La primavera arriva con parecchie novità per il settore degli elettrodomestici in Europa. Dal 1 marzo sono state introdotte le nuove etichette energetiche e, soprattutto, entra finalmente in vigore il tanto atteso e discusso diritto alla riparazione.
Non ancora una vittoria tuttavia, come sottolineano gli attivisti della
campagna Right to Repair. Le nuove regole per incentivare la riparabilità dei prodotti riguardano infatti solo alcune categorie di elettrodomestici: lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi (i cosiddetti “grandi bianchi”) e gli schermi, compresi quelli dei televisori. Niente ancora per computer e smartphone, che sono invece le tipologie di device elettronici più colpite da obsolescenza prematura.
Inoltre, da un’analisi più attenta dei regolamenti, emergono una serie di
limitazioni che, secondo Right to Repair, potrebbero mettere i bastoni tra le ruote a una effettiva implementazione del diritto alla riparazione.

Chi sarà autorizzato a riparare

Oltre ad essere ristretto solo ad alcuni prodotti, il diritto alla riparazione così come disegnato nei nuovi regolamenti presenta dei limiti pratici.
Prim
o fra tutti, l’accesso ai pezzi di ricambio e ai manuali tecnici messi a disposizione dai produttori. Se i ricambi dovranno essere disponibili per periodi dai 7 ai 10 anni dopo il ritiro del prodotto dal mercato, i soli autorizzati a metterci le mani sopra saranno i riparatori professionisti. Adducendo motivi di sicurezza, il regolamento infatti non garantisce l’accesso alle parti di ricambio né alle istruzioni per la riparazione per i consumatori e nemmeno per associazioni o enti no profit come i repair cafè. Un punto, questo, assolutamente da migliorare, anche perché, come osserva Chloe Mikolajczak di Right to Repair, la “definizione di riparatore professionista rimane piuttosto vaga nel testo della legge”, dando così adito a interpretazioni ambigue nei diversi Paesi. In alcuni casi, ad esempio, potrà essere richiesta una copertura assicurativa ad hoc o l’iscrizione a un registro ufficiale, che però, al momento, solo pochi Paesi stanno pensando di creare. “E questo significa – aggiunge Mikolajczak – che gli stessi produttori potranno decidere a chi attribuire la qualifica di riparatore professionista e a chi no”.

Pezzi di ricambio: tempi e costi sono ancora un problema

Una seconda categoria di problematiche riguarda il mercato dei pezzi di ricambio.
Innanzitutto le tempistiche. La nuova legislazione consente ai produttori di avere
fino a 15 giorni lavorativi di tempo per procurare le parti di ricambio necessarie: troppi quando si ha la spesa che marcisce nel frigorifero rotto. È una regola, come nota Chloe Mikolajczak sul blog di Right to Repair, che chiaramente spinge il consumatore a sostituire l’elettrodomestico invece di ripararlo.
Stesso effetto ottenuto dai
costi, spesso ancora troppo alti, dei pezzi di ricambio. “È un aspetto che purtroppo non è ancora stato preso in considerazione come dovrebbe, nonostante sia fondamentale per promuovere un effettivo diritto alla riparazione”, commenta Ugo Vallauri, co-fondatore di Restart project, associazione che insieme all’EEB- European Environmental Bureau guida la campagna Right to Repair.
A peggiorare
il problema dei costi c’è poi la possibilità lasciata ai produttori di “aggregare” alcune parti dell’elettrodomestico così da rendere impossibile venderle separatamente. “L’esempio più tipico è il cestello della lavatrice – spiega Vallauri - Anche se si rompono solo i cuscinetti, sarà comunque necessario cambiare tutto il cestello perché le parti non si trovano separatamente. E questo fa lievitare i costi della riparazione, spingendo magari il consumatore a optare direttamente per l’acquisto di una nuova lavatrice”.
Infine, la questione software e aggiornamenti di sicurezza. I produttori, con il nuovo regolamento, sono obbligati a mettere a disposizione dei riparatori professionisti tutti gli aggiornamenti disponibili per lo stesso periodo di tempo in cui siano disponibili i ricambi. Non c’è però nessuna regola che li obblighi a continuare a fornire aggiornamenti di sicurezza per tutta la vita utile del prodotto.

La prossima battaglia: gli smartphone

Il diritto alla riparazione da ora in vigore è dunque, secondo gli attivisti di Right to Repair, un primo passo importante e atteso, ma non un trionfo. “C’è ancora molto lavoro da fare – commenta Ugo Vallauri – Sarà necessario fare pressione e battersi per aspetti ancora non considerati ma fondamentali, come il costo delle parti di ricambio e i software di aggiornamento. Dovranno diventare elementi importanti, anche se non è ancora chiaro attraverso quali strumenti di legge potranno essere trattati. Un metodo potrebbe essere indicarli nell’indice di riparabilità, come si sta provando a fare in Francia. Oppure introdurli nell’Ecodesign, così da eliminare decisamente i prodotti che non rispettino determinati standard”.
Il prossimo terreno di confronto sarà il pacchetto di regolamenti sugli smartphone, che potrebbe essere discusso entro la fine dell’anno e che riporterà di sicuro alla ribalta la questione dei riparatori professionisti contro gli “amatoriali”. Gli attivisti di Right to Repair si preparano a dar battaglia perché il diritto a riparare diventi davvero universale.