Una nube densa di fumo ha avvolto l’estate di Valona, città costiera albanese affacciata sul mar Adriatico, a meno di cento chilometri da Punta Palascìa, l’estremità più orientale della costa salentina. Un incendio è divampato nella città albanese per tre giorni di fila, lo scorso luglio, sotto lo sguardo asfittico dei cittadini già abituati e quello incredulo dei vacanzieri, ricordando loro – tra respiri pesanti e paesaggi sfocati − una presenza ingombrante poco distante dal centro cittadino.

Le cause scatenanti delle fiamme non sono ancora state chiarite, ma è certo che l’incendio abbia coinvolto la discarica abusiva di Valona, un sito di stoccaggio illegale di rifiuti alle porte della città e in prossimità della laguna di Narta, area protetta e habitat importante per la conservazione di popolazioni di uccelli selvatici. Un episodio che si ripete per il quarto anno consecutivo all’interno della stessa discarica.

Una situazione critica per l’intera città e anche per l’incolumità delle persone residenti nelle abitazioni limitrofe al sito, racconta Enriko Gabaj, giornalista di Euronews Albania che era presente sul luogo dell’incendio insieme ai soccorritori, tra cui pompieri con almeno quattro autopompe e 200 operai impegnati a spegnere il fuoco, riattivatosi più volte a cause delle alte temperature e dei forti venti.

Discariche a cielo aperto, i rischi dell’illegalità

La discarica di Valona, considerata pericolosa da diversi anni dalle autorità locali, doveva essere già smantellata nel giugno 2021 e i suoi rifiuti trasferiti nella nuova discarica di Sherishtë, villaggio a cinque chilometri dalla città di Valona, i cui lavori erano già iniziati. La costruzione del nuovo sito – mai realizzato − era infatti parte di un progetto integrato per la gestione dei rifiuti nella regione del valore di 20,8 milioni di euro finanziato dalla banca tedesca KFË, alla fine del 2016.

L’azienda Integrated Technology Services, in collaborazione con la società italiana Bulfaro Spa, era già stata annunciata come vincitrice di una gara da 9,8 milioni di euro per la costruzione della discarica, ma la realizzazione del nuovo polo di stoccaggio non è mai avvenuta. La società Integrated Technology Services è stata infatti oggetto, nel 2021, di un sequestro preventivo per un’ordinanza del Tribunale Speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata. Una storia di illegalità che non ha cambiato le sorti della discarica a cielo aperto di Valona, come dimostra il fumo che ha attraversato la città lo scorso luglio, ben visibile dai motoscafi in mare aperto colmi di turisti, diretti verso la vicina penisola di Karaburun, area naturalistica tutelata, vocata alla nidificazione dei rapaci.

Rischi e conseguenze degli incendi di rifiuti

Un incendio industriale, per la sua specificità, porta con sé dei rischi diversi da un processo di combustione avviato da un inceneritore. “Una combustione non controllata, nonché l’assenza di una serie di fasi garantite dall’inceneritore per lo smaltimento dei rifiuti, come l’abbattimento dei fumi e delle sostanze voltatili, genera diversi sottoprodotti che vanno a ricadere nelle immediate vicinanze”, spiega a Materia Rinnovabile Emilio Benfenati, capo del Dipartimento di ricerca ambiente e salute della Fondazione Negri. Il rischio industriale dipende dalla tipologia dei rifiuti bruciati ma, continua il ricercatore, “spesso si tratta di diossine e idrocarburi policiclici aromatici, sostanze cancerogene per la salute umana”.

La contaminazione è un altro tratto discriminante degli incendi nel caso in cui brucino dei rifiuti. “Nella maggior parte degli incendi boschivi − sottolinea Benfenati − l’area contaminata è lontana dai centri abitati e le colture non sono nelle vicinanze dell’incendio, quindi l’impatto sulla salute della popolazione è minore. I rifiuti bruciati nelle discariche possono invece causare effetti a lungo termine per i cittadini a causa di esposizioni prolungate alle sostanze nocive che potrebbero contaminare i terreni in prossimità dell’incendio, ma soprattutto i prodotti coltivati e di conseguenza gli animali allevati e gli alimenti.”

Le carenze della municipalità albanese

Spegnere un incendio, all’ombra della crisi climatica, sta diventando un’impresa sempre più complicata, soprattutto quando l’agosto 2024 è stato decretato il mese più caldo di sempre a livello globale, secondo i dati dell’ultimo bollettino climatico di Copernicus. In particolare, la temperatura media sul territorio europeo nell’agosto 2024 è stata di 1,57°C superiore alla media dello stesso mese nel periodo compreso tra il 1991 e il 2020. Un dato allarmante che porta con sé l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi critici come gli incendi, nonché la necessità impellente per i paesi, a livello mondiale, di riuscire a gestire e prevedere questi fenomeni.

Nel caso dell’Albania, le municipalità sono responsabili per la gestione degli incendi ma succede spesso che “il numero di vigili del fuoco nonché di mezzi disponibili per lo spegnimento delle fiamme sia carente”, racconta a Materia Rinovabile Miranda Deda, direttrice della Fondazione CIMA per la sede di Tirana. “Gli stessi mezzi della Protezione civile albanese che ricorrono a supporto dei vigili del fuoco non riescono a gestire, a volte, lo spegnimento degli incendi.  L’intervento della Protezione civile europea è diventato infatti sempre più frequente negli ultimi anni per contrastare questi eventi critici.”

