“La mia speranza è che in futuro il festival diventi un palcoscenico non solo per la denuncia, ma per testimoniare un vero cambiamento in atto”. Così mi diceva qualche anno fa Gaetano Capizzi, a conclusione di un’intervista che gli avevo chiesto per il ventennale di CinemAmbiente.
Ideatore, fondatore e per 26 anni direttore del primo e più importante festival italiano di film a tematica ambientale, Capizzi si è spento a Torino la mattina del 24 ottobre. Il cambiamento che auspicava, benché sempre troppo lento, sta oggi effettivamente avvenendo, e il suo festival, la sua creatura, ne è certamente uno dei motori.
L’anno scorso, su queste pagine, scherzavo sulla ritrosia e l’indole poco incline all’auto-celebrazione di Gaetano, augurandomi che qualcuno riuscisse a vincerla per fare un film sulla storia di CinemAmbiente. Oggi vorrei davvero che quel film fosse stato girato. Dal 1998 ad oggi, il festival torinese (ma internazionale per vocazione e network) ha fatto praticamente la storia di un genere, e non solo in Italia, intercettando problemi, evoluzioni, soluzioni e spesso anticipando tendenze e movimenti di opinione.
Non posso dire purtroppo di essere stata presente sin dalla prima edizione, ma quel che è certo è che da quando mi ci sono imbattuta non l’ho più mollato. Se i temi ambientali sono oggi al centro del mio lavoro di giornalista è anche grazie a Capizzi e al suo festival. Ho scritto innumerevoli articoli, presentazioni, recensioni e interviste sui film e i protagonisti di CinemAmbiente (alcuni davvero eccezionali, come il presidente delle isole Kiribati Anote Tong, o il fotografo dei ghiacci James Balog); l’ho seguito portandolo in tutte le mie migrazioni professionali, imbastendo collaborazioni e media-partnership per le testate in cui ho lavorato, dalla Stampa all’Huffington Post fino a Materia Rinnovabile, che è mediapartner del festival da due anni. L’ho fatto perché credo nel messaggio, sacrosanto, del festival, e nella sua capacità di veicolare informazioni a un pubblico ampio ma senza semplificazioni, e perché considero la rete internazionale di relazioni, storie e conoscenza raccolte da Capizzi e dal suo team in tutti questi anni un vero e proprio patrimonio culturale.
Oggi, con grandissima tristezza ma anche con tanta gratitudine per ciò che Gaetano è riuscito a costruire, vorrei ricordarlo attraverso le sue stesse parole, quelle che ho raccolto negli anni nei miei articoli. Provando così a tracciare una breve storia del festival, che è anche un po’ la storia di un’amicizia.
Pioniere del cinema ambientale
Degli inizi di CinemAmbiente, Gaetano mi raccontava in un’intervista raccolta nel 2017 per Casa Naturale. “Nel 1996, anno in cui cadeva il decennale di Cernobyl, con la mia associazione Pervisione organizzammo a Torino una rassegna di film sul nucleare. Fu il nostro primo passo nel mondo del cinema ambientale. Trovammo tantissimo materiale e ci rendemmo conto che attraverso il cinema si poteva dare un’importante testimonianza. Visto il successo, il Comune di Torino ci propose di organizzare un festival su temi ambientali: nasceva così, nel 1998, la prima edizione di CinemAmbiente”.
Allora il “cinema ambientale” nemmeno esisteva e le sue tematiche raramente si affacciavano sul grande schermo, confinate a qualche documentario militante autoprodotto, e spesso di scarsa qualità sia tecnica che artistica. Quella di Capizzi fu dunque una vera intuizione, intercettò un vento che si stava sollevando. “Ci trovammo nel mezzo di un fenomeno che stava emergendo. Da allora si sono evoluti l’opinione pubblica e il dibattito politico, ma contemporaneamente è cambiata anche la situazione ambientale. Il cambiamento climatico è una realtà: vent’anni fa si parlava di ambientalismo come di una posizione ideologica, ora siamo di fronte a innegabili dati di fatto”.
Dati e realtà spesso soverchianti, che hanno reso necessario un linguaggio diverso per essere raccontati. C’è stata un’evoluzione non solo nella quantità e diffusione del cinema ambientale, ma anche nelle sue modalità narrative. “Oggi parliamo di ere geologiche, di estinzioni di massa: come fare a rendere sullo schermo fenomeni così inimmaginabili per la piccola esistenza umana? Occorre un linguaggio ‘grande’ - mi spiegava Capizzi in un’intervista per La Stampa - Deleuze parlava di grande forma e piccola forma. La grande forma è quella dei film epici, dei vasti paesaggi del western ad esempio. Per portare sullo schermo l’Antropocene, i cambiamenti climatici, gli sconvolgimenti geologici serve quel respiro epico”.
