L’ondata di voti che ha premiato una formazione di estrema destra, sovranista, razzista e nazionalista è un drammatico cataclisma politico per la Francia e per l’Europa. Impossibile non prendere atto che ben 10,6 milioni di francesi, cittadini di un paese con una ricca tradizione di democrazia e di libertà civiche e sociali, quella che secondo Thomas Jefferson era “la seconda patria di ogni uomo libero”, hanno scelto di votare per il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella.

La decisione del presidente Emmanuel Macron di “restituire la voce ai francesi” dopo le elezioni europee ha permesso a esattamente un terzo degli elettori di potersi esprimere per una forza politica di destra radicale. Una forza che ha cambiato nome e facce, ma che resta pur sempre il partito fondato da Jean-Marie Le Pen, torturatore in Algeria e negatore della Shoah, e da un ex-membro delle Waffen-SS, Pierre Bousquet. Che un partito post fascista abbia tanti voti e che esprima il presidente del Consiglio, come noto, noi lo abbiamo già visto in Italia: molti (ma non tutti…) addirittura lo considerano banale, normale, e in fondo accettabile. In Italia però il fascismo ha governato per venti anni, ha una tradizione, mentre − se non si considera lo stato fantoccio di Vichy, nato dopo la sconfitta del 1940 − in Francia la destra filofascista è sempre stata minoritaria. E ora è arrivata al 33%, un fatto che resterà nella storia, comunque vadano a finire le cose.

Il secondo turno delle elezioni francesi

Sì, perché l’esito finale delle elezioni politiche in Francia è ancora decisamente aperto e incerto. Può ancora succedere tutto. E dipenderà da quello che entro domenica prossima 7 luglio decideranno i partiti, i candidati ancora in lizza, e naturalmente gli elettori dei 501 collegi elettorali in cui si voterà per il secondo turno. Potrebbe finire con una maggioranza assoluta per la destra. Ma potrebbe anche finire − per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica − con una situazione in cui una maggioranza parlamentare dovrà essere trovata successivamente, cercando combinazioni al momento impensabili tra forze politiche che si sono sempre considerate tra loro alternative. 

Il sistema elettorale francese funziona così: al primo turno, nei 578 collegi in cui è diviso il paese, i cittadini scelgono il candidato di loro preferenza, ed eleggono direttamente quelli che riescono a superare il 50% dei voti. Al secondo turno invece si vota per il “meno peggiore”, optando tra quelli che sono arrivati primo e secondo ma anche tra chi, pur giunto terzo o quarto, ha preso almeno il 12,5% dei voti degli aventi diritto. Il meccanismo favorisce per definizione le aggregazioni e la governabilità, e i politici che dispongono di un forte radicamento locale, conosciuti e apprezzati dagli elettori.

Fino al 2017, prima dell’arrivo al potere di Emmanuel Macron, normalmente al secondo turno il duello opponeva la classica gauche (a trazione socialista) e la classica droite (con prevalenza degli ex gaullisti), tagliando fuori la piccola estrema sinistra e la sempre più cospicua estrema destra del Front National, prima di Jean-Marie e poi di Marine Le Pen. Poi, ecco la rivoluzione centrista di Macron, che nel 2017 e nel 2022 svuota di elettori e personale politico sia il Partito socialista che le varie anime liberali e non della droite. Alle elezioni presidenziali e a quelle politiche, Macron riesce ad aggregare i francesi − con più o meno entusiasmo, e nel 2022 con visibile fatica, visto che non conquista una maggioranza assoluta in Parlamento − proponendosi come alfiere dei valori repubblicani contro il Front National (FN). Ma in questo 2024 l’operazione politica del presidente Macron per presentarsi come “argine alla destra” è miseramente fallita.

