Dagli Accordi di Parigi a oggi le emissioni climalteranti hanno continuato ad aumentare, invece di diminuire. Anche quelle legate al carbone ‒ il più inquinante dei combustibili fossili, per questo destinato a sparire per primo ‒ sono in crescita. E la stragrande maggioranza della crescita recente delle emissioni, l’80%, è legato alle attività di sole 57 aziende ed entità statali nel settore fossile e del cemento.

Il report di Carbon Majors

Non sono inattesi i dati che emergono da Carbon Majors, il database sulla provenienza delle emissioni climalteranti curato dall’ong InfluenceMap. Ma fanno comunque impressione. La banca dati esiste in realtà dal 2013, inaugurata dal ricercatore Richard Heede del Climate Accountability Institute (CAI). Ma è InfluenceMap, gruppo specializzato nello studio e denuncia delle attività lobbistiche, ad averla aggiornata e ripubblicata nei giorni scorsi. Il database dà conto di 1,421 Gigatonnellate di CO₂ equivalente prodotte da 122 compagnie. Una quantità enorme, accumulata in atmosfera dal 1854 al 2022. Non è un mistero l’origine antropica, cioè legata alle attività umane, di queste emissioni. Ma il report appena rilasciato dà un’idea della concentrazione della loro produzione.

Più del 70% di questi gas è stato rilasciato da appena 78 tra aziende ed entità più o meno pubbliche. Il conteggio non tiene conto di tutti i tipi di attività inquinanti: sono compresi combustibili fossili (gas, carbone, petrolio) e cemento, fuori gli allevamenti intensivi e la deforestazione. Il database, consultabile da chiunque tramite l’apposito sito, è una miniera di dati.

Chi produce più emissioni climalteranti

I ricercatori dividono le entità produttrici tra aziende a capitale prevalentemente privato, aziende pubbliche e realtà statali. Le prime sono responsabili del 31% delle emissioni cumulate, e i principali emettitori in questa categoria sono tutti occidentali: Chevron, ExxonMobil, BP. Le imprese a capitale pubblico rispondono del 33% delle emissioni, e hanno in cima alla classifica realtà prevalentemente asiatiche: Saudi Aramco, Gazprom, Iranian National Oil Company. Gli Stati, infine, sono responsabili del 35% delle emissioni cumulate. Sul banco degli imputati la produzione carbonifera cinese del presente e sovietica del secolo scorso.

Nel 2015 a Parigi i Governi di tutto il mondo firmarono quello che è tutt’ora il più importante trattato internazionale per il contrasto al riscaldamento globale. Gli Accordi di Parigi impegnano le nazioni del Pianeta a ridurre gradualmente le proprie emissioni fino a fermare l’aumento delle temperature medie, al fine di rimanere sotto i 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali ‒ prima cioè del momento in cui abbiamo iniziato ad alterare il clima. Ma i risultati tardano ad arrivare, e Carbon Majors lo conferma. Da allora, 117 delle 122 entità esaminate hanno rilasciato oltre 251Gt di CO₂ equivalente. L’80% di queste è riconducibile ad appena 57 realtà.

La maggioranza delle responsabilità ricade sulle aziende pubbliche (38% del totale), seguite dagli Stati (37%) e dalle multinazionali private (25%). La stragrande maggioranza delle imprese a capitale privato ha aumentato, non diminuito, la produzione dagli Accordi di Parigi a oggi. In tutto il mondo ‒ a eccezione del Nord America ‒ sono più le aziende che espandono le attività climalteranti rispetto a quelle che le riducono. Nemmeno sul carbone arrivano buone notizie. Il più sporco e antiquato dei fossili, che si sperava fosse vicino al picco d’uso e quindi all’inizio del declino, continua a crescere: +8% dal 2015. Il suo uso, spiegano i ricercatori, si sta spostando dal settore privato a quello pubblico.

 

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Le emissioni di Eni e le promesse mancate di COP28

Nel database trovano spazio anche aziende italiane. Eni, classificata come privata ma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è 33° su 122 nella classifica degli inquinatori. Scrivono i ricercatori: “Sembra che Eni si opponga alla legislazione sulle emissioni di gas serra e sostenga il mantenimento di un ruolo a lungo termine per il gas fossile nel mix energetico. Eni mantiene l'adesione a associazioni di settore che promuovono l'uso dei combustibili fossili”.

“La ricerca sui Carbon Majors ci mostra esattamente chi è responsabile del calore letale, del clima estremo e dell'inquinamento atmosferico che minaccia vite umane e provoca danni nei nostri oceani e foreste”, è il commento di Tzeporah Berman, direttrice del Trattato di non-proliferazione fossile, una proposta di bando dei combustibili fossili che ha trovato il consenso di diverse piccole nazioni, dell’OMS e del Parlamento Europeo. “Queste aziende hanno guadagnato miliardi di dollari di profitti negando il problema, ritardando e ostacolando le politiche climatiche. Stanno spendendo milioni in campagne pubblicitarie sul fatto di essere parte di una soluzione sostenibile, continuando nel frattempo ad investire nella più ampia estrazione di combustibili fossili.”

Nel dicembre del 2023, a Dubai, i Governi di tutto il mondo si sono riuniti nuovamente per discutere di azioni congiunte di contrasto alla crisi climatica. COP28, questo il titolo dell’incontro negoziale, ha portato per la prima volta alla promessa esplicita di ridurre i combustibili fossili. Ma alle parole continuano a non seguire i fatti. E gli eventi metereologici estremi ‒ dalle siccità alle alluvioni ‒ mietono sempre più vittime.

 

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Immagine: Nik Shuliahin, Unsplash