Questa settimana la Commissione esteri del Parlamento sta analizzando il Piano Mattei, ovvero il piano strategico del governo per i rapporti Italia-Africa. Il documento, nella versione ricevuta dai parlamentari, si basa su sei direttrici di intervento, dall’energia all’acqua all’agricoltura, due fasi di sviluppo incrementali, alcuni progetti pilota già avviati in 9 paesi africani e 5,5 miliardi di euro di risorse a disposizione. Arriverà al voto lunedì 5 agosto, ma al momento sembra fare acqua da tutte le parti e non essere all’altezza dell’ambizione della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

“Il Piano che abbiamo ricevuto è estremamente lacunoso, non rispecchia la realtà degli interventi in corso e concentra eccessivamente il processo decisionale a Palazzo Chigi, dove non c’è personale sufficiente per gestire un piano Italia-Africa importante come questo”, è il commento tranchant di Lia Quartapelle (PD) raggiunta in aula durante i lavori in Commissione.

Da un lato la governance, sottratta alla Farnesina, desta molte preoccupazioni proprio per la mancanza di competenze e di risorse da parte del Consiglio dei ministri, per un piano fondamentale per la sicurezza del paese e per il rilancio dei rapporti con molti paesi africani. Dall’altro preoccupa la totale assenza di nuove risorse economiche. Come già annunciato, si è riconfermato che dei 5,5 miliardi stanziati 3 arriveranno dal Fondo italiano per il clima, istituito dal governo Draghi, mentre gli altri 2,5 saranno prelevati dal budget per la cooperazione di stanza alla Farnesina e al MEF per passare direttamente sotto la presidenza del Consiglio dei ministri. Un semplice riconteggio della già debole dotazione per la cooperazione bilaterale (AICS) e multilaterale (DGCS), dato che il governo Meloni nel 2023 aveva tagliato i fondi per la cooperazione, scesi secondo l’OCSE dallo 0,33% allo 0,27% del PIL, allontanando l’Italia dall’obiettivo comune dei paesi ricchi di allocare almeno lo 0,7% del PIL per progetti nel Sud Globale.

Infine, la struttura stessa del piano – a tratti sembra una ricerca di una matricola universitaria – e la qualità dei progetti, insieme all’assenza di richieste di riforme istituzionali per i paesi beneficiari, le varie dimenticanze (non si trova traccia ad esempio della partnership con Riad, non si parla del sostengo nel Sahel) e il livello di approssimazione fanno pensare che non ci sia la dovuta attenzione politica delle istituzioni coinvolte.

Non esattamente il documento di svolta per aiutare i paesi africani a crescere in maniera sostenibile e poter fare a meno dell'emigrazione. Men che meno una dimostrazione del peso dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo e nella gestione oculata della finanza climatica, considerando che dal 2025 l’impegno del paese dovrà crescere esponenzialmente.

Per il governo, si legge nel documento a pagina 44, altre risorse potranno essere movimentate da varie fonti, tra cui linee di crediti concessionali sovrani finanziate tramite il Fondo rotativo per la Cooperazione allo sviluppo presso il MEF e gestito da Cassa depositi e prestiti (CDP) [addizionalità non chiara], risorse dalle Banche multilaterali di sviluppo (sotto forma di matching nei progetti, specie legati al clima), prendendo risorse dal Global Gateway Africa-Europe e delle altre iniziative europee (Connecting Europe Facility: Horizon Europe), nonché tripartite (es. Piano di cooperazione tripartito per l'Africa tra UE, Unione Africana e ONU). Si cercheranno inoltre partnership con altri stati donatori (stati membri UE, stati del Golfo – si vocifera molto sul ruolo dell’Arabia Saudita, ma il documento non esplicita nulla – stati del G20, ma soprattutto gli USA, con la Partnership for Global lnfrastructure and lnvestment, PGII). Uno strumento citato (ma da capire come sarà applicato) è quello delle Operazioni di conversione del debito (Debt for Development Swap), in particolare quelle bilaterali di cui all'art. 5 legge n. 209/2000, già avvenute in passato con paesi come la Repubblica Democratica del Congo, che si potrebbero legare a obiettivi ambientali o climatici.

Infine, il molto generico “ulteriori fondi e piattaforme di co-investimento, in fase di costituzione” che apre la porta alla co-partecipazione (blending) delle risorse private, da sempre guardate con grande attenzione dal mondo della cooperazione. Indicazioni generiche che chiunque avrebbe potuto elencare ma su cui ancora è tutto da costruire.

Al momento i progetti previsti da finanziare (già avviati) coinvolgeranno 9 paesi, 4 del quadrante nordafricano (Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria) e 5 del quadrante subsahariano (Kenya, Etiopia, Mozambico, Repubblica del Congo e Costa d’Avorio). In Algeria si continuerà a finanziare il progetto “agricoltura desertica” avviato dall’azienda italiana Bonifiche ferraresi col supporto di SIMEST nel sud-est del Sahara algerino che punta a sviluppare la coltivazione di grano, cereali e semi per oli. Con la stessa azienda, in Egitto, si sosterrà il technology-transfer per la produzione di grano, soia, mais, girasole.

Ancora agricoltura nel progetto pilota in Mozambico, che prevede la creazione di un Centro agroalimentare sul modello italiano nel nord-ovest del paese. In Tunisia l’interconnessione elettrica sottomarina con l’Italia, ELMED, entra nell’egida del Piano Mattei, puntando anche alla “realizzazione di una infrastruttura di trasporto di idrogeno che colleghi la Tunisia e, in prospettiva, l’Algeria con il continente europeo (SoutH2Corridor)”. Anche se nei primi anni del progetto trasporterà solo gas naturale (dato che non ci sono impianti per la produzione di idrogeno), con buona pace delle risorse del Piano Clima. In Repubblica Democratica del Congo si supporta un’iniziativa di ENI per migliorare l’accesso all’acqua (cominciata già molti anni fa) e in Kenya si abbracciano in toto i progetti dell’azienda di San Donato Milanese sui biocarburanti (per altro già integralmente finanziati dall’azienda del cane a sei zampe).

“Lavorare sul Piano Mattei è importante perché è l’avvio di un nuovo metodo di relazioni Italia-Africa e non possiamo permetterci che vada male, che non preveda nuove risorse, progetti nuovi che abbiano obiettivi diversi rispetto alle grandi imprese energetiche e dialogo con le altre capitali europee”, continua Quartapelle, che sottolinea la disponibilità del PD a lavorare costruttivamente per migliorare il Piano – “strategico e importante” – mantenendo e migliorando la legge 125 sulla cooperazione, senza cercare di cancellarla come sembrerebbe voler fare Palazzo Chigi.

Il voto sul piano è atteso lunedì ma, se sarà approvato così com’è, difficilmente l’Italia giocherà un ruolo primario nel continente africano, indebolendo sempre più la cooperazione italiana, né sullo scacchiere internazionale delle politiche climatiche, vanificando i pochi progressi che erano stati fatti da Draghi e anche dalla stessa Meloni.

 

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Immagine: Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli esteri Antonio Tajani presiede la riunione della Cabina di regia sul Piano Mattei il 24 aprile 2024 © Palazzo Chigi