Sono 114, al momento, le vittime accertate degli incendi che hanno distrutto l’isola di Maui, nello stato delle Hawaii, ma oltre 850 persone risultano ancora disperse. L’identificazione, però, è avvenuta finora solo per 27 corpi, e di 16 di loro restano ancora da avvisare le famiglie. È questo il bilancio temporaneo di quello che è già stato definito l’incendio più mortale degli ultimi 100 anni negli Stati Uniti.
Intanto, giovedì 17 agosto si è dimesso con effetto immediato il capo dell'Agenzia per la gestione delle emergenze di Maui (Mema), Herman Andaya, adducendo motivi di salute. Il giorno prima, in una conferenza stampa, Andaya aveva difeso e spiegato la propria decisione di non suonare le sirene di allarme mentre le fiamme si avvicinavano alla città. Il sindaco di Maui, Richard Bissen, ha accolto le dimissioni, ma le polemiche sulla gestione dell’emergenza permangono.
Cause degli incendi alle Hawaii
In questa situazione, scienziati ed esperti hanno iniziato a spiegare le cause degli incendi che hanno devastato l’isola di Maui, che riguardano sia i cambiamenti climatici che gli interventi dell’uomo sul territorio. I fattori scatenanti e favorenti sono stati diversi, ma tutti legati tra loro in un circolo vizioso che non riguarda solo l’arcipelago delle Hawaii ma si sta registrando anche in altre zone del pianeta.
Vento e siccità
Da una parte, infatti, i forti venti hanno impattato sulle montagne, e l’aria, spostandosi verso il basso, si è compressa e riscaldata perdendo umidità, cioè seccandosi. Il vento ha un effetto diretto sulla fiamma perché la direziona e le imprime velocità, ma anche un effetto indiretto, perché toglie umidità alla vegetazione favorendone la combustione. Inoltre, apporta comburente, in questo caso l’ossigeno, che alimenta il fuoco.
D’altra parte, però, per tutta l’estate Maui ha registrato una siccità che lo US Drought Monitor, l’ente per il monitoraggio della siccità negli Stati Uniti, ha definito da moderata a grave (livelli D1-D2 su una scala che va da D0 a D4). Quindi, anche se nei giorni precedenti l'inizio dell'incendio, 8 agosto, le temperature a Lahaina, la capitale, si aggiravano sui 30° circa, nella media per il periodo, la siccità era maggiore del solito.
Anche il ciclo della Niña che si è concluso nel 2022 non ha prodotto la quantità di pioggia prevista. La Niña è un fenomeno atmosferico e oceanico che fa da bilanciamento a El Niño, porta cioè correnti fredde e piogge in inverno. Ma da trent’anni si osserva un calo delle precipitazioni di circa il 30% durante la stagione delle piogge nelle Hawaii, come ha spiegato la climatologa Abby Frazier della Clark University del Massachusetts a Reuters.
Dal 7 al 9 agosto, le raffiche di vento hanno raggiunto i 108 chilometri orari nella contea di Maui, secondo il National Weather Service. John Bravender, climatologo che lavora con il Central Pacific Hurricane Center della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), ha spiegato a Reuters che l’uragano Dora, pur trovandosi lontano da Maui, ha spinto l’aria calda più vicina al suolo, combinandosi con un forte sistema di alta pressione a nord delle Hawaii noto come North Pacific High. Secondo Bravender, tali fenomeni si verificano un paio di volte all'anno, ma "questo è stato estremo per dimensioni".
Deforestazione e canna da zucchero
Un ulteriore problema è costituito dalla vegetazione. Una volta, infatti, che questi venti vengono a contatto col suolo, trovano erbe secche invece delle piante tropicali autoctone. Come ha spiegato sempre Abby Frazier a Nature, nel corso di Ottocento e Novecento il territorio è stato riempito di piantagioni di canna da zucchero per l’esportazione.
Quando di recente, però, all’alba del 2000, le aziende di settore hanno abbandonato le Hawaii per delocalizzare in Paesi più convenienti, come India, America del Sud e Caraibi, queste coltivazioni sono state abbandonate. Ma non sono state attuate politiche per ripristinare l’ecosistema originario. Sempre che questo sia possibile. Secondo dati riportati da Reuters, oggi oltre il 90% delle foreste autoctone hawaiane è scomparso e le erbe alloctone coprono circa un quarto dello Stato.
Le foreste tropicali sono in grado di trattenere l’umidità anche in previsione di eventuali periodi di siccità. La deforestazione, quindi, come quella che sta avvenendo in Amazzonia, favorisce l’insorgere e il propagarsi di incendi, che a loro volta acuiscono il cambiamento climatico, che a sua volta favorisce l’insorgere di incendi. Ecco perché intervenire per la difesa e il ripristino degli ecosistemi, limitare l’impatto delle attività umane favorendo azioni di mitigazione del cambiamento climatico sta diventando sempre più importante e urgente.
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