Il granchio blu o granchio reale blu è un crostaceo decapode originario delle coste atlantiche di tutto il continente americano, dalla Nuova Scozia fino al Sud America. Vive a temperature comprese tra i 3 e i 35 gradi, si trova bene anche nell’acqua dolce dei fiumi, in quella salmastra delle paludi e si riproduce molto velocemente.
È un animale onnivoro che arriva a 1 chilo di peso, per 15 centimetri di lunghezza e 25 di larghezza. Si nutre di vongole, cozze, gamberi, uova, crostacei e pesci, in particolare gli avannotti, andando così ad alterare direttamente la popolazione futura, mentre per la propria sopravvivenza può contare su femmine in grado di deporre fino a 2 milioni di uova l’anno.
Granchio blu per l’esportazione
Nei giorni in cui il presidente del Veneto Luca Zaia ha invocato lo stato d’emergenza per l’invasione dei crostacei alieni nel Delta del Po, l’accordo tra una startup emiliana, Mariscadoras, e un’azienda del comune veneto di Marcon, la Tagliapietra & figli, che si occupa della lavorazione di pesci e crostacei, punta a trasformare la piaga del granchio blu in una nuova opportunità di sviluppo sostenibile.
Secondo gli esperti, il granchio blu è giunto in Italia attraverso dei cargo merci provenienti dall’Atlantico ed è conosciuto per la caratteristica di essere una specie molto aggressiva. Dai pescatori è definito il “killer dei mari” perché distrugge gli allevamenti di vongole e cozze, mangia i crostacei autoctoni e tante tipologie di pesci dei nostri mari. Grazie all’accordo tra le due società, il primo carico di chele e preparati dal granchio blu è partito verso la Florida, per il consumo locale. Nei container più di 15 tonnellate di crostacei semilavorati pescati dalle imprese ittiche della Sacca di Goro, del territorio di Comacchio e nel Delta del Po, ma il Veneto guarda con interesse a una diffusione dei prodotti derivati anche nel mercato francese.
Il granchio blu all’estero è particolarmente apprezzato come ripieno per i ravioli. L’idea di esportalo è venuta a Mariscadoras, startup innovativa tutta al femminile, nata nell’anno 2021 e ideatrice del progetto Blueat – La pescheria sostenibile. Le ragazze innovatrici stanno tentando di unire la necessità di intraprendere una riduzione dell’enorme quantità di granchi blu con l’avvio di una attività imprenditoriale che attraverso l’economia circolare tenta di superare la problematica, trasformandola in una nuova opportunità di commercio.
Il progetto Blueat – La pescheria sostenibile
La sinergia è stata resa possibile grazie a un accordo di collaborazione proposto dalla Legacoop Agroalimentare Nordest per rilanciare sul mercato la lavorazione e la trasformazione dei granchi in polpa e sughi pronti. Una progettualità che ha colpito positivamente anche le istituzioni politiche. Alessio Mammi, assessore regionale all’Agricoltura e alla Pesca dell’Emilia-Romagna, invita a riflettere su come affrontare i nodi irrisolti dello smaltimento del prodotto non adatto alla vendita. Unendo la pesca sostenibile e lo spirto imprenditoriale innovativo, tecnologico e digitale della green economy, per ridurre l’impronta ambientale nella raccolta, le imprenditrici emiliane sono riuscite a massimizzare il prodotto.
“Con il progetto Blueat stiamo costruendo una filiera che parte dai pescatori passando per le fasi di lavorazione e trasformazione fino alla vendita in Italia e all’estero dove è più alta la richiesta di questo prodotto. E abbiamo iniziato a farlo quando di granchio blu nessuno parlava”, ha recentemente dichiarato Carlotta Santolini, fondatrice della startup Mariscadoras e protagonista del progetto Blueat.
Altri usi del granchio blu
Ma anche altre startup stanno lavorando per sviluppare nuove opportunità derivanti dal granchio blu. L’industria farmaceutica guarda con interesse al recupero degli scarti, in quanto il carapace del granchio è ricco di chitina, di chitosano e di astaxantina: sostanze utili per la nutraceutica, anoressizzanti e utilizzabili quindi come integratori nelle diete alimentari.
Attualmente, la materia prima destinata alla produzione di chitina proviene esclusivamente da alcune tipologie di crostacei importati da paesi esteri, in particolar modo asiatici. Tale aspetto ha determinato una dipendenza commerciale che contribuisce a incrementare il valore di mercato dei derivati del granchio blu.
Gli innovatori stanno poi studiando la possibilità di creare una nuova opportunità di diversificazione all’interno delle attività legate alla pesca mediante l’utilizzo degli scarti del granchio blu. Il pescatore, in questo contesto, senza modificare le modalità di pesca, acquisisce un’ulteriore entrata economica, evitando i rigetti in mare e offrendo l’opportunità della creazione di una filiera virtuosa di produzione della chitina anche a livello regionale e nazionale. Un approccio più sostenibile se rapportato all’idea di alcune aziende di utilizzare gli scarti del granchio blu per produrre mangime per i polli, come intrapreso da alcune società nell’area del Veneto e dell’Emilia-Romagna.
Immagine: Envato Elements