L’economia informale dei rifiuti in Albania

I rifiuti sono un altro tema critico in Albania di cui è responsabile la municipalità locale, a seguito di una legge del 2011 che attribuisce alle stesse municipalità la proprietà dei rifiuti nei cassonetti delle città. Tuttavia, l’Albania non ha un sistema di riciclaggio adeguato e la maggior parte dei cittadini non differenzia i rifiuti. Si stima che solo tra il 10 e il 18% dei rifiuti urbani albanesi venga raccolto per essere riciclato, una percentuale resa possibile dal lavoro delle comunità rom ed egiziane, protagoniste di un’economia informale considerata illegale dai governi ma che contribuisce in maniera significativa alla gestione dei rifiuti con la raccolta e la vendita dei materiali, come la plastica e il metallo, ai proprietari degli impianti privati di riciclaggio.

“Le minoranze rom ed egiziane in Albania si occupano della pulizia delle strade e dello smaltimento di rifiuti in assenza di altre opportunità di lavoro”, spiega a Materia Rinnovabile l’antropologa Arba Bekteshi. “Quando il riciclaggio della plastica è diventato una pratica sempre più diffusa a livello globale, le minoranze rom ed egiziane si sono inserite nel vuoto del mercato lasciato dalle municipalità locali albanesi che non hanno utilizzato gli impianti di riciclaggio costruiti con i finanziamenti privati a partire dal 2010.”

Queste comunità agevolano quindi la gestione dei rifiuti in assenza di un programma di riciclaggio a livello nazionale e a fronte di sistemi di gestione dei rifiuti inefficaci e attraversati dalla corruzione, come dimostrano gli investimenti milionari del governo albanese per la costruzione di tre inceneritori nelle città di Tirana, di Elbasan e di Fier, di fatto mai realizzati.

Italia-Albania, il viaggio delle ecomafie

Partner economici accomunati da vicende storico-sociali, esperienze migratorie e una vicinanza strategica indiscussa, l’Italia e l’Albania coltivano rapporti di potere da più di un secolo. “Valona è la città più geograficamente vicina all’Italia − spiega a Materia Rinnovabile Vito Saracino, ricercatore della Fondazione Gramsci − nonché teatro, nel 1920, della cosiddetta Lufta e Vlorës, ovvero la cacciata delle truppe italiane rimaste in Albania dopo la fine della Prima guerra mondiale, uno degli avvenimenti più significativi per la nascita di una concezione autarchica albanese.” Un legame tra i due stati rafforzato oggi anche dai reati ambientali per mano delle ecomafie. Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente sulle ecomafie, i reati ambientali in Italia sono saliti a 35.487 nel 2023, con una media di 97,2 al giorno. Nel febbraio 2020, grazie a un’inchiesta realizzata da IrpiMedia, un traffico di rifiuti tossici e radioattivi è stato scoperto dalla polizia albanese proprio a Valona, durante il controllo di un traghetto proveniente da Brindisi. Un viaggio che, secondo la polizia, sarebbe già stato percorso una quindicina di volte dalla criminalità organizzata, con l’obiettivo di seppellire i rifiuti al di là dei confini italiani.

“I rapporti tra mafie italiane e albanesi sono iniziati negli anni Ottanta con i primi traffici di stupefancenti, fino a quando la criminalità organizzata, tra i primi i clan dei casalesi, ha compreso che i reati ambientali erano meno rischiosi in termini di pena detentiva”, spiega a Materia Rinnovabile Vincenzo Musacchio, criminologo forense associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies. Negli ultimi anni, poi, “la criminalità organizzata sta virando sempre di più verso paesi in cui la legislazione sui reati ambientali è meno stringente. In Italia, ad esempio, l’ultima legge del 2015 ha rafforzato quella già esistente ampliando i reati punibili e potenziando il sistema sanzionatorio. Tra i paesi destinatari più ambiti per il trasporto dei rifiuti restano, quindi, l’Albania, la Romania, la Bulgaria e la Repubblica Ceca.” Una legge del 2016 sostenuta dal governo di Edi Rama, primo ministro dell’Albania, concede infatti l’importazione di rifiuti di provenienza straniera. Tuttavia, esistono già delle misure per tracciare i trasporti di rifiuti pericolosi transnazionali come la Convenzione di Basilea (1982), trattato internazionale promosso dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, di cui sia l’Italia che l’Albania sono firmatarie.

Di recente, anche “l’UE si è occupata del tema − conclude Musacchio − prevedendo una normativa che introdurrà il delitto di ecocidio. Il Parlamento europeo ha già approvato una direttiva che obbliga gli stati membri a prevedere nei loro codici penali il delitto di ecocidio partendo dalla definizione della Stop Ecocide Foundation”, inteso come qualsiasi atto illegale o sconsiderato compiuto con la consapevolezza che ci sia una probabilità di causare danni gravi, diffusi o di lungo termine all’ambiente. L’Albania, candidata all’adesione all’UE, dovrà quindi fare i conti con le nuove leggi in materia e nel frattempo trovare un modo di gestire le tonnellate di rifiuti che già sono nel paese, disseminate nelle discariche abusive come quella di Valona, a solo pochi chilometri dall’Italia.

 

Immagini: Morena Pinto