La gestione dei rifiuti in Europa, soprattutto quando c’è di mezzo uno schema EPR, è tutto fuorché un affare omogeneo. Sotto l’ombrello della legislazione comunitaria, negli anni gli Stati membri hanno trovato soluzioni flessibili, differenti, specifiche per ogni territorio. Tuttavia, la mancanza di un modello a “taglia unica” non ha garantito, ovunque e nello stesso modo, le performance di riciclo attese. Cosa si può fare per chiudere il gap? Ma soprattutto, qual è il futuro per gli schemi EPR, anche fuori dall’UE, ora che si sta negoziando per un Trattato globale sulla plastica?
Materia Rinnovabile ne ha parlato con uno dei maggiori esperti d’Europa: Joachim Quoden, avvocato specializzato nella legislazione internazionale sugli EPR e direttore generale della Extended Producer Responsibility Alliance (EXPRA), un'alleanza senza scopo di lucro e di proprietà dell'industria degli imballaggi formata da 32 organizzazioni PRO provenienti da 30 Paesi di tutto il mondo.
In una relazione pubblicata l’8 giugno 2023, la Commissione europea ha mostrato come 18 Stati membri rischino di mancare gli obiettivi di riciclo per il 2025. C’era da aspettarselo?
Questi risultati erano attesi. E, ovviamente, è un grande peccato. Soprattutto perché lo scarto tra i leader e gli ultimi in classifica è estremamente elevato. Non parliamo di piccole percentuali, ma di universi completamente differenti. Questo ci dice che dobbiamo dedicare molto più tempo a quei Paesi che sono rimasti indietro.
Dobbiamo lavorare con loro e offrire loro aiuto, ma anche, naturalmente, essere estremamente onesti se pensiamo di aver individuato qualcosa che non stanno facendo nel modo migliore. In molti Paesi c'è ancora la tendenza a fare esperimenti, quando a volte sarebbe più facile cercare di copiare i primi in classifica.
Dove, ad esempio?
Ungheria e Croazia sono gli unici a non attuare la responsabilità estesa del produttore, avendo negli ultimi dieci anni adottato un sistema di tassazione di stampo governativo. Le tasse che l'industria paga sono piuttosto alte, eppure, circa l'80% del denaro raccolto non è destinato alla raccolta, alla selezione e al riciclaggio. È una tassa, quindi va a finire nel bilancio generale. E tutto è estremamente centralizzato.
A proposito di centralizzazione, cosa sta accadendo in questi mesi in Ungheria?
L’Ungheria è in grave ritardo sui target. Quindi, forse, il governo dovrebbe essere abbastanza coraggioso da fidarsi dell'industria e darle l'opportunità di risolvere il problema, almeno per quanto riguarda gli imballaggi. Una fiducia che era arrivata anche una decina di anni fa e che aveva permesso al Paese di non avere risultati così scarsi.
Ora in Ungheria il governo ha deciso di compiere un nuovo passo. Alcuni mesi fa ha avviato una gara d'appalto in tempi molto brevi per individuare un concessionario, un’entità responsabile dell'intera gestione dei rifiuti urbani, compresi tutti i flussi rientranti negli schemi EPR e il sistema di deposito cauzionale che vorrebbero istituire. Una grande responsabilità, perché questo concessionario gestirà il sistema per 35 anni. È interessante però notare che solo una società ha presentato domanda: la compagnia petrolifera ungherese [MOL, Hungarian Oil and Gas Public Limited Company, nda]. Nulla contro le compagnie petrolifere. Penso che siano sicuramente esperte in trovare, produrre e vendere petrolio. È la gestione dei rifiuti ad avermi sorpreso.
C’è un minimo comune denominatore nei Paesi più performanti?
Nei Paesi in prima linea, si può notare che gli schemi EPR sono al posto di guida, che hanno un'influenza sul sistema. Ciò significa che sono in grado di lavorare direttamente con le aziende di smaltimento, con i riciclatori e con l'industria, re-immettendo infine gli imballaggi sul mercato, come in Belgio, in Germania, nei Paesi Bassi.