Un linguaggio epico che però non può dimenticare la complessità delle verità scientifiche che vuole comunicare, come ricordava lo stesso Capizzi nel 2022: “Il cinema ambientale ha affinato la sua capacità di trasmettere contenuti anche complessi a una platea sempre più vasta. In questo senso, si può oggi considerare a buon diritto un modello di quella comunicazione scientifica efficace tanto invocata e dibattuta durante la pandemia”.
Di tutte queste evoluzioni, CinemAmbiente è stato fra i testimoni più importanti, addirittura anticipatore anche a livello internazionale. Tanto che nel 2010 attorno al festival è nato il Green Film Network, per raggruppare i maggiori eventi internazionali di film a tematica ambientale: una rete globale, insomma, con il suo fulcro proprio a Torino.
Anticipatore di tendenze
Se c’era una cosa di cui Gaetano Capizzi andava molto orgoglioso – nonostante il suo understatement siculo-sabaudo – era la capacità del suo festival di “intercettare i trend prima che esplodano”.
Personalmente ne ho avuto prova diverse volte.
Nel 2017, ad esempio, CinemAmbiente ospitò il regista cinese Wang Jiuliang, che con il suo film Plastic China (poi vincitore dell’edizione) portava alla luce il lato oscuro della filiera del riciclo. Lo proiettavano un sabato sera, in concomitanza con la finale di Champions League della Juventus (proprio la sera infausta degli incidenti di Piazza San Carlo) e ci chiedevamo tutti se in sala ci sarebbe stato qualcuno: ebbene, un’ora prima dell’inizio, la fila all’ingresso del Cinema Massimo faceva già il giro dell’isolato. C’ero anch’io sul palco quella sera, a condurre un lungo dibattito fra il pubblico (che non smetteva più di fare domande) e il regista. Fra le tante cose interessanti, venne fuori una notizia da far saltare sulla sedia: Wang, con una certa nonchalance, annunciò che il governo del suo Paese aveva da poco approvato una nuova legge per impedire l’importazione di rifiuti dall’estero. Era il famoso Plastic Ban che da lì a qualche mese avrebbe gettato scompiglio nella filiera internazionale dei rifiuti in plastica, mettendo l’Europa e tutto il mondo occidentale di fronte alle proprie responsabilità circa la gestione dei propri scarti.
Altro esempio riguarda il movimento giovanile per il clima e in generale la diffusione dell’attivismo ambientale fra le nuove generazioni. “I germogli di questo movimento li abbiamo visti per anni in diversi film approdati a Torino”, raccontava Capizzi. In particolare, il finlandese Aktivisti seguiva la storia dell’adolescente lappone Riikka Karppinen, che battendosi contro lo sfruttamento minerario della sua terra approdava ai tavoli della politica. Era il 2018: un anno dopo Greta Thunberg avrebbe dato inizio al suo sciopero per il clima.
Un’eredità per le nuove generazioni
Il rapporto con le giovani generazioni e l’impegno nella didattica sono sempre stati al centro dell’attività di Gaetano Capizzi, fuori e dentro il festival. Con CinemAmbiente ha organizzato tante iniziative rivolte alle scuole, fino a creare un vero e proprio festival parallelo, CinemAmbiente Junior, di anno in anno più grande e più frequentato.
Nelle nuove generazioni del resto Gaetano riponeva grande fiducia e le speranze per quel radicale cambiamento, a partire dalla quotidianità, per cui lui e il suo festival hanno sin dall’inizio lavorato. “Questi ragazzi, spesso additati come apatici, vivono sempre connessi in rete e hanno una predisposizione alla condivisione – rifletteva in un’intervista raccolta per La Stampa – Al contrario delle generazioni precedenti, non hanno il mito del possesso, sono naturalmente portati alla sharing economy. Sono loro che si troveranno sulle spalle le conseguenze del cambiamento climatico, ma sono anche la generazione che sarà capace di compiere delle scelte radicali e prendere decisioni che quelle precedenti non hanno avuto il coraggio di affrontare”.
L’eredità di Gaetano Capizzi rimane allora soprattutto per loro, per le nuove generazioni. È un patrimonio immateriale preziosissimo, che è stato costruito in anni di relazioni, ricerche, viaggi in giro per i festival internazionali, tanto lavoro, tante discussioni e soprattutto un'infinità di ore trascorse a guardare migliaia e migliaia di pellicole provenienti da ogni angolo del mondo (solo per l’ultima edizione del festival ne erano arrivate addirittura 2800 da selezionare). Ed è un’eredità che, questo è certo, non andrà perduta, perché Gaetano ha saputo anche creare una bella squadra che la porterà avanti, a partire dalle infaticabili Lia Furxhi, responsabile della programmazione, e Silvana Brunero, che manda avanti la macchina organizzativa, insieme a tutti i collaboratori e collaboratrici e a una vera e propria famiglia allargata di volontari, giornalisti, sponsor e pubblico affezionato del festival.
È un’eredità, infine, che rimarrà racchiusa nel motto che Gaetano si era inventato per CinemAmbiente: Movies Save the Planet, i film che salvano il pianeta.
Immagine: CinemAmbiente