“Senza agricoltori niente cibo” è lo slogan impresso su un pezzo di cartone. L’immagine proviene da uno dei molti cortei di imprenditori delle campagne che hanno attraversato l’Italia nell’ultimo mese, le cosiddette “proteste dei trattori”. Il senso è chiaro: se nessuno si prende cura dei campi, il cibo non arriva alla distribuzione e da lì sulle nostre tavole.
Ma c’è un pezzo di questa vitale filiera rimasto escluso dal dibattito politico e mediatico. Gli agricoltori in protesta sono piccoli e medi imprenditori. La gran parte possiede solo piccoli appezzamenti, e lavora nei campi da solo o con alcuni dipendenti. Altri, a capo di imprese più grandi, si limitano ad amministrare. Ma in entrambi i casi è presente l’elemento della proprietà. Nelle campagne, però, c’è anche chi la terra non la possiede affatto, e presta il proprio lavoro a chi la ha. I lavoratori delle campagne ‒ braccianti e contoterzisti ‒ sono un milione in Italia secondo i sindacati, per il 90% assunti a tempo determinato o a chiamata. Il loro ruolo è fondamentale, ma la discussione di questi mesi li hai visti ai margini.
“Nelle loro piazze non portano il tema del lavoro”
“Con il movimento dei trattori non abbiamo avuto interlocuzioni. In alcuni dei territori in cui lavorano i nostri iscritti gli animatori dei cortei sono gli stessi contro cui protestiamo per le condizioni di lavoro.” A parlare con Materia Rinnovabile è Stefano de Angelis, dirigente dell’Unione Sindacale di Base (USB). La sua sigla rappresenta soprattutto braccianti del meridione, quasi sempre migranti. Una categoria particolarmente fragile ed esposta al rischio dello sfruttamento.
Ma quella di De Angelis non è una posizione isolata. “Abbiamo contatti strutturati con le controparti datoriali (Coldiretti, Confagricoltura) ma non coi cosiddetti trattori. Intanto non è facile capire chi siano, chi sia titolato a rappresentarli. E poi non ci hanno cercato: non ne facciamo certo una questione di orgoglio, ma nelle piazze loro non portano mai il tema del lavoro”, spiega Davide Fiatti, della segreteria nazionale Federazione lavoratori agro industria (FLAI), comparto agricolo della CGIL.
Il tema è complesso. Le imprese agricole, specie se piccole e medie, si trovano in una condizione difficile, schiacciate dal peso della grande distribuzione e della concorrenza estera. Al contempo, anche nelle campagne si verificano le classiche contraddizioni di tutti gli ambienti di lavoro. In primis la contrapposizione tra gli interessi dei proprietari e quelli dei dipendenti. “È chiaro che la GDO [grande distribuzione organizzata, ndr] ha più responsabilità. Ma spesso i proprietari abbassano l’unico costo su cui sanno di poter intervenire: quello del lavoro”, spiega De Angelis.
“Il nemico non è l’Europa ma il cambiamento climatico”
La frattura tra i due mondi si consuma anche sulle politiche ecologiche. Il movimento dei trattori ha messo al centro delle proprie rivendicazioni la lotta contro l’European Green Deal, l’insieme di misure comunitarie pensate per rispondere alla crisi ecoclimatica. Anche le organizzazioni di categoria, pur criticate da parte dei manifestanti, condividono lo scetticismo. I sindacati del lavoro agricolo, al contrario, hanno un’altra preoccupazione: temono una transizione troppo lenta, che non diminuisca a sufficienza i rischi per chi sta nei campi e metta in crisi il settore.
Nelle scorse settimane l’Unione Europea, dopo il boom dei cortei di trattori, ha fatto due passi indietro sulle politiche verdi. Il primo è la sospensione per un anno dell’obbligo di messa a riposo del 4% dei terreni ‒ una norma che avrebbe voluto favorire la rigenerazione naturale dei nutrienti. Il secondo è l’alleggerimento degli obiettivi di riduzione dei pesticidi. “Per noi non sono vittorie”, spiega De Angelis.
“Siamo per l’agroecologia, che significa anche lotta ai prodotti dannosi per la salute dei consumatori”. Gli fa eco Fiatti. “Non siamo d’accordo col dare la colpa dei mali del settore al Green Deal. In primis parliamo di norme non ancora in vigore, che evidentemente non stanno alla base del disagio attuale. E poi bisogna puntare il dito sulle vere questioni. La messa a riposo dei terreni, ad esempio, è una pratica assolutamente utile e normale. Viceversa, sono i cambiamenti climatici a danneggiare gli agricoltori. Siccità, grandine, alluvioni: sono loro il nemico”.
Contratti, innovazione, legalità: le richieste di chi lavora
“Le priorità per il mondo del lavoro agricolo sono simili a quelle del mondo del lavoro nel suo complesso”, spiega Fiatti. “In primis i contratti: sono scaduti quelli provinciali, noi chiediamo che nel rinnovo si adeguino i salari alla crescente inflazione. Poi la formazione: se vogliamo imprese agricole moderne, che producano anche energia pulita, che facciano turismo, allora la vecchia figura del solo bracciante non basta più.
C’è il tema della stabilità: capiamo che in agricoltura la stagionalità sia strutturale, non pretendiamo il numero di assunzioni a tempo indeterminato dei metalmeccanici. Ma serve una tendenza alla stabilità e la riduzione della precarietà. Infine, non dimentichiamoci dell’illegalità. Abbiamo ottenuto una buona legge, la 109/16, ma da sola non basta. Esiste uno spettro di abusi da combattere, che vanno dal lavoro nero alla semi-schiavitù.”
“L’8 marzo saremo in piazza a Torretta Antonacci, a Foggia”, dice invece De Angelis. “I braccianti in sciopero chiedono il rispetto delle norme: che i proprietari forniscano alloggi e cibo dignitosi come da contratto, condizioni di vita accettabili e il permesso di soggiorno per chi lavora. Nelle settimane scorse abbiamo anche incontrato le realtà che mettono assieme i piccoli agricoltori impegnati nella produzione ecologica ed equa: Via Campesina e Associazione Rurale italiana. Ci mobiliteremo con loro per creare un’agricoltura a servizio di tutti, non solo della grande distribuzione. Perché siamo certi di una cosa: senza braccianti non c’è cibo.”
Immagine: Tim Mossholder, Unsplash