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Gli animali selvatici sono diminuiti del 73% negli ultimi cinquant’anni e particolarmente allarmante è il declino delle specie d'acqua dolce, la cui riduzione è stata dell'85%. A dirlo è il WWF (World Wide Fund for Nature) nell’edizione 2024 del suo Living Planet Report, un'analisi dettagliata dello stato della biodiversità globale, evidenziando le serie minacce che incombono su fiumi, laghi e zone umide.
Questo rapporto monitora le variazioni medie in oltre 30.000 popolazioni di oltre 5.000 specie di vertebrati, offrendo una panoramica importante sulla salute degli ecosistemi terrestri. L'ultima edizione, pubblicata a ottobre, traccia un quadro preoccupante, mostrando un drammatico calo nelle popolazioni di animali selvatici tra il 1970 e il 2020. Per approfondire i risultati del rapporto, Materia Rinnovabile ha intervistato Jeff Opperman, responsabile scientifico globale del WWF per le acque dolci e coautore del rapporto.
Quali sono le principali cause del declino degli ecosistemi e della biodiversità delle acque dolci?
Gli ecosistemi d'acqua dolce e le specie che dipendono da essi sono stati duramente colpiti dalle attività umane. Città, agricoltura e produzione energetica, inclusa l’energia idroelettrica, esercitano forti pressioni su questi sistemi. Secondo numerosi studi le principali minacce derivano da dighe, argini e altre infrastrutture idriche che frammentano, deviano o prosciugano le risorse d'acqua. Un altro fattore importante è l'inquinamento, in particolare quello causato dall'agricoltura, poiché il deflusso da vaste aree agricole trasporta suolo in eccesso, fertilizzanti e sostanze chimiche verso corsi d'acqua, fiumi ed estuari. Quando non gestito correttamente, tale deflusso può danneggiare seriamente gli ecosistemi, alterando la produzione di cibo nelle zone fluviali ed estuarine, con ripercussioni su diverse industrie, come quella della pesca.
Anche i servizi ecosistemici sono quindi influenzati dalla perdita di biodiversità e dal degrado degli ecosistemi d'acqua dolce?
Certamente. Ad esempio, la frammentazione dei fiumi non solo danneggia la biodiversità, ma compromette anche il controllo naturale delle inondazioni. Quando i fiumi possono espandersi nelle pianure alluvionali, queste assorbono l'acqua in eccesso, contribuendo a proteggere le comunità che vi abitano dalle inondazioni. La scomparsa delle pianure alluvionali dimostra come le stesse dinamiche che degradano gli ecosistemi aumentino anche i rischi per le persone.
Quali specie sono maggiormente colpite dal degrado degli ecosistemi d'acqua dolce?
I pesci migratori sono un buon esempio. Si spostano all'interno dei sistemi fluviali o migrano tra oceano e fiumi, come fa il salmone, uno dei più conosciuti. Tra le principali minacce per le specie d’acqua dolce c’è la costruzione delle dighe, che frammentano i fiumi e bloccano le rotte migratorie. Nel tempo, ciò ha causato un calo dell'80% nelle popolazioni di pesci migratori dal 1970. E queste specie sono cruciali non solo per la biodiversità ma anche per la sicurezza alimentare. In passato, ad esempio, il salmone selvatico rappresentava una fonte alimentare essenziale per le comunità indigene in Canada, negli Stati Uniti e in altre aree dell’emisfero settentrionale. Oggi è ancora presente nei supermercati, ma la maggior parte proviene dall'acquacoltura. Anche in fiumi come il Mekong, nel sud-est asiatico, i pesci migratori rappresentano una parte significativa della pesca da cui molte persone dipendono per il proprio sostentamento.
Sono stati fatti dei tentativi per rimuovere le dighe o altri ostacoli che bloccano i fiumi?
Sì, ed è una delle storie di successo da celebrare e da cui trarre ispirazione per il futuro. Un esempio è quello del fiume Klamath, tra il nord della California e il sud dell'Oregon, negli Stati Uniti, dov’è stato attuato il più grande progetto di rimozione di dighe della storia. Dopo decenni di sforzi e negoziati tra comunità indigene e locali, proprietari delle dighe, organizzazioni per la conservazione, funzionari statali e federali, sono state rimosse quattro grandi dighe idroelettriche. Un intervento che avrà un impatto rilevante sull'ecosistema, in linea con gli sforzi per invertire la perdita di biodiversità. La speranza è che riesca a piegare la curva della biodiversità, aumentando le popolazioni di salmoni e mostrando come la natura possa essere ripristinata. È una vittoria rara sia per la fauna selvatica che per la popolazione locale che dipende dal fiume.
