L’inquinamento da plastica è uno dei più gravi problemi del mondo di oggi, a causa della crescente produzione e difficoltà di smaltimento di questo materiale. Ora uno studio rivela quali sono le aziende maggiormente responsabili di tale inquinamento a livello globale. Sono infatti 56 le aziende responsabili del 50% dell’inquinamento da plastica mondiale, di cui le prime cinque sono The Coca-Cola Company (11%), PepsiCo (5%), Nestlé (3%), Danone (3%) e Altria-Philip Morris International (2%).

Lo studio, dal titolo Global producer responsibility for plastic pollution, è stato condotto da un gruppo di ricerca internazionale e pubblicato mercoledì 24 aprile su Science Advances. I dati, raccolti in un periodo quinquennale (2018-2022), provengono da 84 nazioni.

Lo studio e la raccolta dei rifiuti di plastica

Lo studio è stato condotto in collaborazione con la coalizione Break Free From Plastic, un team internazionale di persone volontarie che per cinque anni ha raccolto e censito più di 1.870.000 rifiuti di plastica.  “Gli eventi di Break Free From Plastic vengono condotti recandosi in un luogo in cui ci sono dei rifiuti e raccogliendo tutti quelli che visibili, per poi identificare i marchi presenti sui rifiuti in plastica”, spiega a Materia Rinnovabile Win Cowger, principale autore dello studio e direttore di ricerca al Moore Institute for Plastic Pollution Research, a Long Beach, in California.

I dati raccolti da Break Free From Plastic sono riepilogati in un report pubblicato annualmente. Cowger già da tempo collabora con questo gruppo di volontari e ne conosce i metodi di raccolta dati, che definisce “ottimi”. Anche se mancano ancora alcune nazioni all’appello, spiega Cowger, questa collaborazione ha permesso agli autori dello studio di avere una mole di dati tale per cui la ricerca ha avuto risonanza globale.

Inquina di più chi produce di più

Lo studio evidenzia un parallelo interessante: vi è infatti una relazione lineare tra la percentuale di materiale prodotto annualmente e quella di rifiuti individuati che appartengono alla stessa azienda. Questa relazione è valida dappertutto, nonostante le singole differenze tra gli stati esaminati. Commenta Cowger: “Questo è l’aspetto che mi ha sorpreso di più. In pratica abbiamo scoperto che c'era una relazione 1 a 1 tra la produzione di plastica e l'inquinamento da plastica. E questo rapporto 1 a 1 non si vede molto spesso nella ricerca ambientale”.

Le conseguenze di questa scoperta provano che per ridurre l’inquinamento da plastica è indispensabile ridurre la produzione di plastica. Commenta a Materia Rinnovabile Tony Walker, un altro autore dello studio e docente presso l’Università Dalhousie, in Canada: “Abbiamo bisogno di soluzioni migliori per la gestione dei rifiuti. Ma allo stesso tempo dobbiamo ridurre la produzione. Ora sappiamo che le aziende più grandi hanno un'incredibile responsabilità nel contribuire a risolvere il problema dell'inquinamento rispetto ai singoli contribuenti per la gestione dei rifiuti. La responsabilità è anche del produttore”.

D’altra parte, spiega Cowger, il fatto che i trend siano individuabili così facilmente è un fattore positivo, poiché è indice di trasparenza dei dati riportati dalle aziende, oltre che dell’adeguatezza della metodologia applicata nella raccolta e classificazione dei prodotti da parte dei gruppi di volontari.

La risposta delle aziende

Tra i risultati inaspettati, secondo Walker, c’è il fatto che le aziende responsabili della metà dell’inquinamento mondiale siano solamente 56. Grazie a questa ricerca è chiaro che “solo poche aziende o grandi società sono responsabili di tutti gli imballaggi o della maggior parte di essi”, commenta Walker. “Ora i governi e le comunità internazionali sanno dove guardare per attribuire le responsabilità.”