Se lo si confronta ad esempio con l'approccio rumeno, si vede che le industrie obbligate si limitano a pagare per un pezzo di carta, certificati che solo alcune aziende sono autorizzate a emettere. E a quel punto bisogna credere sulla carta che sia vero che ci siano in corso attività di riciclo. In questo modo i sistemi EPR non hanno la possibilità di lavorare con i diversi attori per migliorare il sistema e la logica conseguenza è che le prestazioni del sistema sono piuttosto basse.
Cosa possono fare i governi nazionali?
Fortunatamente all’articolo 8 della Direttiva quadro sui rifiuti ci sono i cosiddetti requisiti minimi per gli EPR. Questo può essere un punto di partenza per un governo che voglia progettare il sistema. Di solito la domanda successiva è: quanto coinvolgo le autorità locali? Se in un Paese le autorità locali sono già molto attive nella raccolta e nella gestione dei rifiuti, penso che sia molto positivo dare loro il diritto di effettuare la raccolta. A seguire, a certe condizioni, l'industria obbligata deve pagare il conto.
Ma per quanto riguarda lo smistamento e il riciclaggio penso che debba essere il sistema EPR ad essere autorizzato a organizzare e indire gare d’appalto. È questo che un governo nazionale dovrebbe inserire nella legislazione. Il sistema EPR è in qualche modo il cervello, noi dobbiamo guidare e non essere le braccia e le gambe del sistema.
Quindi schema EPR al centro?
Se immaginiamo la gestione dei rifiuti come la ruota di una bicicletta, allora il posto migliore per il sistema EPR è al centro della ruota. Abbiamo la responsabilità di continuare a farla girare e di renderla il più rotonda possibile. E ciò avviene se ogni stakeholder è in grado di fare il suo lavoro al meglio. Dovremmo avere degli esperti nel sistema e dovremmo lavorare con le municipalità, con i raccoglitori, con i riciclatori, con gli abitanti, con le aziende.
Qual è il ruolo dell’enforcement?
Purtroppo, non si tratta solo di fare una legge, significa anche applicarla per verificare se le aziende e le Producer Responsibility Organisations rispettano gli obblighi. È come se si introducesse un limite di velocità in autostrada, bisogna anche controllarlo, altrimenti nessuno lo seguirà. Questo è ciò che un governo può fare e che molti governi stanno facendo. Dove il governo è coinvolto, ci sono effetti positivi anche sulle prestazioni.
I Paesi dell'UE hanno costruito diversi modelli di gestione dei rifiuti di imballaggio, ciascuno con le proprie specificità e ciascuno svolge efficacemente il proprio mandato. Un modello di EPR a “taglia unica” è da scongiurare?
A Bruxelles a volte abbiamo l'idea di scrivere un business plan che poi tutti gli Stati membri devono seguire. Tuttavia, se si guarda alla realtà nei Paesi, si vede che questi sono troppo diversi per introdurre una sola soluzione. In Italia non si possono raccogliere gli imballaggi allo stesso modo a Venezia come in Sicilia, così come non è possibile effettuare la raccolta nel nord della Finlandia come a Malta, perché la densità della popolazione è totalmente diversa.
Anche il coinvolgimento dei Comuni cambia da Paese a Paese. In Germania si è deciso di dare all'industria la piena responsabilità operativa, quindi i Comuni non hanno praticamente alcun ruolo nel sistema. In Francia, invece, i Comuni si occupano di tutto, dalla raccolta alla cernita fino al riciclaggio.
Quale sarebbe la soluzione? Penso che le autorità francesi non accetterebbero mai di seguire la strada tedesca. Penso che ci sia un approccio troppo granulare da parte di Bruxelles. Possiamo concordare gli obiettivi e il quadro di riferimento a livello centrale, ma non possiamo dire esattamente agli Stati membri cosa devono fare.
Parliamo di imballaggi, dove c’è un margine di miglioramento?
