Sventolano alte le bandiere dei manifestanti lungo le strade di Belgrado, prima di arrivare in piazza Terazije. “Non scaverete!” sono le parole che scandiscono la marcia cittadina tra migliaia di persone, in un torrido sabato agostano. Un dissenso che, rileva un sondaggio dell'istituto di ricerca New Serbian Political Thought, vede più della metà dei serbi contrari alla miniera di litio nella valle del fiume Jadar, area collinare e montuosa della Serbia occidentale. Nasce da qui la rabbia dei manifestanti, mentre a soli cento chilometri dalla capitale si nota già un piccolo palo interrato nell’area della valle Jadar. Un dettaglio di poco conto se non fosse indicatore di un foro esplorativo già scavato da Rio Tinto.

Il progetto minerario Jadar, dalle stime di Fastmarkets, agenzia di rilevazione dei prezzi delle materie prime, prospetta di riuscire a soddisfare il 13% della domanda di litio prevista dall’Europa nel 2030, continente in cui è ancora assente una produzione interna del metallo bianco.

Già nel 2021, il governo serbo aveva affidato la realizzazione dell’impianto alla multinazionale angloamericana Rio Tinto, per un investimento stimato di 2,4 miliardi di dollari. Le numerose proteste di movimenti ambientalisti, ONG e partiti politici che ne sono seguite spinsero il governo a revocare, nel gennaio 2022, le licenze a Rio Tinto. Tuttavia, lo scorso luglio, una sentenza della Corte costituzionale serba ha annullato la revoca alle concessioni per lo sfruttamento delle miniere di litio. Un cambio di rotta affiancato, pochi giorni dopo, da un incontro storico per le sorti della Serbia sotto il profilo geopolitico, economico e sociale. Il 19 luglio, il governo serbo e l’Unione Europea hanno, infatti, firmato il memorandum d’intesa che avvia il partenariato strategico sulle materie prime sostenibili, le catene del valore delle batterie e i veicoli elettrici.

Da sinistra: Olaf Scholz, cancelliere tedesco, Aleksandar Vucic, presidente serbo, Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea. Foto di Oliver Bunic © European Union, 2024

A gamba tesa verso l’UE

“Il partenariato Serbia-UE rappresenta un chiaro allineamento della Serbia agli indirizzi dell’Unione Europea”, spiega a Materia Rinnovabile Darko Obradovic, analista per il Center for Strategic Analysis di Belgrado. “La Serbia, già candidata all’adesione all’UE e firmataria nel 2020 dell’Agenda verde per i Balcani occidentali, sta contribuendo a ridurre la dipendenza mineraria dell’Europa dalla Cina.”

Secondo Benchmark Mineral Intelligence, agenzia londinese specializzata nella rilevazione dei prezzi delle materie prime, la potenza asiatica elaborerebbe il 65% del litio mondiale: una posizione di vantaggio assicurata dai costi di costruzione più bassi, dai sussidi statali e dal know-how tecnico. In Serbia la Cina controlla già due poli strategici nella parte orientale del paese, come il complesso di RTB Bor per l’estrazione del rame e l’acciaieria Smederevo. Nel caso del litio, la Serbia è virata invece verso il mercato europeo dove, tra le misure da rispettare, vi è anche il passaporto per le batterie che vieta l’accesso al mercato europeo ai paesi che violano gli standard ambientali, sociali e tecnici.

Litio e prospettive economiche

La decisione di non vendere litio alle case automobilistiche cinesi è tra gli impegni presi dal presidente serbo Aleksandar Vučić dichiarati in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt, prima dell’arrivo in Serbia del cancelliere tedesco Scholz per l’accordo finale. Un’intera filiera del litio in patria, comprese le fabbriche di batterie, è il progetto annunciato nelle dichiarazioni del presidente serbo, alla presenza di aziende europee con forti interessi economici per il “metallo della transizione”, come Mercedes-Benz e Stellantis.

Con il progetto Jadar, “l’economia nazionale potrebbe registrare una crescita di circa 1,9 miliardi di euro, pari a oltre il 3% dell’attuale PIL”, riferisce a Materia Rinnovabile Chad Blewitt, direttore generale del progetto Jadar. “La Serbia potrebbe diventare parte integrante della catena del valore globale della mobilità elettrica, riducendo i rischi associati all’estrazione di litio.” La partnership con l’UE vincola il progetto serbo a standard ambientali anche a tutela dell’industria agricola locale. “Misure globali per l’abbattimento delle polveri, per la protezione dell’acqua e del suolo garantiranno − sostiene Blewitt − che la qualità dei prodotti agricoli resti inalterata e, in più, verranno svolti dei monitoraggi sui possibili impatti entro i 500 metri dall’area principale di emissione.” Tuttavia, per poter avviare la produzione del sito, Rio Tinto sta ancora attendendo le autorizzazioni a fronte di uno studio di impatto ambientale, ha riferito la ministra serba per le miniere e l’energia Dubravka Djedovic Handanovic a Reuters.