Alcune di queste aziende, specialmente quelle che rientrano nella top 5 dei maggiori inquinatori, hanno fornito una risposta allo studio. In particolare, The Coca-Cola Company ha ribadito al Guardian il proprio impegno a rendere riciclabile il 100% delle proprie confezioni a livello globale entro il 2025 e a utilizzare almeno il 50% di materiale riciclato nelle confezioni entro il 2030. Sempre al Guardian, Danone ha ribadito l’intenzione di ridurre la propria impronta di plastica, puntando soprattutto sull’efficienza del riciclo: “Tra il 2018-2023 abbiamo ridotto il nostro utilizzo di plastica dell’8%, equivalente a 62.000 tonnellate e aumentato la riciclabilità dei nostri imballaggi (l’84% dei nostri imballaggi è riciclabile, riutilizzabile o compostabile). Continuiamo a sostenere e a spingere per migliorare le infrastrutture di raccolta e riciclaggio per aiutare i consumatori a riciclare”.

PepsiCo ha dichiarato al The Washington Post di essere a favore di un quadro politico globale per affrontare l'inquinamento da plastica, sottolineando il proprio lavoro nella costruzione di un modello circolare che permetta il riciclo degli imballaggi dei propri prodotti. Nestlé ha affermato che mira a ridurre di un terzo l'uso di nuova plastica e a incorporare una maggiore quantità di contenuto riciclato nelle proprie confezioni.

La reazione più dura è stata invece quella di Altria, gruppo industriale statunitense impegnato soprattutto nel settore del tabacco. Secondo quanto affermato al The Washington Post da Davien Anderson, portavoce dell’azienda, “Altria ha esaminato lo studio e ritiene che sia fondamentalmente errato per quanto riguarda la nostra azienda. Lo studio include dati provenienti da oltre 80 paesi, ma la società di sigarette di Altria, Philip Morris USA, opera solo negli Stati Uniti”. Per Cowger “l'idea che i prodotti creati da un'azienda in un determinato paese rimangano solo all'interno del paese che li ha creati è infondata", mentre Walker aggiunge: “Riteniamo che i nostri dati siano solidi e che la metodologia sia stata ben applicata. Abbiamo seguito protocolli rigorosi. L'analisi è stata davvero rigorosa, e i dati erano tanti e convincenti. Quindi penso che [i rappresentanti di Altria] siano solo infastiditi perché abbiamo messo in evidenza negativamente il marchio”.

I rifiuti non identificabili e i possibili sviluppi

Sia per verificare che le affermazioni fatte dalle aziende sui loro intenti futuri siano veritiere, sia per continuare a monitorare l’inquinamento da plastica, Walker spiega che serviranno ulteriori ricerche. “Il monitoraggio del cambiamento delle pratiche di un'azienda è essenziale per valutare se il loro nuovo approccio funziona o meno. Mi piacerebbe far parte di un altro studio come questo, ora che abbiamo sviluppato una metodologia adeguata, per raccogliere dati e verificare se queste politiche stanno funzionando.”

Un altro spunto di ricerca futuro, aggiunge Cowger, è la possibilità di ridimensionare la scala e approfondire le indagini sui dati provenienti dai singoli paesi. “Potremmo vedere se in determinati stati alcuni produttori contribuiscono più o meno all'inquinamento. Forse perché quei paesi hanno politiche diverse che aiutano a combatterlo.”

Il restante 50% della plastica ritrovata, però, è risultato non identificabile. Lo studio invita a sviluppare degli standard internazionali sul marchio degli imballaggi, per facilitarne l’identificazione. Commenta Cowger: “Se vogliamo portare avanti questo progetto dobbiamo avere meno rifiuti senza marchio da gestire, perché costituiscono una grande incertezza. Penso che sia necessario migliorare il marchio dei prodotti così che possano resistere agli agenti atmosferici, magari anche creando materiali che siano identificabili o che aiutino a identificare la società madre del prodotto”.

 

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