Quasi un miliardo di tonnellate: è il cibo che sprechiamo ogni anno secondo i dati dell’ultimo Food Waste Index dell’UNEP. Pubblicato il 4 marzo, il nuovo report delle Nazioni Unite rivela come le precedenti analisi, anche le più accreditate, avessero sottostimato il problema: la quantità di risorse alimentari che buttiamo è purtroppo circa il doppio di quel che si pensava.
La buona notizia, tuttavia, è che buona parte di questo spreco – il 61% - deriva dalle abitudini domestiche, il che riporta in mano ai singoli cittadini il potere di cambiare rotta.
Quanto cibo sprechiamo e dove
Entrando nel dettaglio del report UNEP, sono per l’esattezza 931 milioni le tonnellate di cibo perdute nel 2019. Di queste, il 61% deriva dal consumo domestico, il 26% dai servizi di ristorazione e il 13% dal retail. Se ne deduce che circa il 17% della produzione globale di cibo finisce nella spazzatura.
Sebbene gli sprechi interessino tutta la filiera alimentare, a partire dalle aziende agricole e dalla catena di distribuzione per arrivare fino ai ristoranti e al commercio, la maggior parte avviene tra le mura di casa, con una media mondiale di 74 kg a persona di cibo buttato ogni anno.
La cosa interessante, in controtendenza con la narrazione “classica” dello spreco alimentare come problema delle ricche società occidentali, è che le percentuali sono simili in tutti i Paesi del mondo e a prescindere dalle classi di reddito. Insomma, le gestione del cibo è davvero un problema che può essere, se non risolto, migliorato sensibilmente cambiando le abitudini quotidiane dei singoli individui attraverso l’educazione e la sensibilizzazione.
Spreco alimentare e crisi climatica
“Se lo spreco alimentare fosse un paese, sarebbe il terzo più grande emettitore di gas serra” (dopo Stati Uniti e Cina ndr), dichiara Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP, nell’introdurre il nuovo Food Waste Index. La perdita di cibo ad ogni livello della filiera non è infatti solo un problema etico e sociale, ma contribuisce per una parte non trascurabile (10% delle emissioni) alla crisi climatica e ambientale, esacerbando l’emergenza inquinamento e rifiuti, la perdita di biodiversità e la degradazione degli ecosistemi. “Per questo – continua Andersen – l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12.3 mira a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030”.
Troppo poco è stato fatto finora, ma la cosa positiva è che i margini di azione sono molto ampi e ridurre lo spreco quotidiano di cibo è una delle azioni più semplici ed efficaci che ogni persona può mettere in pratica per limitare il proprio impatto sull’ambiente.
“Possiamo fare ancora molto – aggiunge Inger Andersen – Dobbiamo ad esempio focalizzarci sul ruolo delle abitudini di consumo in ogni contesto culturale. Dobbiamo tutti cercare di fare la spesa con consapevolezza, cucinare in modo creativo e rendere lo spreco di cibo socialmente inaccettabile ovunque, e nello stesso tempo dobbiamo lavorare affinché tutti possano scegliere una dieta salutare e sostenibile”.