Si è concluso ieri, sabato 15 giugno, in Puglia il 50° vertice del Gruppo dei Sette (G7), il forum informale che riunisce i capi di stato e di governo delle sette democrazie più influenti del mondo: Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America (più l’Unione Europea, che partecipa ai vertici rappresentata dal presidente del Consiglio europeo e dalla presidente della Commissione europea).

Le 36 pagine del comunicato finale spaziano dai nuovi aiuti all’Ucraina all’intelligenza artificiale, dall’azione climatica ai diritti della comunità LGBTQIA+. Il dossier non ha riservato grandi sorprese rispetto a quanto atteso, riprendendo in gran parte il lavoro degli sherpa e i risultati delle numerose riunioni ministeriali tenute negli scorsi mesi.

Da Kiev a Gaza, i fronti aperti e la tregua olimpica

I leader hanno confermato il supporto all’Ucraina, formalizzando un accordo su cui già negli ultimi giorni era stata raggiunta un’intesa di principio. Un prestito, chiamato Extraordinary Revenue Acceleration (ERA) Loans da più di 50 miliardi di euro che inizierà a essere erogato già prima della fine dell’anno e che servirà per sostenere resistenza militare e ricostruzione delle infrastrutture energetiche del paese. La divisione della spesa tra i paesi G7 verrà meglio definita dopo l’insediamento della nuova Commissione europea. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno ricevuto l'autorizzazione dal Congresso a fornire fino a 50 miliardi di dollari, nell’attesa che altri paesi si facciano avanti con i propri prestiti, riducendo così l'importo che Washington dovrà erogare. La restituzione dovrà avvenire nel corso di una decina di anni.

La novità di questo accordo consiste nel fatto che, nel caso in cui l’Ucraina non fosse in grado di ripagare il prestito, i paesi finanziatori potranno rivalersi sui profitti maturati dallo sfruttamento dei fondi russi a oggi congelati negli istituti di credito europei (210 miliardi di euro della Banca centrale russa e 25 miliardi di euro di fondi privati). Si è trovato quindi un accordo per utilizzare i fondi russi finora congelati, senza però portare a una svalutazione dei beni, che avrebbe messo in dubbio la credibilità delle economie occidentali di fronte agli investitori internazionali.

Parallelamente, è stato firmato un accordo bilaterale di cooperazione in materia di sicurezza tra Ucraina e Stati Uniti, secondo cui, in caso di attacco contro l’Ucraina, le parti si dovranno consultare entro 24 ore per concordare le misure difensive. In questo modo, l’accordo non obbliga gli Stati Uniti a intervenire in difesa dell’alleato, ma tenta di impegnare le future amministrazioni statunitensi al sostegno all’Ucraina. Trattandosi di un ordine esecutivo non ratificato dal Congresso, però, ha poche speranze di resistere a una eventuale vittoria di Trump.

È stata inoltre allargata l’estensione delle sanzioni contro la Russia a tutte le società, banche comprese, che “sostengono materialmente la macchina da guerra russa”, mirando a colpire in particolare i paesi che a oggi fungono da mediatori per aggirare le sanzioni. Si tratta in particolare di un segnale a Cina e Iran, che sostengono il regime di Putin rispettivamente aiutandolo ad aggirare le sanzioni su beni e tecnologie e fornendo sostegno militare diretto.

Sul fronte palestinese, invece, i Sette hanno confermato il sostegno alla soluzione dei due stati e hanno discusso il piano americano per la tregua tra Hamas e Israele, per “un immediato cessate il fuoco a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi, un aumento significativo del flusso di assistenza umanitaria in tutta Gaza e una fine duratura della crisi”. È stato inoltre lanciato un appello per una “tregua olimpica” nelle prossime settimane.

Dal Mar Rosso alla Cina per la difesa del commercio

I lavori si sono anche concentrati sul commercio, condannando gli attacchi Houthi in Yemen contro le navi commerciali nel Golfo di Aden, e affrontando il delicato tema dei rapporti commerciali con la Cina. Anche alla luce della recente scelta dell’Unione Europea di alzare in via preliminare (di molto, fino al 38%) i dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Nel comunicato si legge che, sebbene i paesi G7 non stiano “cercando di danneggiare la Cina o di ostacolare il suo sviluppo economico”, esprimono le proprie “preoccupazioni per il persistente orientamento industriale della Cina e per le sue politiche e pratiche non di mercato che stanno portando a ricadute globali, distorsioni del mercato e dannose sovracapacità in una gamma crescente di settori, minando i nostri lavoratori, le nostre industrie e la nostra resilienza e sicurezza economica”.

