Tra il caos Superbonus, l’approvazione della Direttiva Case Green e scontri politici, aleggia confusione e smarrimento attorno alla modernizzazione in chiave smart del parco immobiliare italiano, uno dei più obsoleti di tutta Europa. Lorenzo Tavazzi, senior partner di The European House Ambrosetti (TEHA), uno dei più stimati Think Tank privati al mondo, racconta a Materia Rinnovabile quali sono gli ingredienti per una progressiva decarbonizzazione del settore edilizio italiano e come il concetto di Community Smart Building può accelerare questa transizione, con benefici economici e ambientali.

 

A maggio avete presentato un report con cui offrite degli spunti per accelerare l’ammodernamento in chiave smart del patrimonio immobiliare italiano. Quali sono i dati che ci permettono di inquadrare il settore da un punto di vista economico e ambientale?

Sono due i dati più rilevanti: 27% e 29%, ovvero le percentuali che rappresentano rispettivamente i consumi energetici e le emissioni del settore immobiliare italiano nel 2022. A differenza di altri comparti che sono già in una traiettoria di decarbonizzazione, il settore edifici è un po’ in controtendenza. Il nostro mix energetico vede una quota molto spinta di gas e al contempo siamo piuttosto indietro sulle rinnovabili.

Da un punto di vista economico invece?

In bolletta per i consumi termici ed elettrici spendiamo circa 50 miliardi di euro all'anno. Abbiamo un patrimonio immobiliare tendenzialmente vecchiotto. Circa l’85% è stato costruito prima del 1990 e se guardiamo a paesi come Francia e Spagna i loro edifici sono circa 25 punti percentuali più nuovi. Infine il tasso di ammodernamento e ristrutturazione è più o meno la metà di quello francese e tedesco.

Il Superbonus ha portato a molte ristrutturazioni, ma spesso non al miglioramento della classe energetica degli edifici. Che tipo di piano dovrebbe adottare l'Italia se vuole effettivamente aiutare i cittadini?

Due considerazioni di fondo. La direttiva europea Energy Performance of Buildings Directive [comunemente nota come Direttiva Case Green, ndr] non è opzionale e ci sono quindi degli obiettivi da raggiungere. L’altra questione cogente sono i target di decarbonizzazione che, se nessuno li cambia, ci dicono che verranno raggiunti con una sessantina d’anni di ritardo. L’Italia dovrebbe considerare intanto le peculiarità del proprio parco immobiliare. È necessario strutturare un piano industriale olistico indicando quali sono gli strumenti finanziari a disposizione e un budget allocabile con un orizzonte temporale più lungo possibile. Con le tecnologie attualmente a disposizione potremmo ridurre i consumi energetici di quasi di un terzo e le emissioni di CO₂ di quasi un quarto. Il tema fondamentale è implementare un piano industriale climatico.

Spingete molto sull’idea di smart building. Che tipo di tecnologie possono essere utili in questo senso e come va inquadrato il concetto in questo rinnovamento tecnologico dell’edilizia?

Per noi lo smart building non è un contenitore dove vivere ma un hub di servizi a valore aggiunto che connette gli edifici l’uno con l’altro. Per fare degli esempi di funzionalità: da un lato abbiamo l'ottimizzazione di tutto quello che è l'utilizzo di risorse, non solo energetiche ma anche idriche. Dall’altro, un edificio smart ottimizza anche i costi di realizzazione e di gestione, tenendo sempre presente sia l’aspetto economico che quello ambientale. Nel concetto di smart building rientra anche il tema della vivibilità, della sicurezza e dei servizi. In una società in evoluzione che invecchia sempre di più, i servizi devono guardare a un’età mediana più anziana. In questa integrazione complessiva di elementi abbiamo contato circa 120 categorie tecnologiche che devono essere prioritizzate sui benefici che questi portano.

Se dovessimo creare un nuovo bonus per smart building cosa proporrebbe The European House Ambrosetti? Quale sarebbe la struttura più funzionale per cittadine e cittadini?

Il punto di partenza è la definizione di Community Smart Building. Senza una chiara definizione non si possono fare normative, standard né incentivi. Solitamente le definizioni sono molto parziali, ovvero riguardano solamente le tecnologie. Per mettere a punto una definizione abbiamo impiegato più di un anno, parlando con interlocutori pubblici e privati. Dalla definizione di Community Smart Building come hub di servizi automatizzati abbiamo catalogato 120 famiglie di tecnologie che possono evolvere nel tempo. Un altro elemento riguarda la creazione di un modello che valuta gli impatti cluster per cluster. Ne abbiamo messo a punto uno con il contributo di ENEA e CNR. Per quanto riguarda i benefici, stimiamo un guadagno di una ventina di miliardi di euro all'anno per il sistema paese, che sono circa 300/350€ di risparmio per famiglia. Ma c’è un punto fondamentale…

Quale?

Ci vogliono ancora una volta regole. Nella direttiva europea è previsto un passaporto per la ristrutturazione, uno strumento che con criteri oggettivi e certificati tiene traccia di quelli che sono stati gli interventi all’edificio. È anche un elemento informativo, infatti qualunque cittadino o impresa che voglia fare determinati interventi accede a un repository certificato che funge anche come criterio per apprezzare sul mercato ogni efficientamento.  

Avete anche proposto un libretto di manutenzione della casa tarato sulla direttiva europea.

Sì, e ne siamo molto contenti. Abbiamo pensato il libretto di manutenzione come una guida semplice, digitale, facilmente accessibile e certificata con valenza legale. Che sia in primis uno strumento di comunicazione, di informazione e orientamento, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche finanziario per l’accesso agli incentivi.

E dal punto di vista delle maestranze, l'Italia è un paese fatto da piccoli costruttori non formati o comunque non tecnologicamente avanzati. Che tipo di impatto occupazionale prevedete?

La frammentazione delle competenze è un tema piuttosto rilevante. Certamente vediamo la necessità di inserire nel settore qualche competenza tecnica in più perché oggettivamente alcune tecnologie richiedono competenze ex novo. Chi non si adatta e non si aggiorna probabilmente verrà lasciato fuori dal mercato. Abbiamo valutato che un’opera di modernizzazione di un parco immobiliare vecchio da circa 4,9 milioni di edifici stimolerebbe la creazione di nuovi 200.000 posti di lavoro.

Oltre alle regole, alle definizioni e alle tecnologie è necessario lavorare maggiormente sulla consapevolezza sul tema da parte delle persone.

Due italiani su tre non hanno la più pallida idea di quello di cui abbiamo parlato finora. Se non si crea consapevolezza non si offre la possibilità di avere dei comportamenti propositivi, anche agli stessi incentivi. Non si può procedere solamente per obbligo di legge, credo non sia la strada giusta. Mi piacerebbe vedere un dibattito pubblico non basato su “l’Europa cattiva che mette mano nelle tasche degli italiani” ma su un’informazione corretta che crei la giusta consapevolezza.

 

In copertina: Lorenzo Tavazzi