Assemblee delle società per azioni a porte chiuse. Secondo gli osservatori più attenti, questa azione, intrapresa dal Parlamento italiano, risulterebbe essere abbastanza chiara: ha intenzione di far scomparire definitivamente l’azionariato critico in Italia. Questo è uno strumento particolarmente importante, perché permette alle varie organizzazioni di far sentire la propria voce sui temi socio-ambientali che risultano essere strettamente connessi con l’attività di un determinata entità finanziata o di un’impresa. Queste aziende, nella maggior parte dei casi, sono partecipate direttamente dallo Stato.
In questo momento si stanno consumando, tra i corridoi di Palazzo Madama, gli ultimi atti del Disegno di Legge 674, dal titolo emblematico: Interventi a sostegno della competitività dei capitali.
Il testo, nel momento in cui dovesse essere definitivamente approvato, permetterà di andare ad apportare alcune limitazioni molto importanti agli accessi nelle assemblee delle società quotate in Borsa. Ricordiamo, poi, che un recente emendamento che porta la firma della senatrice Cristina Tajani ha uno scopo ben preciso: le assemblee degli azionisti devono essere a porte chiuse anche nel corso del 2024. Una situazione che si ripete per il quinto anno di seguito.
Come funziona l’azionariato critico
Prima di proseguire è meglio soffermarci un attimo su cosa sia l’azionariato critico. E soprattutto su come funzioni, almeno nel nostro Paese. L’azionariato critico consiste, in estrema sintesi, nell’acquisto di un numero simbolico di azioni di una determinata impresa, rispetto alla quale il neoazionista è fortemente critico.
L’obiettivo di questa operazione consiste nell’intervenire all’interno delle assemblee, dove possono accedere i piccoli e i grandi azionisti, ma anche i giornalisti e qualsiasi altro soggetto di tipo commerciale, e sottoporre all'attenzione del consiglio di amministrazione tutte le violazioni dei diritti umani e le eventuali controversie ambientali nelle quali l’impresa risulti essere a vario titolo coinvolta.
Giusto per avere un’idea dell’importanza dell’azionariato critico, basti pensare che la prima iniziativa di questo tipo risale al 1971: l’azienda coinvolta, in quell’occasione, fu la General Motors, che si trovò al centro dell’attacco della Chiesa Episcopale che aveva chiesto alla multinazionale dei motori di terminare le proprie attività in Sudafrica fino a quando non fosse stato abolito l’apartheid.
Cosa sta accadendo in Italia
Ma torniamo ai giorni nostri e soffermiamoci a quanto sta accadendo nel nostro Paese. A inizio articolo abbiamo sottolineato come in Italia si sia al quinto anno nel quale le assemblee si svolgono a porte chiuse. Le attività sono state, infatti, limitate a seguito dall’emergenza sanitaria causata dalla pandemia. A reiterare ulteriormente la misura è stato, in un secondo momento, il Decreto Legge Milleproroghe.
Nel caso in cui, ora come ora, venisse approvato il disegno di legge n. 674 dal titolo Interventi a sostegno della competitività dei capitali verrebbero introdotte delle modifiche statutarie che permetterebbero delle limitazioni molto significative all’accesso in assemblea.
Verrebbe impedito, in questo modo, agli azionisti critici di portare tutte le istanze che fanno parte di una società civile nei consessi annuali delle più importanti imprese multinazionali. Ma anche nelle principali banche italiane.
Questa disposizione non è stata accolta con favore nemmeno dalla Consob, che nel corso di un’audizione tenuta in Senato aveva espresso il proprio parere negativo sull’iniziativa.
La denuncia delle associazioni
Stando a quanto hanno messo in evidenza le più importanti associazioni, oltre al danno ci sarebbe anche la beffa. All’interno delle ultime bozze del testo del disegno di legge n. 674 è stato inserito un particolare movimento che avrebbe reiterato ufficialmente quanto contenuto all’interno del Decreto Legge Cura Italia datato 17 marzo 2020. Verrebbero confermate, anche nel 2024, le assemblee degli azionisti a porte chiuse. Questo avverrebbe per il quinto anno consecutivo, anche se, ormai, non sussiste più un’emergenza sanitaria tale da giustificare un’assemblea a porte chiuse.
Le conseguenze di questa scelta
Quali sono le conseguenze, in estrema sintesi, di questa scelta? Con le assemblee a porte chiuse, in un certo senso, si chiuderebbe un cerchio. Verrebbero, in questo modo, apportate delle importanti e sostanziali modifiche statutarie nel corso delle assemblee senza che siano presenti gli azionisti critici. Verrebbe impedito di aprire un reale confronto sulle questioni più importanti a partire dalle assemblee ordinarie del 2024.
“Nelle assemblee delle società si decide anche del nostro futuro, in un presente precario di crisi climatica, guerre, povertà energetica ed economica che le stesse hanno contribuito ad alimentare”, spiega a Materia Rinnovabile Simone Ogno di ReCommon. “Permettere all’azionariato critico di esprimersi in questi consessi è una questione di trasparenza e democrazia”.
Il legislatore ha ignorato “non solo le voci degli azionisti critici, ma anche quella, autorevole, del presidente di Consob, che ha ritenuto lesiva dei diritti degli azionisti la modalità di svolgimento delle assemblee a porte chiuse ‒ aggiunge Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica ‒ si tratta di interessi legittimi degli azionisti lesi, che dovranno essere difesi in tutte le sedi se, malauguratamente, la norma verrà approvata in questa versione”.
Da sottolineare, poi, che la proposta di proseguire a porte chiuse si andrebbe a scontrare direttamente con alcune normative europee. ReCommon ha messo in evidenza, ad esempio, che l’articolo 1 della Direttiva Ue 828 del 2017 garantisce espressamente il diritto degli azionisti a mantenere costante un occhio vigile sulla responsabilità ambientale e sociale delle imprese.
Ma questo non basta. Il fatto che possano partecipare attivamente solo e soltanto gli azionisti con una consistente quota di capitale si va a scontrare direttamente con la direttiva UE 36 del 2007, che richiede che le società assicurino “la parità di trattamento a tutti gli azionisti che si trovano nella stessa posizione per quanto concerne la partecipazione e l’esercizio dei diritti di voto in assemblea”.
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Immagine: Marco Oriolesi