Questa scelta si aggiunge a quelle americane, che ormai da sei anni caratterizzano la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina avviata da Trump e proseguita dall’amministrazione Biden. Più in generale, si inserisce in un contesto internazionale di aumento dei dazi in settori critici o nei confronti di alcuni paesi. Sebbene il volume dei commerci globali continui a crescere di anno in anno (raggiungendo 5 volte i volumi di 50 anni fa), e sebbene il livello generale dei dazi stia seguendo una parabola discendente (dal 16% nel secondo dopoguerra al 3% oggi), la World Trade Organization segnala che in alcuni settori critici i dazi sono passati da meno dell’1% del valore degli scambi globali al 10%.

A margine del vertice, la premier Meloni ha anche incontrato il primo ministro dell'India, Narendra Modi, concordando di proseguire nell'attuazione concreta del partenariato strategico avviato nel 2023, evidenziando la recente conclusione di accordi e intese in settori quali mobilità e migrazione, difesa, transizione energetica e diritti di proprietà industriale. Si sono inoltre confermati gli sforzi per il rafforzamento della collaborazione in ambito infrastrutturale, spaziale, digitale e cibernetico.

Ribaditi gli impegni di COP28 senza aggiunte significative

In materia di clima, i lavori del G7 non si sono allontanati dagli impegni concordati a dicembre alla COP28 di Dubai. Nel comunicato finale viene reiterata la “determinazione ad affrontare la triplice crisi globale del cambiamento climatico, dell'inquinamento e della perdita di biodiversità”, accogliendo con preoccupazione profonda i risultati del primo Global Stocktake, il primo bilancio globale sul raggiungimento degli obiettivi di Parigi.

È stata inoltre confermato l’impegno ad allontanarsi dai “combustibili fossili nei sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando le azioni in questo decennio critico, per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, in linea con la migliore scienza disponibile”, attraverso nuovi NDCs ambiziosi e “intensi sforzi per ridurre la domanda e l'uso di combustibili fossili”. Il comunicato conferma anche gli impegni presi durante la COP28 di triplicare la capacità rinnovabile globale e duplicare il tasso medio annuo globale di crescita dell'efficienza energetica entro il 2030. È stato inoltre confermato l’obiettivo di installare a livello globale 1.500 GW di stoccaggi nel settore elettrico entro il 2030.

Viene inoltre affermata la volontà di “raggiungere un settore elettrico completamente o prevalentemente decarbonizzato entro il 2035”, eliminare i sussidi pubblici inefficienti alle fonti fossili entro il 2025 e abbandonare la produzione di elettricità da carbone senza cattura delle emissioni nella prima metà del 2030, “o in un periodo di tempo coerente con il mantenimento di un limite di 1,5°C di aumento della temperatura” (offrendo così un margine di manovra a Germania e Giappone, le cui economie dipendono ancora dal carbone). È rinnovato anche l’impegno per la decarbonizzazione del settore industriale tramite un ampio ventaglio di tecnologie, e per la riduzione delle emissioni di metano dalle operazioni legate ai combustibili fossili (di almeno il 75% a livello globale entro il 2030).

È invece sul gas che il comunicato aggiunge degli elementi rispetto ai risultati di COP28, affermando che, viste le circostanze eccezionali che hanno portato all’urgenza di affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, e considerato “l'importante ruolo che può svolgere un aumento delle forniture di GNL”, il gas potrà ancora ricevere sostegno pubblico come risposta temporanea e soggetta a circostanze nazionali chiaramente definite. La premier Meloni, in particolare, ha affermato che “dobbiamo lavorare con un approccio pragmatico, tenendo sempre presenti le esigenze del nostro sistema produttivo, non possiamo cioè cadere nel paradosso che per favorire l'ambiente finiamo per favorire nazioni che non si fanno tanti problemi a danneggiare l'ambiente”.

