La strada per un’economia circolare capace di rimodellare il business e ridurre l’impatto ambientale dei vari settori produttivi passa attraverso la trasformazione delle pratiche dei consumatori e delle aziende. Da una parte il mondo dell’impresa è spinto ad adottare nuovi modelli di business dai regolatori o da iniziative quali il Piano d’azione UE per l’economia circolare, dall’altra i consumatori stanno acquisendo una maggiore consapevolezza riguardo ai temi della circolarità e alle pressioni che i loro comportamenti posso esercitare sul mercato.
L’indagine ViewPoint Economia circolare: come stanno cambiando le aziende? condotta da DNV – uno dei principali enti, a livello globale, di servizi di assurance, certificazione, verifica e gestione del rischio – tra marzo e aprile 2021, in diversi settori in Europa, Nord America, Centro e Sud America e Asia, è un’interessante fotografia della permeabilità del mercato alle possibilità offerte dall’economia circolare.
Federica Guelfi, Circular Economy project manager di DNV
Fast fashion, overpackaging, riparabilità: a cosa stanno attenti i consumatori
La consapevolezza della necessità di un’alternativa all’economia lineare è sempre più diffusa fra i consumatori: solamente il 35,8% degli interpellati non ha mai sentito parlare dell’economia circolare, mentre quasi la metà (44,9%) del restante 64,2% afferma di averne una conoscenza ampia e di parteciparvi attivamente. Sono le generazioni più giovani quelle che passano più frequentemente dalla conoscenza all’azione (53,5%), mentre fra le persone più mature la percentuale scende al 32,4%: “Anche il modo in cui si concretizza questa partecipazione è diverso a seconda dell’età – spiega Federica Guelfi, circular economy project manager di DNV –. Se gli over 55 ricorrono maggiormente alla riparazione, i giovani hanno una maggiore dimestichezza con i servizi di sharing e con gli acquisti nei negozi di seconda mano. Questi ultimi erano spariti dal mercato e sono tornati di moda”.
L’indagine di DNV si è concentrata su tre settori merceologici nei quali si giocano alcune delle principali sfide dell’economia circolare: fashion, packaging ed elettronica. Il 67,6% dei rispondenti ha dichiarato di avere visto capi di abbigliamento circolari in negozio o online e il 36,1% ne ha acquistato almeno uno. “Fra i motivi che hanno spinto alla spesa i principali sono stati il desiderio di partecipare a una buona causa e lo stile accattivante dei capi, mentre coloro che hanno rinunciato all’acquisto hanno sottolineato il ruolo determinante del prezzo e dello stile dei prodotti”, aggiunge Guelfi.
Se la presa di consapevolezza in merito all’impatto della fast fashion è un’acquisizione recente, quella relativa all’overpackaging è decisamente più diffusa fra i consumatori. Il 49,5% degli intervistati ha dichiarato di non avere acquistato un prodotto a causa di un imballaggio ritenuto insostenibile. La comunicazione in merito alle conseguenze ambientali dell’abuso nell’utilizzo della plastica e del cartone per gli imballaggi è stata efficace soprattutto fra i più giovani, con un 61,8% di rinuncia alla spesa tra i 18 e i 24 anni e un 58,6% fra i 25 e i 39 anni.
Per quanto concerne l’elettronica di consumo e i piccoli elettrodomestici i fattori ritenuti più importanti nelle scelte d’acquisto sono la durabilità e la garanzia (88,2%), la possibilità di riparare il prodotto e di accedere facilmente ai servizi di riparazione (83,7%) e la sostenibilità del fine vita (78,3%).
Capire la complessità, acquistare “politicamente”
Fra le maggiori preoccupazioni dei consumatori vi sono la riduzione dei rifiuti (importante per il 62% degli intervistati) e il risparmio dell’acqua (61%); suscitano interesse anche la limitazione delle emissioni di gas serra (57,7%), la riduzione dell’estrazione di risorse naturali (53,9%) e il miglioramento delle condizioni sociali e di lavoro (41,8%). Questi dati evidenziano come sia ormai diffusa, fra i consumatori, la consapevolezza del ruolo determinante che l’economia circolare giocherà nella sfida sistemica imposta dalle attuali crisi socio-ambientali.
I consumatori che hanno dimestichezza con il concetto di circolarità si informano principalmente attraverso i media tradizionali e i social media (60,9%), seguendo il dibattito politico (26,8%) o parlandone con gli amici (23%). Gran parte degli intervistati è consapevole di poter giocare un ruolo determinante nell’economia circolare (86,1%), fra questi il 65,4% pensa di poter contribuire acquistando prodotti sostenibili e riciclando in modo appropriato. Oltre un quinto dei rispondenti (20,7%) è conscio dell’efficacia dei boicottaggi e dell’attivismo, due manifestazioni dell’impegno politico dei consumatori che possono rappresentare un rischio per le aziende che non rafforzano o non comunicano il proprio contributo alla circolarità.
Aziende che fanno di necessità virtù
L’indagine di DNV è andata a scandagliare quale sia la risposta delle aziende alle richieste dei consumatori. Anche se sul mercato il modello take-make-waste resta dominante, fra le imprese interpellate sembra diffondersi un approccio più maturo nei confronti della circolarità: “In base alla nostra indagine le innovazioni di processo e di prodotto sulle quali stanno investendo le imprese sono principalmente tre: l’estensione della vita utile del prodotto (39,6%), il recupero delle risorse (30,3%) e l’utilizzo di fornitori circolari (22,6%). Le innovazioni di business model, invece, sono due: i prodotti come servizi (17,6%) e le piattaforme di sharing (12,5%)” conclude Guelfi.
Il 57,2% delle aziende sostiene di avere registrato un risparmio sui costi, un dato davvero interessante che smentisce l’adagio secondo il quale la riconversione alla circolarità andrebbe ad appesantire i bilanci delle imprese. Al netto dei benefici ambientali, anche economicamente l’adozione di pratiche circolari può essere una strategia win win tanto per i consumatori, quanto per le aziende.
Immagine: Ryoji Iwata (Unsplash)