Si attribuisce spesso a Chico Mendes, sindacalista e ambientalista brasiliano, la frase secondo cui “l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”. In un mondo dove l’1% più ricco emette più CO₂ del 66% più povero (77 milioni di persone emettono quanto 5 miliardi), dove i G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni di tutti i Paesi del pianeta, e dove la perdita di biodiversità impatta principalmente agricoltori e allevatori, comunità indigene e famiglie povere, i temi della giustizia sociale, della solidarietà intergenerazionale e dell’azione redistributiva diventano fondamentali.
Questi temi devono essere un faro etico e politico per normare e guidare l’immensa sfida di riforma del petrocapitalismo estrattivista lineare, rimanendo nell’arco dell’economia di mercato (vista l’impossibilità di riforme o rivoluzioni nel breve periodo) e nel solco delle istituzioni finanziarie internazionali esistenti (troppo potenti per essere chiuse e ricostruite da zero).
La stagione di riformismo green della finanza, cuore del capitale, fatta di tantissimi nuovi strumenti, ben presentati in questo numero di Materia Rinnovabile, si deve fondare necessariamente sugli assunti etici di cui sopra: uguaglianza, redistribuzione, equità intergenerazionale, ovvero gli elementi chiave per raggiungere la desiderabile just transition, cioè una transizione dell’economia che non lasci milioni di lavoratrici e lavoratori sulla strada, impattando ancor più nuclei famigliari.
Se da un lato resiste la vecchia guardia di finanzieri che all’unisono proclamano “greed is good”, dall’altro, lentamente, nelle istituzioni internazionali, nelle banche multilaterali di sviluppo, nelle assicurazioni, nell’attivismo finanziario si insinua un virus culturale fondamentale anche per la sopravvivenza del sistema economico stesso: la finanza sostenibile.
Pensavamo che la crisi del sistema del capitale neoliberista sarebbe arrivata dai lavoratori, invece arriverà da una serie di gas climalteranti e sostanze chimiche dalle formule articolate alla base di una policrisi ambientale che rischia di destabilizzare gli ultimi 500 anni di sviluppo economico e tecnologico umano, arrivando a mettere in crisi il sistema stesso degli Stati post-vestfaliani.
Per attivare la transizione ecologica ed economica (non a caso hanno radice comune, οἶκος) serve capitale politico (scarsissimo), culturale (in crescita) e finanziario (vastissimo e mal impiegato).
In questo numero ci concentriamo perciò sulle strategie che serviranno per ben impiegare le risorse economiche necessarie a una transizione giusta (ne parliamo con Frederic Samama di S&P e Sayuri Shirai di Asian Development Bank). Affrontiamo poi la riforma delle istituzioni finanziarie con Avinash Persaud di Inter-American Development Bank e Morgan Despres della European Climate Foundation, e le sfide del mondo assicurativo e del settore finanziario privato, in primis le grandi banche (con un’inchiesta di Andrea Barolini) e i fondi d’investimento (ne parla Federica Casarsa). Infine, andiamo a vedere cosa succede negli Stati Uniti, dove gli investimenti ESG sono il male secondo Trump, e in Cina, dove la transition finance giocherà un ruolo sempre più determinante.
ESG, Venture Capital, carbon market, criptovalute, finanza climatica sono alcuni dei temi che troverete in queste pagine. Un viaggio complesso ma fondamentale per capire l’enorme inquietudine che attraversa il settore finanziario: confuso, spaventato ma decisivo.
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