I risultati del voto francese

Il Rassemblement National (nuovo nome del FN, voluto per cercare di conquistare una maggiore credibilità con l’elettorato moderato e le grandi aziende) è passato dal 18,7% del 2022 al 33,2% (10,6 milioni di voti). Ensemble, l’aggregazione che fa riferimento a Macron, si ferma al terzo posto, scendendo al 21,6% con quasi 7 milioni di voti. La sinistra unita nel Nouveau Front Populaire arriva al secondo posto, conquistando 9 milioni di voti e il 28,1% (aveva il 25,7% nel 2022). I Républicains, eredi della tradizione gaullista, abbandonati da un’ala che ha scelto l’alleanza con Le Pen, si devono accontentare di un risultato residuale: 2,3 milioni di voti e il 7,2%.

Dunque: il Rassemblement National ha registrato domenica 30 giugno un vero e proprio trionfo, conquistando la maggioranza relativa in larga parte della Francia profonda rurale. Ma rappresenta ancora una evidente minoranza dell’elettorato, esattamente un terzo, e non riesce a sfondare nelle principali aree metropolitane.

La gauche, che è riuscita non senza qualche problema a mettere giù un programma comune (nonostante l’antipatia di comunisti, socialisti ed ecologisti verso il padre padrone del partito di sinistra radicale della France Insoumise, Jean-Luc Melenchon), ha aumentato i consensi, registrando un discreto successo in particolare tra i più giovani (tra gli under 25 ha preso il 48%), anche se non è riuscita come sperava a raggiungere il 30%.

L’allenza tra centro e sinistra contro il Rassemblement National

Sulla carta, una eventuale aggregazione tra gli elettori della sinistra e del centro, con un riporto degli elettori del “fronte repubblicano” sul candidato di volta in volta meglio piazzato in grado di battere quello di RN, potrebbe impedire in extremis la vittoria del duo Le Pen-Bardella, già benedetto da molti potentati economici e mediatici, a cominciare da quello di Vincent Bolloré, proprietario di importanti giornali, radio e televisioni. Al primo turno sono stati eletti in 76 (39 del RN, 32 del NFP, divisi tra 20 “insoumis”, 5 socialisti, 5 ecologisti e 2 comunisti). In tutti gli altri collegi ci saranno duelli: 191 tra due soli candidati, 305 tra tre candidati, e addirittura 5 con quattro candidati. Come ovvio, meno saranno i triangolari e i quadrangolari e più sarà possibile aggregare voti per cercare di sconfiggere i candidati RN.

Il problema, a dirla francamente, è che secondo i dirigenti del partito di Macron e dei Républicains post-gollisti il “fronte repubblicano” contro la destra va bene soltanto se sono gli elettori di sinistra a votare senza troppe discussioni i candidati di centro e destra. Quando si tratta di fare l’opposto sorgono mille problemi e distinguo. Subito dopo la chiusura delle urne, Melenchon e i leader dei partiti della gauche hanno ufficializzato la loro volontà: ovunque al secondo turno c’è un candidato RN, i rappresentanti del NFP si ritireranno a vantaggio del miglior piazzato centrista o gaullista, e gli elettori di sinistra voteranno per fare barrage contro l’estrema destra. I gollisti hanno deciso di mantenere i loro candidati o lasciare libertà di coscienza agli elettori. Anche i centristi nelle loro dichiarazioni non hanno ricambiato il favore alla sinistra. Il presidente Macron ha lanciato un appello per “creare una larga unione chiaramente democratica e repubblicana”, il che significa che una bella fetta di candidati della sinistra radicale di Melenchon non sono considerati votabili, e le personalità centriste resteranno in lizza al secondo turno.

Nella giornata di lunedì 1° luglio si sono susseguiti gli annunci e le dichiarazioni di leader politici e singoli candidati. Alle 12 del 2 luglio, secondo i calcoli del quotidiano Le Monde, ci sono state in tutto 195 rinunce alla candidatura, ben 124 da parte di rappresentanti della sinistra, solo 69 da parte del partito di Macron, una soltanto dai Républicains. Martedì 2 alle 18 si chiuderanno i termini per ufficializzare queste desistenze. Vedremo domenica 7 luglio se gli elettori seguiranno i loro partiti, oppure anche se ci sarà un soprassalto “repubblicano” contro Marine Le Pen. Domenica prossima, in serata, sapremo che ne sarà della Francia.

 

Immagine di copertina: Macron fotografato da Mathieu Cugnot © European Union 2018

 

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