Un risultato che va a vantaggio di tutti.
Esatto. Sebbene la rimozione delle dighe comporti una perdita di energia idroelettrica, queste strutture erano ormai datate e avrebbero richiesto ingenti investimenti per essere mantenute efficienti. Nel frattempo, la California sta ampliando rapidamente le proprie fonti di energia eolica e solare, immettendo in rete una capacità energetica ben superiore a quella persa con le dighe e ora circa l’80% della nuova produzione elettrica proviene da eolico e solare. Ciò è parte di una trasformazione più ampia dei sistemi energetici, che ci offre l'opportunità di ripensare non solo come produciamo energia, ma anche come gestiamo e ripristiniamo i nostri sistemi fluviali.
Come si possono applicare le Nature-based Solutions agli ecosistemi d'acqua dolce per migliorare il benessere della biodiversità?
Le soluzioni basate sulla natura offrono vantaggi sia per l’uomo sia per l’ambiente e alcuni dei migliori esempi riguardano la gestione delle risorse idriche. Foreste e zone umide, ad esempio, svolgono un ruolo essenziale nel mantenere l’acqua pulita: quando si trovano a monte delle fonti idriche, agiscono come filtri naturali. Un buon esempio è quello della città di New York, dove sono stati effettuati importanti investimenti per preservare la salute del bacino idrografico. La gestione delle inondazioni è un altro ambito in cui le Nature-based Solutions sono utili. Invece di contare esclusivamente sugli argini, che limitano i fiumi e possono cedere, il ripristino delle pianure alluvionali consente ai fiumi di espandersi naturalmente durante le piene. Inoltre, le pianure alluvionali e gli ecosistemi fluviali sono tra i più ricchi di biodiversità e produttività del pianeta.
Si sente ottimista riguardo ai risultati della COP16 di Cali, in particolare per la biodiversità delle acque dolci?
Sarebbe un grande successo per la COP16 se i paesi si impegnassero non solo a proteggere gli ecosistemi esistenti, ma anche a ripristinare ciò che è andato perduto. Il concetto di piegare la curva è cruciale: non basta fermare il declino della natura, occorre attivarsi per invertirlo e aiutare la natura a rinascere. Mentre i paesi valutano come adattarsi ai cambiamenti climatici e proteggere le popolazioni, il mantenimento di sistemi fluviali resilienti diventa essenziale. Durante la COP16, inoltre, si darà particolare rilievo alla Freshwater Challenge, un’iniziativa mirata ad accelerare il ripristino di 300.000 chilometri di fiumi degradati e 350 milioni di ettari di zone umide entro il 2030, nonché a conservare intatti gli ecosistemi d'acqua dolce.
Quali altri argomenti ritiene importanti affrontare?
Un aspetto centrale che vorrei sottolineare è la necessità di una transizione che sia al contempo rapida e attenta. Circa un anno fa abbiamo collaborato con il Boston Consulting Group (BCG) per redigere il rapporto Building a Nature-Positive Energy Transformation, rispondendo alle preoccupazioni secondo cui la transizione energetica rinnovabile potrebbe danneggiare ulteriormente la natura, ad esempio con pannelli solari che distruggerebbero le foreste o danni ambientali causati dall'estrazione di minerali critici. Nel rapporto abbiamo delineato due possibili scenari: uno in cui si realizza la transizione energetica rinnovabile e un altro che prosegue con il tradizionale uso di combustibili fossili. Esaminato 30 diversi parametri, tra cui biodiversità, sicurezza umana e occupazione, fattori che dovrebbero essere importanti per i decisori politici, i risultati dimostrano che, in quasi tutti i parametri, una transizione rinnovabile di successo porta a un futuro di gran lunga migliore, raggiungendo gli obiettivi climatici e migliorando la vita di persone e ambiente. Sebbene l’attività estrattiva mineraria resti una criticità, il rapporto evidenzia che la transizione verso le rinnovabili comporterebbe una riduzione del 30% delle terre destinate all'estrazione e una riduzione del 95% dell’area sfruttata per scopi energetici, poiché l’estrazione del carbone verrebbe gradualmente eliminata. La principale conclusione di questo rapporto è che, sebbene un futuro basato sulle rinnovabili sia nettamente migliore per l’uomo e per la natura, è fondamentale gestire con attenzione la transizione. Se siamo prudenti, possiamo accelerare il cambiamento senza creare conflitti, realizzando entrambi gli obiettivi.
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Immagine di copertina: Envato