Gli attivisti per il clima hanno criticato con forza i risultati, affermando che il vertice non ha prodotto impegni concreti e che la maggior parte delle decisioni erano già state concordate in precedenti incontri. Luca Bergamaschi, direttore e cofondatore di ECCO, il think tank italiano per il clima, ha affermato che “è positivo che i leader del G7 abbiano riaffermato il ruolo guida della COP28 e la necessità di un’uscita graduale dai combustibili fossili, partendo dalla riduzione della loro domanda. Quello che manca sono tempistiche e politiche precise al 2030 e al 2050, per accompagnare l’uscita ordinata dalle fossili”.

Anche sotto il punto di vista della finanza per sviluppo e clima, che sarà il tema centrale della COP29 di Baku questo novembre, non c’è stato alcun progresso significativo. Allo stesso modo, la settimana precedente i negoziatori del processo UNFCCC non sono riusciti ad accordarsi su un nuovo obiettivo per la finanza climatica a Bonn, durante i negoziati intermedi della COP. Il lato positivo, però, è che il comunicato finale riconosce molti dei punti critici in questo ambito: gli oneri crescenti del debito, che “limitano la capacità dei paesi a basso e medio reddito di investire nel loro futuro e di raggiungere gli SDG”; la necessità di strumenti innovativi all’interno delle Banche multilaterali di sviluppo, come il capitale ibrido e le garanzie di portafoglio; e più in generale “l'importanza di continuare a fornire un significativo sostegno agevolato ai paesi a basso reddito”.

Il focus geografico dei lavori è stato chiaro: nel comunicato si legge che “con la più ampia regione del Mediterraneo, l'Africa darà forma al futuro del mondo”. È stata lanciata l'iniziativa Energia per la crescita in Africa insieme a sette Paesi africani, con l’obiettivo di “giocare un ruolo centrale nel sostenere le ambizioni e gli sforzi dell'Africa per sviluppare infrastrutture e catene di approvvigionamento di energia pulita adeguate”. In linea con il Piano Mattei, in cui molti interventi sono dedicati al settore agricolo africano, è stata lanciata l'Iniziativa sui Sistemi Alimentari del G7 Puglia (AFSI), con l'obiettivo di "superare le barriere strutturali alla sicurezza alimentare e alla nutrizione" e per "migliorare lo spazio fiscale per la sicurezza alimentare", anche riducendo i costi di prestito per le nazioni più povere attraverso meccanismi come gli swap sul debito.

I pochi passi avanti rispetto alle conclusioni della COP28 e delle due ministeriali di Venaria (energia e clima) e Stresa (finanza) non stupiscono per due motivi. A livello politico, le elezioni europee hanno sancito un minore interesse verso le posizioni verdi. A livello strutturale, i paesi del G7 contano ormai solo per il 21% delle emissioni globali, contro India e Cina che da sole raggiungono il 40%. La sede delle negoziazioni più solide in ambito climatico sta quindi naturalmente passando a contesti diplomatici più ampi: il G20 e ancor di più le COP delle Nazioni Unite.

Intelligenza artificiale, migrazioni, diritti LGBTQIA+ e aborto

All’interno del comunicato sono stati toccati molti temi. L’intelligenza artificiale generativa, che negli ultimi tre anni ha raccolto investimenti per oltre 40 miliardi di dollari, è uno di questi. In merito, viene proposto un “approccio inclusivo” per l’intelligenza artificiale, affermando la promozione di “un’intelligenza artificiale sicura, protetta e affidabile”, per bilanciarne potenzialità e rischi.

L’immigrazione entra per la prima volta all’interno delle tematiche del summit, con il favore di Regno Unito e Italia. Viene promosso un approccio basato su tre pilastri: “investimenti e sforzi di stabilizzazione, in collaborazione con i paesi di origine e di transito; sforzi per migliorare la gestione e il rispetto delle frontiere e per arginare la criminalità organizzata transnazionale coinvolta nel traffico di migranti e nella tratta di persone; percorsi sicuri e regolari per la migrazione”. Viene inoltre proposto un approccio all’immigrazione basato sull’obiettivo di “garantire i talenti e la mobilità professionale”, per affrontare “le carenze di manodopera nei paesi di destinazione”.

