Da Mosca - Le spiagge colpite dagli sversamenti di petrolio dopo l’incidente delle due petroliere nello stretto di Kerch non torneranno come erano prima del disastro per almeno un anno. A questo punto lo ammette anche il governo russo, che ha tenuto una riunione dedicata al tema il 23 gennaio. L'emergenza non è finita e il ripristino non partirà prima dell'autunno.

Il 15 dicembre 2024, nello stretto che unisce il Mar d’Azov con il Mar Nero, a causa di una tempesta due navi che trasportavano circa 8.000 tonnellate di prodotti petroliferi hanno perso la rotta e si sono incagliate. Dai serbatoi danneggiati sono fuoriuscite complessivamente circa 2.400 tonnellate di “mazut”, un olio combustibile pesante e di bassa qualità che viene recuperato dopo la prima fase di raffinazione. In Occidente viene ulteriormente frazionato per separare parti pregiate, come il diesel. Nei paesi ex sovietici e in Asia, invece, viene utilizzato come combustibile per generare calore ed elettricità.

Danni e conseguenze dello sversamento nel Mar Nero

Stando ai dati più recenti dei ministeri russi delle emergenze e delle risorse naturali, il liquido viscoso avrebbe già contaminato 280 ettari di costa, dai quali sono state finora rimosse oltre 175.000 tonnellate di suolo contaminato. Dall’inizio dell’emergenza risultano circa 70 i delfini trovati morti sulle spiagge. Sono a rischio anche intere colonie di procellarie, gabbiani e cormorani. L'ente fitosanitario e veterinario russo sta prelevando campioni di pescato per valutare l’impatto sulla catena alimentare.

A oggi l’area interessata si estende dal litorale russo del Mar Nero alla costa meridionale della penisola di Crimea, con sporadici avvistamenti di bitume anche sulle coste ucraine e in Georgia. Sebbene la Volgoneft 239 sia stata ormai svuotata, gli sversamenti a riva probabilmente continueranno finché non verranno rimosse entrambe le navi e isolati i depositi di carburante sul fondale. Il disastro può avere conseguenze gravi per tutti i paesi del Mar Nero, come ricordato dal governo di Kiev, ma è lo stesso isolamento della Russia a non favorire il coordinamento delle risposte all’emergenza. Così, le disposizioni della convenzione del 1992 sulla protezione del Mar Nero rischiano di restare lettera morta.

Il ritardo delle istituzioni russe

Immediatamente dopo l’incidente primi a intervenire sono stati i volontari, armati di semplici pale e sacchi. Solo in un secondo momento sono stati affiancati dalla Protezione civile che ha dispiegato mezzi meccanici e attrezzature per il recupero dei liquidi in mare. I volontari sono arrivati da tutte le regioni della Russia e si sono coordinati su Telegram. Alcuni hanno persino interrotto viaggi all’estero per unirsi alle attività di pulizia. Albergatori e residenti locali hanno messo a disposizione vitto e alloggio. Parte dei volontari si è dedicata alla cattura e al lavaggio degli animali ricoperti di bitume.

La reazione delle autorità è stata più lenta e frammentaria. In un primo momento hanno reagito solo le istituzioni municipali, man mano che i loro territori venivano toccati dalla marea nera: lo stato di emergenza è stato introdotto prima ad Anapa e Temryuk, poi nelle località della costa sud della Crimea. Il Cremlino ha sdoganato la questione solo il 19 dicembre, con un primo commento di Vladimir Putin sull’accaduto: un "disastro ecologico". Fino al 26 dicembre, a dieci giorni dall’incidente, il governo non ha però ritenuto necessario mobilitare risorse degli enti federali.

Anche la commissione governativa istituita sotto la guida del Ministero delle emergenze ha dovuto rispettare le dovute procedure di assegnazione di incarichi, competenze e finanziamenti prima di avviare determinate attività sul campo. Ad esempio, per poter avviare il recupero delle due navi, le autorità hanno dovuto prima ottenere la cessione dei relativi diritti da parte degli armatori. Si trattava, peraltro, di due petroliere inizialmente progettate per il trasporto fluviale e poi modificate per la navigazione in mare, come ha osservato Igor Jushkov, analista del Fondo nazionale per la sicurezza energetica. Dunque, i tecnici a lungo si sono chiesti se fosse meglio sollevare le navi con il carico, rischiando di spezzarle, o svuotarle sul posto con il pericolo di ulteriori sversamenti in caso di mare mosso.

Petrolio in mare, sabbia contaminata e la stagione turistica alle porte

Dal giorno dell’incidente, il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) ha prodotto quotidianamente previsioni sullo spostamento del mazut che ha inoltrato alle istituzioni internazionali competenti con l’auspicio che potessero aiutare le autorità locali a predisporre risposte adeguate. “Mentre facevamo le previsioni, già a dicembre, il mare ha cambiato totalmente la direzione delle correnti”, ha spiegato ai microfoni di Radio 24 Giovanni Coppini, responsabile del programma di ricerca sulle coste globali del CMCC. L’interazione degli idrocarburi con i diversi elementi naturali, “la trasformazione del petrolio in mare”, complica le previsioni. Se la parte volatile del petrolio evapora, il residuo più pesante si emulsiona con l’acqua e ingloba microorganismi, precipitando sul fondale dove forma degli accumuli non visibili dalla superficie.

Approfittando della solidificazione del bitume alle basse temperature registrate nei primi giorni dell’anno, i sommozzatori hanno iniziato a rimuovere meccanicamente strati di sabbia contaminata setacciandola con reti di polipropilene. Al momento la temperatura dell’acqua si aggira ancora intorno ai 10 gradi, ma i volontari all’opera sulla costa temono nuovi affioramenti in superficie quando anche il mare raggiungerà i 15-20 gradi e il mazut si scioglierà.

Personale e ruspe continueranno a rimuovere le sacche di bitume man mano che si formeranno. Il governo è intenzionato a salvare a ogni costo la stagione balneare e tenterà di garantire sabbia pulita per i bagnanti che decideranno anche quest’anno di trascorrere le vacanze sul Mar Nero. Il ministro delle Risorse naturali, Aleksandr Kozlov, ha annunciato che saranno trasferiti 840.000 metri cubi di sabbia pulita da tre cave di sabbia di quarzo per sostituire le 134.000 tonnellate di suolo contaminato ad Anapa e le quasi 800 tonnellate rimosse dalle altre zone colpite. La regione riceverà una compensazione di 1,5 miliardi di rubli (circa 14,5 milioni di euro).

Entro il 1° settembre verrà poi effettuata una stima dei finanziamenti necessari al ripristino globale del litorale e i lavori inizieranno solo a stagione turistica ultimata, nel quarto trimestre del 2025. Nel frattempo gli ingegneri proveranno a tamponare l’erosione della costa. La bonifica apre la questione dello smaltimento sicuro della sabbia contaminata, e le regioni limitrofe, verso le quali sono diretti i detriti, sono preoccupate che il frettoloso salvataggio del litorale del Mar Nero possa trasformarsi in un rischio per i propri bacini idrici.

 

In copertina: immagine di repertorio, Envato