“La bioeconomia circolare è necessaria per trainare la transizione ecologica e la competitività del Paese”. Ma il suo funzionamento “richiede un approccio sistemico che coinvolga agricoltura e filiere integrate, oltre a elementi come eco-design e biodegradabilità”. Lo ha dichiarato Catia Bastioli, A.D. di Novamont e Presidente di Cluster SPRING, nel corso dell’evento pubblico “Un patto italiano per il suolo” in occasione della quarta edizione del Bioeconomy Day.
L’iniziativa, lanciata dal Cluster della Bioeconomia circolare SPRING in collaborazione con Assobiotec-Federchimica e con la Fondazione Raul Gardini, ha previsto due giornate dedicate alla bioeconomia al teatro Dante Alighieri di Ravenna. Accanto ai dibattiti e alle tavole rotonde, il programma ha previsto anche la premiazione del concorso riservato alle scuole “Bioeconomy4YOU”.
Un cambio di paradigma nel modello di sviluppo
Ma da dove nasce l’attenzione per la bioeconomia circolare? Essenzialmente dalla necessità di superare un modello di sviluppo economico non più sostenibile sia alla luce del cambiamento climatico sia di fronte al crescente consumo di risorse. “Nel 2021 per la prima volta, l’ammontare della massa antropogenica ha superato quello della biomassa”, ricorda Bastioli.
Gli esseri umani, in altre parole, hanno prodotto lo scorso anno materiali totali per 1,1 trilioni di tonnellate. E lo hanno fatto, per altro, in un contesto di crisi delle materie prime.
“Oggi pesa ancora un approccio generale basato su individualismo e sfruttamento”, prosegue Bastioli. “Di fronte a questo paradigma la transizione energetica dal fossile alle rinnovabili non è sufficiente”. Da qui la necessità di un approccio sistemico capace di mettere insieme settori diversi ponendo al centro un elemento comune: la tutela del suolo.
Il suolo al centro della bioeconomia
A chiarirlo, in particolare, è Claudio Ciavatta, Ordinario di Chimica Agraria presso l’Università di Bologna. Il suolo è la risorsa centrale per la produzione agricola. Ma un’agricoltura incapace di rispettare i principi della circolarità chiudendo il ciclo del carbonio non può essere sostenibile. A maggior ragione nel contesto del riscaldamento globale, fenomeno che accelera i processi ossidazione che portano alla distruzione di sostanza organica.
“C’è suolo se c’è materia organica, che è alla base della vita dei microorganismi”, spiega il docente. “Il problema – prosegue – è che negli ultimi decenni il modello agricolo non ha garantito abbastanza carbonio organico ai suoli, esponendo i terreni a conseguenze gravi, a cominciare dall’erosione“.
Come si contrasta questo fenomeno? Con l’aggiunta di sostanza organica da recuperare attraverso il riuso dei materiali biodegradabili, il concetto chiave della bioeconomia circolare. Fin qui la teoria. Ma al lato pratico, suggerisce il docente, ecco emergere un problema: le carenze normative.
UE e Italia ancora in ritardo
“I rifiuti a base organica possono contribuire alla fertilità, alla funzionalità e alla salute dei suoli”, spiega ancora Ciavatta. “Ma solo all’interno di un contesto caratterizzato dalla presenza di norme di settore”. Norme come il Regolamento europeo sui fertilizzanti che entrerà in vigore nel luglio di quest’anno e che potrà dare una spinta al riciclo di sottoprodotti e rifiuti e recupero di sostanza organica. Ma sul fronte della regolamentazione, probabilmente, siamo ancora in ritardo.
“Occorre arrivare a un corretto inquadramento della bioeconomia circolare in Europa, distinguendo i prodotti sostenibili da quelli che non lo sono e favorendo il carbon farming“, aggiunge Bastioli. Nel mentre, “in Italia manca ancora un codice Ateco per la bioeconomia”. Insomma, come ha ricordato la stessa AD alla vigilia della kermesse ravennate, “occorre ora un cambio di passo nella direzione del riconoscimento dell’importanza strategica di questo settore per la rigenerazione dei nostri territori”.
300 miliardi di euro, molti settori coinvolti
Secondo le stime più recenti, la bioeconomia italiana vale già oltre 300 miliardi di euro, copre il 6,4% del valore aggiunto e fornisce un impiego all’8% degli occupati. Il dato, ovviamente, identifica una pluralità di settori, le cui attività si intrecciano di volta in volta nell’offrire soluzioni nuove basate sul paradigma circolare. Due esempi presentati a Ravenna aiutano a comprendere meglio il concetto.
Silvia Buzzi, HSE & Sustainability Manager di Caviro Extra spiega ad esempio come la sua società, parte del gruppo che rappresenta la più grande cooperativa vitivinicola della Penisola, sia impegnata “nell’estrazione di valore aggiunto da tutti i prodotti di scarto della vinificazione”. L’applicazione del modello circolare, nel dettaglio, consente a Caviro di recuperare risorse (e milioni di litri d’acqua) generando prodotti tanto per il settore agricolo (fertilizzanti) quanto per quello energetico (biometano).
Endura SpA, è invece un’azienda chimica, tuttora leader mondiale nella produzione di Piperonil Butossido (PBO), una sostanza usata come eccipiente negli insetticidi naturali. Il Piperonil, ricorda Carla Marchioro, Direttore della divisione R&D, può essere estratto dall’olio di sassofrasso, una pianta arbustiva diffusa soprattutto in Nord America. Questo tipo di produzione, tuttavia, richiederebbe un ampio impiego di esemplari. L’azienda ha così iniziato a realizzare l’olio direttamente attraverso un processo di sintesi riciclando i solventi “praticamente all’infinito”. In linea, cioè, con il principio del riuso.
Immagine: Manikandan Annamalai (Unsplash)