“Un’isola galleggiante di spazzatura.” Non è il commento di un biologo marino sugli agglomerati di rifiuti al largo delle coste oceaniche. Si tratta di una metafora sullo stato di Porto Rico utilizzata dal comico Tony Hinchcliffe durante il comizio conclusivo della campagna di Donald Trump, tenuto domenica 27 ottobre al Madison Square Garden di New York. L’iconica arena ha ospitato uno dei comizi più estremi di una delle campagne elettorali più divisive nella storia politica degli Stati Uniti.

Il messaggio principale di Trump al proprio elettorato, snocciolato durante 70 minuti di discorso, è stato: "Abbiate paura". Con il suo linguaggio semplice e incendiario, dipinge il quadro di un paese alla deriva che solo lui può salvare. Il contrasto non potrebbe essere più netto rispetto ai toni della campagna di Kamala Harris: dalla “politica della gioia” all’"economia dell’opportunità". Un futuro di speranza contro un presente di inquietudine. Difficile dire quale dei due messaggi stia funzionando meglio.

Le priorità degli elettori: l’economia

“It’s the economy, stupid!” Con questa frase, James Carville, stratega della campagna di Bill Clinton del 1992 contro G.H.W. Bush, sottolineava che, anche in contesti di crisi come la Guerra del Golfo, l’economia resta sempre il tema prioritario per gli elettori americani. Il concetto non è cambiato, ma di quale economia si parla: di quella reale o di quella percepita? Al netto dell’inflazione, il reddito pro capite salvo imposte degli statunitensi è aumentato del 9% dal 2019. I dati recenti del Dipartimento del commercio indicano una crescita del PIL del 2,8% nel terzo trimestre su base annua. Nonostante il risultato sotto le aspettative sui nuovi posti di lavoro creati a ottobre (probabilmente dovuto agli uragani in Florida), anche i tassi di disoccupazione sono ai minimi storici, con un’inflazione vicina al livello ottimale del 2,3%. Questi dati indicano un’economia stabile e in crescita. Tuttavia, il 63% degli statunitensi ritiene che l’economia stia peggiorando, secondo un sondaggio dell’Harvard CAPS/Harris Poll.

Uno studio dell’Università del Michigan sostiene che il divario tra percezione e realtà economica sia legato a un pregiudizio fondamentale: l’aumento del reddito è percepito come un merito, frutto del duro lavoro, mentre l’inflazione è vissuta come un’ingiustizia esterna. Anche se i salari sono aumentati, i prezzi dei beni di consumo restano elevati rispetto a pochi anni fa, sebbene la loro crescita sia rallentata. Questo ha un peso sull’economia della famiglia e sulla percezione, spesso negativa, che molti statunitensi hanno dell’operato del governo Biden-Harris.

Un'altra fonte di scontento riguarda l'aumento dei costi per acquistare casa. Come successo in Europa, la Federal Reserve, la Banca centrale americana, ha aumentato significativamente i tassi nel 2022 e nel 2023 per contenere l'inflazione, facendo così lievitare i tassi sui mutui. Sebbene li abbia ridotti a settembre 2024 e si preveda un'ulteriore riduzione entro la fine dell'anno, i tassi non torneranno ai livelli del 2020. Questo avviene proprio perché l’economia statunitense è robusta, e la banca centrale non vuole stimolarla eccessivamente. 

USA, gli stati in bilico e la Pennsylvania

La strategia elettorale statunitense è un esercizio del principio di Pareto: per vincere, la maggior parte delle risorse è indirizzata a una minoranza strategica di elettori. Le elezioni si decidono su sette “swing states”, stati dove l’esito è incerto. Una complessa analisi dei dati demografici di questi stati in bilico è quindi alla base del successo comunicativo. Lo slogan generale dei candidati si accompagna a una serie di messaggi mirati per gruppi demografici specifici in ciascuno swing state. La Pennsylvania, ad esempio, è il più importante tra questi per rilevanza elettorale: il 22% dei fondi di entrambe le campagne elettorali è stato destinato a questo stato, dove si sono tenuti circa il 30% di tutti i comizi di Harris e il 20% di quelli di Trump dal 1° settembre. La Pennsylvania ospita anche 400.000 persone di origine portoricana, cinque volte il margine di vittoria di Biden su Trump nel 2020 (80.000 voti).

Biden ha definito “spazzatura” chi vota per Trump?

La mattina dopo il comizio di Trump a New York, era già in circolazione una pubblicità di Kamala Harris che prometteva migliaia di nuovi posti di lavoro a Porto Rico sotto la sua amministrazione. Nel frattempo, la campagna di The Donald aveva già capitalizzato l’ennesima (presunta) gaffe di Biden, che avrebbe definito spazzatura i sostenitori di Trump. La Casa Bianca ha poi smentito, diffondendo una trascrizione della frase incriminata secondo cui Biden avrebbe definito spazzatura chi sostiene le frasi razziste pronunciate da Tony Hinchcliffe al comizio di Trump. Ma a sua volta la Casa Bianca è stata smentita da autorevoli testate giornalistiche che hanno parlato di trascrizione manomessa.

L’unica cosa certa è che, tra i candidati alla presidenza, il passo falso di uno è l’opportunità dell’altra, e viceversa, in una costante battaglia per controllare la narrativa mediatica.

Lo stato della campagna elettorale

A Washington si respira un clima di tensione e incertezza. Pochi commentatori ricordano un’elezione così difficile da prevedere a poche ore dal voto. I principali sondaggi danno i due candidati in sostanziale parità. A livello nazionale, Harris mantiene un lieve vantaggio. Nei 7 “battleground states” sembra che Trump abbia guadagnato terreno, ma i margini di vantaggio sono inferiori all’1%, rientrando quindi nel margine di errore minimo dei sondaggi. I democratici confidano in un’elevata partecipazione femminile, mentre i repubblicani puntano sul crescente supporto tra i giovani uomini, anche afroamericani e latinos. Intanto, gli statunitensi si recano alle urne, forse inconsapevoli dell’importanza globale del loro voto. Il mondo osserva e trattiene il respiro.

 

In copertina: Donald Trump e Kamala Harris by Gaged Skilmore, via Flickr