Per la maggior parte dei Paesi, specialmente per quanto riguarda la plastica, sarà una sfida raggiungere gli obiettivi per il 2025 e per il 2030. Soprattutto visto che per il target del 55% di riciclo si calcola in un nuovo punto di misurazione, all’interno dell’impianto di riciclaggio davanti all’estrusore.
Oggi, volendo approssimare qualche calcolo, per tutti gli imballaggi, in fase di raccolta differenziata, l'80% è già un buon risultato. Di questo 80% raccolto, in fase di smistamento si recupera l’80%, che è di nuovo un'ottima performance. Rispetto al totale di immesso sul mercato, siamo quindi già al 64%.
Tuttavia, nell’impianto di riciclo, i trattamenti comportano alcune perdite: con un rendimento dell'80%, dell’impianto, percentuale altrettanto buona, si arriva infine ad un tasso di riciclo del 52-53%. Quindi, lo stato dell’arte ci dice che ci avvicineremo all'obiettivo del 2030, ma senza raggiungerlo. Dobbiamo migliorare in tutte le fasi e soprattutto nella raccolta.
Cosa si può fare?
In primo luogo, naturalmente, serve un sistema di raccolta conveniente. Inoltre, i Paesi all'avanguardia si stanno al momento concentrando sulla cosiddetta raccolta fuori casa, considerato che circa il 10% degli imballaggi domestici viene consumato in luoghi come palestre, stazioni, uffici, aeroporti.
C'è quindi un grande potenziale, anche se è costoso. Ma credo che non abbiamo altra scelta che offrire ai nostri cittadini una soluzione. Inoltre, dobbiamo davvero aumentare gli sforzi in comunicazione per convincere le persone a differenziare anche quando si trovano fuori dalle proprie abitazioni.
Si sta negoziando il Trattato globale sulla plastica. Ha speranze?
Resto una persona ottimista. So che all'inizio del secondo round di negoziati ci sono stati molti sforzi per superare le preoccupazioni di alcuni Paesi che temono di perdere una delle loro principali entrate. Alla fine, credo che il massimo risultato possibile sia stato raggiunto, avendo il Segretariato ricevuto mandato di redigere una prima versione del futuro trattato. Penso che questo sia più di quanto ci si potesse aspettare dopo i primi due giorni di negoziati.
Uno dei temi su cui si sta negoziando è proprio l’obbligo di introdurre schemi EPR. Il modello EPR è già in espansione? La stessa EXPRA ha nuovi membri in Cile, Nuova Zelanda, Canada.
Anche le industrie obbligate, cioè coloro che dovrebbero pagare in un sistema EPR, stanno promuovendo l'inclusione di questa idea nel Trattato. È probabilmente l'unico strumento in grado di fornire finanziamenti sostenibili e di aiutare i Paesi a migliorare il loro sistema di gestione dei rifiuti. Per questo stiamo già lavorando, insieme a CEFLEX e al Consumer Good Forum. Gli Stati Uniti vorrebbero inoltre introdurre obiettivi volontari, e questo è un peccato. Ma negli Stati Uniti stanno accadendo molte cose al momento. Ora ci sono almeno cinque Stati con un sistema EPR. E anche qui le industrie produttrici obbligate non cercano più di bloccarlo. In maniera sorprendente, ora il settore industriale ad aver più paura è quello della gestione dei rifiuti.
La sfida più grande nel resto del mondo?
In molti Paesi, ovviamente, la gestione dei rifiuti è stata finora affidata principalmente al settore informale. Dobbiamo quindi trovare soluzioni e offerte per integrare questo settore nei sistemi del futuro, perché non si può agire contro, in quanto si creerebbero problemi sociali, perché è così che si guadagnano da vivere. Dobbiamo trovare il modo di includerli, di valorizzarli, non possiamo tollerare che svolgano il loro lavoro in condizioni inaccettabili. E in Cile, per esempio, questo obbligo di cooperazione è persino nella legislazione.
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Immagine di copertina: Mumtahina Tanni, Pexels