Sul tema dei diritti della comunità LGBTQIA+, il comunicato esprime “preoccupazione per l'arretramento dei diritti delle donne, delle ragazze e delle persone LGBTQIA+ in tutto il mondo, in particolare in tempo di crisi” e condanna fermamente “tutte le violazioni e gli abusi dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali”, facendo però sparire, rispetto al testo del G7 di Hiroshima del 2023, i riferimenti a “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Riguardo l’aborto, invece, su cui la stampa ha riportato numerose polemiche tra il governo italiano e quello francese, la soluzione di compromesso adottata è stata reiterare “gli impegni espressi nel comunicato finale del G7 di Hiroshima per un accesso universale, adeguato e sostenibile ai servizi sanitari per le donne, compresi i diritti alla salute sessuale e riproduttiva per tutti”, senza però fare riferimento esplicito all’aborto.

Poca legittimità politica o più spazio al multilateralismo?

Ciò che ha caratterizzato questo summit rispetto ai precedenti è stato un significativo coinvolgimento dei paesi non G7, sintetizzato nelle parole della premier italiana Giorgia Meloni, che ha affermato che “il G7 non vuole essere una fortezza chiusa”. Per questo, sono stati invitati a prendere parte ad alcuni tavoli di lavoro i capi di stato di Ucraina, India, Brasile, Argentina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kenya, Algeria, Tunisia e Mauritania (che attualmente detiene la presidenza dell’Unione Africana), insieme ai dirigenti di varie istituzioni internazionali, tra cui l’ONU, l’OCSE, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale.

L’impressione è che, indeboliti da numerose sfide interne ed esterne, i paesi del G7 stiano cercando dei modi per aprirsi maggiormente al Sud Globale, allargando il formato del G7, già da tempo scricchiolante. Il peso delle economie G7 è infatti fortemente diminuito negli scorsi decenni. Nel 1990 i 7 rappresentavano il 66% del PIL mondiale, contro l’attuale 43%; il 52% del commercio mondiale, contro l’attuale 27%; e il 71% della spesa in difesa mondiale, contro l’attuale 53%.

Inoltre, quest’anno ‒ l’anno “più elettorale” di sempre (con oltre 2 miliardi di persone che voteranno o hanno già votato in 76 paesi) – i leader di quasi tutti i paesi del G7, a eccezione di Giorgia Meloni, sono arrivati al summit alle prese con problemi di legittimità politica nei propri stati. Da un lato i risultati delle elezioni europee hanno messo in dubbio la solidità dei governi di Emmanuel Macron e Olaf Scholz in Francia e Germania. Dall’altro le imminenti elezioni in Regno Unito (4 luglio) e Stati Uniti (5 novembre) minacciano la leadership di Rishi Sunak e Joe Biden. Allo stesso tempo, il leader giapponese Fumio Kishida rischia di perdere la leadership del partito (e la posizione di primo ministro) con le elezioni interne di settembre, mentre Justin Trudeau è dato in calo netto nei sondaggi. In questo contesto, la scelta di allargare il cerchio a un numero relativamente elevato di ospiti dal Sud del mondo sembra rispondere alla necessità di un rinnovato multilateralismo, in risposta a un cambiamento degli equilibri di potere globali.

Franco Bruni, presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), ha affermato che “in un contesto internazionale fortemente segnato dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e dalla minacciosa battaglia commerciale con la Cina, la presidenza italiana offre un’indicazione chiara del fatto che va aperto con urgenza un discorso multilaterale serio, in cui i paesi del cosiddetto Sud catalizzino relazioni globali più cooperative e divengano partner delle soluzioni alle crisi in corso”.

Resta da vedere se questo tentativo di ampliare il tavolo negoziale sfocerà in partnership commerciali e rapporti politici più solidi, dato che, almeno sul clima, il raggiungimento di accordi che includano tutti i grandi emettitori del pianeta sembra essere ancora un’utopia.

 

Immagini: Massimiliano De Giorgi, dal sito ufficiale del G7 Italia

 

© riproduzione riservata