Abbiamo compiuto grandi progressi sulla strada della neutralità climatica, ma “non possiamo indietreggiare ora”. È questo il messaggio lanciato dall’ESABCC, il Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici dell’Unione Europea, che ha pubblicato oggi, giovedì 18 gennaio, le sue raccomandazioni per portare l'UE sulla strada della neutralità climatica entro il 2050.
L'organismo indipendente formato da 15 scienziati di alto livello, incaricato di dare supporto alle decisioni dell’Unione in tema di clima, incita a proseguire con determinazione sulla strada tracciata, semmai incrementando gli sforzi per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, e raggiungere il net zero entro il 2050. Ma non è un segreto per nessuno che mai come in questo scorcio di 2024 sia forte il rischio di una rovinosa ritirata sulle misure per fronteggiare l’emergenza ambientale e sviluppare settori produttivi che daranno le risposte economiche e occupazionali di cui ha bisogno l’Europa.
Il rapporto ESABCC è chiarissimo. Per raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE bisogna ridurre le emissioni di gas serra del 90-95% entro il 2040, intensificando l'azione in tutti i settori, in particolare negli edifici, nei trasporti, nell'agricoltura e nella silvicoltura. Questo vuol dire, si legge nel documento, migliorare urgentemente i piani nazionali per l'energia e il clima, concludere rapidamente i negoziati sulle iniziative chiave del Green Deal europeo, rendere le politiche dell'UE pienamente coerenti con la necessità di eliminare gradualmente i combustibili fossili.
A cominciare dalla necessità di piani e tempistiche chiare per eliminare urgentemente e completamente i sussidi ai combustibili fossili: “Non solo questi sussidi non sono diminuiti ‒ si legge nel report ‒ ma sono stabili intorno ai 50 miliardi di euro l’anno, se non addirittura in lieve aumento negli ultimi tempi”.
Una transizione giusta
Ma non basta: per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 sono necessarie altre misure aggiuntive rispetto al pacchetto Fit for 55 dopo il 2030, come nuove politiche sulla domanda di materiali, energia e prodotti ad alta intensità di gas serra. E una riforma del sistema ETS sullo scambio di quote di emissioni. Da subito, però, bisogna trovare il modo di conquistare “cuori e menti” dei cittadini europei con una “transizione giusta”. Ovvero, per ogni misura climatica si deve valutare sempre l’impatto socio-economico, e soprattutto mettere in campo misure redistributive su famiglie e aziende che vengono impattate. Tener conto dei più poveri, dei più deboli.
Verrebbe da dire: sarebbe stato meglio pensarci prima. Sì, perché nelle piazze, sulle strade, sui media, nelle urne elettorali si è scatenata da tempo una veemente, e a volte violenta, reazione contro il Green Deal e le misure climatiche e ambientali. C’è chi rimesta nel torbido per evidenti ragioni d’interesse economico e di potere, ma il problema esiste.
Abbiamo raccontato le proteste degli agricoltori a Berlino, che però sono in rivolta anche in Francia e nei Paesi Bassi. Sempre in Germania c’è stato il progettato (e abbandonato) bando delle caldaie a gas. E in Italia il Governo di Centrodestra ha fatto di tutto per depotenziare la direttiva per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e rivalutare i piani di eliminazione graduale dei motori termici.
Siamo a un passaggio decisivo. Questo 2024 tra qualche anno lo ricorderemo (speriamo nel bene, e non nel male) come il momento in cui si decisero le sorti dell’Europa sul piano ambientale, climatico, e chissà, forse anche della tenuta democratica. Le proposte del pacchetto Fit for 55 sono per la maggior parte state adottate ‒ sia pure con qualche ammorbidimento e cedimento ‒ o hanno raggiunto la fase dell’accordo politico e dunque potranno verosimilmente chiudersi prima delle elezioni europee il prossimo giugno. Ma dopo le elezioni tutto può succedere.
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