cui crescerà di più la domanda energetica dovuta all’aria condizionata. Si registra un aumento significativo sia del numero che della durata dei picchi di domanda, il che suggerisce un potenziale incremento delle condizioni di stress termico per la popolazione e per i fornitori di energia.
L'utilizzo di condizionatori d'aria e ventilatori elettrici rappresenta oggi quasi il 20% dell'elettricità totale consumata negli edifici di tutto il mondo. Per ora sono Cina e Stati Uniti a consumare più energia da sistemi di raffreddamento, ma sarà probabilmente l’India il Paese nel quale vedremo una diffusione di condizionatori più veloce e capillare.
“In questo studio abbiamo introdotto tre elementi principali di novità rispetto alla letteratura precedente in questo campo”, ha dichiarato Enrico Scoccimarro della divisione Climate Simulations and Predictions del CMCC e principale autore della ricerca. “Innanzitutto, per stimare i giorni di raffreddamento abbiamo considerato la temperatura percepita anziché quella assoluta, al fine di esprimere meglio la necessità di raffreddamento sperimentata dal corpo umano.” La temperatura percepita tiene conto dell’umidità, che peggiora il disagio fisico causato dal calore estremo, e rappresenta quindi un indicatore più avanzato e completo sull’aumento previsto della domanda energetica per il raffreddamento.
“Inoltre, abbiamo osservato che vaste aree in cui le temperature sono tipicamente alte, come le zone desertiche, sono in effetti scarsamente popolate e quindi non hanno un impatto significativo sull’aumento complessivo della domanda energetica.” Ecco quindi spiegato il fattore che tiene conto della densità di popolazione.
La terza novità introdotta in questo studio è il concetto di cluster nel tempo degli eventi estremi. “Da un punto di vista energetico, avere diversi picchi di domanda energetica in un breve periodo di tempo o avere un picco di tanto in tanto fa una grande differenza”, ha aggiunto Scoccimarro.
Nello studio si sottolinea l’importanza nella capacità di stoccaggio dell’energia. Se si ha una serie di eventi estremi che richiedono una grande quantità di energia per diversi giorni consecutivi, potrebbe non esserci disponibilità diretta di energia sufficiente, per cui sarebbe necessario immagazzinarla. “Per questo motivo – si legge nel report – avere un futuro in cui gli eventi tendono a essere più raggruppati significa avere una maggiore necessità di stoccaggio di energia.”
Oltre agli impatti climatici, la crescente domanda energetica nei periodi di caldo estremo potrebbe avere conseguenze negative anche sulla rete elettrica, con blackout e interruzioni di corrente. Approfondiremo il tema parlando dei rischi e delle soluzioni che possono rendere la rete più resiliente ai picchi di domanda.
Immagine: Mike van Schoonderwalt, Pexels