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La sperimentazione su larga della geoingegneria, o ingegneria climatica, potrebbe portare a rischi e conseguenze inaspettate “sulle dimensioni ambientali, socioeconomiche, della giustizia, delle politiche pubbliche e della geopolitica, nonché sui beni comuni globali e sulle giurisdizioni nazionali”. Per questo sono necessarie linee guida etiche che ne guidino la ricerca. A dirlo è l’American Geophysical Union (AGU), che oggi, mercoledì 23 ottobre, ha pubblicato l’Ethical Framework Principles for Climate Intervention Research. Si tratta di un rapporto redatto con il supporto di scienziati ed esperti di livello internazionale, che consiglia cinque principi per un uso etico della geoingegneria, una scienza che sta attirando l’attenzione di molti ricercatori, oltre che attori economici, perché ritenuta una fra le possibili soluzioni al riscaldamento globale.
Ma perché alla geoingegneria serve una guida etica? Il rapporto non è una novità assoluta nel suo genere in quanto ispirato a precedenti iniziative sviluppate per la ricerca su armi nucleari, clonazione umana e ingegneria genetica, questioni che oggi lasciano spazio a un accesso dibattito sulle modalità con cui si intende reagire alla crisi climatica. Ed è proprio l’AGU a farsi carico delle implicazioni derivanti dalla ricerca scientifica sostenendo l’idea che gli scienziati “hanno l’obbligo etico di valutare i benefici sociali della propria ricerca rispetto ai costi e ai rischi per il benessere umano e animale” e “altri potenziali impatti sull’ambiente e sulla società”.
Cos’è la geoingegneria climatica
Il rapporto identifica ben sedici “interventi climatici”, divisi in due macrocategorie, in relazione al modo con cui questi contrasterebbero il riscaldamento globale. La prima famiglia è quella degli interventi CDR, Carbon Dioxine Removal, e comprende le soluzioni che mirano a rimuovere l’anidride carbonica, o altri gas a effetto serra, direttamente dall’atmosfera, limitandone così l’effetto climalterante. Le strategie di questo tipo includono sia soluzioni “land based” che “ocean based”, ovvero utilizzerebbero sia la capacità di terreni, zone umide e foreste, sia quella degli oceani di assorbire CO₂ dall’atmosfera facendo leva su quello che in termini tecnici è il ciclo biogeochimico del carbonio. Fra le soluzioni troviamo i progetti per la riforestazione, il ripristino di zone umide e torbiere, la gestione del carbonio blu e la fertilizzazione degli oceani.
L’altra grande famiglia della geoingegneria è quella della SRM, Solar Radiation Modification, che comprende gli interventi climatici volti a ridurre le temperature agendo sul flusso della radiazione solare, nonché sull’energia, e quindi calore in entrata e in uscita nel sistema Terra. “Riflettori e ombrelloni spaziali”, “modifiche dell’albedo terrestre” o “iniezione di aerosol nell’atmosfera” sono solo alcune delle possibili soluzioni per raffreddare il nostro pianeta.
Intervenire sul clima, pro e contro
Proprio riguardo le SMR e in particolare l’iniezione di aerosol nella stratosfera, Materia Rinnovabile ha chiesto dei chiarimenti a Daniele Visioni, esperto di questa particolare soluzione geo ingegneristica e fra gli autori dell’Ethical Framework Principles for Climate Intervention Research. Secondo Visioni, “le maggiori ripercussioni negative a cui andiamo incontro correntemente sono quelle che deriveranno dal continuo riscaldamento del pianeta. Alluvioni, eventi estremi, ondate di calore. Non ci sarà nulla di più imprevedibile di un pianeta così fuori equilibrio”.
Nel caso della SAI, Stratospheric Aerosol Injection, “le potenzialità sono quelle di rallentare o fermare il futuro riscaldamento globale tramite una parziale riduzione della radiazione solare in arrivo. Sappiamo che tale cosa può succedere perché, per esempio, abbiamo osservato un raffreddamento globale dopo l’eruzione di Pinatubo nel 1991, che raffreddò il pianeta per quasi due anni di alcuni decimi di grado”. Le soluzioni geoingegneristiche rappresentano quindi un’opportunità e, “se applicate coscienziosamente, potrebbero ridurre questi rischi climatici ed ecologici”.
Ma cosa si intende per “uso coscienzioso” o “etico”? C’è un’altra faccia della medaglia? “Le possibili ripercussioni sono soprattutto sociali”, ci spiega Visoni. “In quale modo una deliberata modifica del clima che può essere fatta da una nazione cambierà le relazioni di potere internazionali? Chi decide se fare SAI o non fare SAI? Può una nazione fermarne un’altra? Dato il corrente disordine internazionale, cosa possiamo aspettarci? E cosa faremo quando i rischi dei cambiamenti climatici porteranno la popolazione, o una parte della popolazione, a chiedere di fare geoingegneria?”
Queste le preoccupazioni sollevate da Visioni che allo stesso tempo rassicura affermando che a oggi queste soluzioni appartengono per lo più all’“ambito accademico, con studi prettamente modellistici e molto poco di concreto in termini di sistemi ingegneristici”. Anche se, precisa, “alcune startup (una in particolare, chiamata Make Sunset) stanno decisamente compiendo o discutendo di compiere azioni dimostrative, come lanciare palloni-sonda con quantità modeste di zolfo che possano raggiungere la stratosfera”.
I cinque principi etici per la geoingegneria
Assieme alle opportunità, la geoingegneria trascina con sé quindi anche grandi perplessità, contro le quali i cinque principi dell’AGU agirebbero da antidoto. Il primo principio rappresenta un invito alla ricerca responsabile. Per Janice R. Lachance, infatti, CEO ad interim dell’AGU, “l’intervento sul clima non deve sostituire la riduzione delle emissioni di gas serra”, concetto cardine di ricerca e azione sul clima supportato dal rapporto, che invita ad affrontare le “cause profonde” del riscaldamento globale piuttosto che “i sintomi”. La ricerca dovrebbe inoltre essere fondata sulla giustizia, da quella intergenerazionale a quella ecologica, e contraddistinguersi per trasparenza e autonomia, libera quindi da pressioni esterne o interessi finanziari.
Spazio anche all’inclusività, a tutela di “qualsiasi comunità che potrebbe essere spiritualmente, culturalmente, eticamente o materialmente influenzata” e che dovrebbe avere sempre accesso ai processi deliberativi. E infine, chi dovrebbe valutare l’implementazione di questi interventi? Con l’ultimo principio l’AGU suggerisce la nascita di consigli e commissioni favorendo così una valutazione pubblica, inclusiva e trasparente di rischi e benefici della geoingegneria, una scienza destinata a fare discutere.
Immagine: Envato