Maroš Šefčovič e Dubravka Djedovic Handanovic. Foto di Oliver Bunic © European Union, 2024

Serbia-Russia, una relazione tra pesi e contromisure

La Russia ha tutti gli interessi per opporsi all’entrata della Serbia nell’Unione Europea poiché il rischio di un’autonomia serba sul fronte dell’approvvigionamento energetico potrebbe coincidere con un suo addio al protettorato russo. “I rapporti tra i due paesi − sostiene Darko Obradovic − si tradurranno sempre di più in relazioni cortesi, privando la Serbia della partecipazione a iniziative russe internazionali come CSTO, EAEU e BRICKS”. Nel frattempo, la Russia agisce già attraverso i media per portare avanti la propria agenda, sfruttando le attuali proteste contro il litio. “L’analisi dei contenuti mediali indica un chiaro coinvolgimento russo”, riferisce l’analista. “Dopo il 19 luglio RT Balkan ha lanciato una serie di dichiarazioni contro il memorandum mentre Bocan-Kharchenko, ambasciatore russo in Serbia, ha messo in guardia contro la politica neocoloniale dell’Occidente. Interventi simili sono già stati rilevati nel continente africano per impedire la presenza di aziende occidentali e cinesi nel settore minerario.”

Una relazione, quella tra Serbia e Russia, che secondo l’analisi di Obradovic sta diventando sempre meno significativa anche in altri ambiti, riducendosi al piano biennale di consultazioni sulla politica estera e incrinandosi con la condanna serba dei crimini di guerra russi in Ucraina in tutte le risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU. Permane, invece, l’interesse della Serbia al sostegno russo affinché venga mantenuto il veto all’adesione del Kosovo alle Nazioni Unite. Come parte della soluzione UE, continua l’analista, “la Serbia dimostrerà anche di volersi smarcare dalla Russia avvallando l’imposizione di sanzioni, l’espulsione di diplomatici e l’abbandono di mezzi di propaganda russi come RT Balkan e Sputnik”.

Foto di Oliver Bunic © European Union, 2024

Proteste ambientali, la risposta della cittadinanza

Nelle ultime settimane sono continuate le proteste in tutta la Serbia. A Belgrado, secondo i dati rilasciati dal Ministero degli interni serbo alla BBC, hanno aderito all’ultima contestazione tra le 24.000 e le 27.000 persone. Il danno ambientale correlato alla realizzazione della miniera è una delle preoccupazioni più evidenti tra gli attivisti. “La miniera progettata devasterebbe il suolo, l’acqua e l’aria di tutta la regione a causa dell’elevata difficoltà di estrazione del litio dal minerale jadarite”, dichiara a Materia Rinnovabile Bojan Protić, membro dell’organizzazione Eko Straža. Un timore che si unisce a quanto rilevato nel 2019 dalla Global Alliance on Health and Pollution (GAHP) secondo cui la Serbia avrebbe il primato in Europa e si posizionerebbe al nono posto nel mondo per decessi correlati all'inquinamento.

Il mancato coinvolgimento delle comunità locali nello sviluppo del progetto Jadar è considerato “inaccettabile” perché non tiene conto della necessità della cosiddetta “licenza sociale per operare”, una prerogativa obbligatoria per questo tipo di operazioni, spiega a Materia Rinnovabile una ricercatrice del Centro per la bioeconomia dell’Università BOKU di Vienna che preferisce mantenere l’anonimato. Una disapprovazione della comunità locale verso il progetto che potrebbe essersi acuita a seguito di un’incongruenza portata alla luce da un’inchiesta di BIRN secondo cui, a metà del 2022, Rio Tinto avrebbe speso almeno 1,2 milioni di euro per acquistare alcuni terreni nella zona interessata dal sito minerario, nonostante il governo serbo avesse già revocato in precedenza le licenze per l’avvio del giacimento di litio.

Una mancanza di fiducia dei cittadini serbi nel progetto della multinazionale testimoniata anche da altri due dati, forniti dal New Serbian Political Thought. Solo un quarto dei serbi sosterrebbe, infatti, il progetto minerario, ma la percentuale dei favorevoli salirebbe al 33% considerando le garanzie ambientali tedesche e dell’UE. La presenza europea nel progetto Jadar potrebbe avere, quindi, un impatto significativo per spingere la cittadinanza verso un cambio di posizione ma, al momento, non è in grado di fermare la resistenza dei manifestanti, uniti per mantenere intatta la propria valle.

 

Immagine: il gruppo Ne damo Jadar (We will not give Jadar) durante le proteste di piazza Serbia contro la violenza a Belgrado il 17 giugno 2023, Emilija Knezevic, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons