Ripensare le città italiane a fronte della crisi climatica è uno degli obiettivi più ambiziosi del PNRR. Per raggiungere questa sfida, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ha firmato, nel novembre 2021, il progetto per la tutela e la valorizzazione del verde urbano ed extraurbano. Un investimento di 330 milioni di euro che terminerà a dicembre 2024 per la messa a dimora di 6,6 milioni di alberi in 14 città metropolitane, equivalenti al 15,5% del territorio nazionale.

Tuttavia, le risorse messe in campo dal PNRR non sembrano essere sufficienti. In vista dell’approvazione della legge di bilancio, il WWF ha richiesto infatti al governo di triplicare i fondi destinati al verde urbano e di pianificare investimenti mirati per allinearsi con i 3 miliardi di alberi previsti dalla Strategia forestale europea entro il 2030. Una carenza di risorse che si unisce, in Italia, ad altre criticità strutturali come le difficoltà nell’approvvigionamento delle piantine nei vivai, una scarsa conoscenza del patrimonio arboreo nelle città, un’assenza quasi totale di tecnici e poca attenzione alla manutenzione delle infrastrutture verdi.

Criticità e limiti del Piano di forestazione urbano

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, 50.000 sono le morti premature in Italia, nel 2020, dovute all’inquinamento atmosferico, in particolare alle polveri sottili. Un dato allarmante confermato anche dalle tre procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea in Italia relative al particolato PM2, PM5, PM10 e al biossido di azoto. Tuttavia, la messa a dimora di nuovi alberi, secondo il Piano di forestazione del MASE, è prevista soltanto in quattordici città (Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania e Cagliari) e non considera, ad esempio, Bergamo e Brescia, oggetto nel 2022 delle infrazioni europee già citate.

Una copertura urbana molto ridotta che trova conferma anche nel rapporto Ecosistema urbano 2023 di Legambiente, secondo cui la media di verde pro capite nei 105 capoluoghi esaminati si attesta a 53,7 mq, con soli 10 centri aventi una disponibilità pro capite di verde urbano superiore ai 100 mq. “Manca un investimento adeguato sull’infrastruttura verde per il benessere delle città e, intanto, aumentano le isole di calore, le fragilità conseguenti al rischio idrogeologico e i livelli di inquinamento atmosferico”, sottolinea a Materia Rinnovabile Alessandra Prampolini, direttrice generale di WWF Italia.

Alessandra Prampolini © MedFilm Festival

L’ampiezza degli spazi urbani è, inoltre, un fattore discriminante in diversi capoluoghi italiani per accogliere le nuove piante. Il Piano predispone 6.600 ettari per le nuove piantumazioni e, in particolare, “un’area complessiva di almeno 30 ettari in un contesto urbano” per ogni proposta di riforestazione. Una richiesta che risulta, però, impossibile per molte grandi città a causa dell’elevato consumo di suolo e l’assenza di aree verdi non edificate sufficientemente grandi.
Un’altra criticità in merito al piano di forestazione riguarda l’approvvigionamento delle piante a causa del numero esiguo di vivai in Italia, attribuibile al loro passaggio di gestione, nel 2017, dal Corpo forestale dello stato ai Carabinieri forestali.

A oggi, i vivai rimasti in Italia sono 71, di cui 31 esclusivamente forestali a cui risulta, però, rischioso affidarsi per la prevalenza di piante ornamentali, spesso importate dall’estero, in contraddizione con il principio de “l’albero giusto nel posto giusto”, secondo cui, come si legge nel Piano di riforestazione, ogni nuovo albero deve essere “coerente con le caratteristiche biogeografiche e ecologiche dei luoghi”. Principio che si scontra anche con la distribuzione disomogenea dei vivai nella penisola italiana.

Lo stesso numero di piante disponibili nei vivai forestali, concesse gratuitamente ai comuni che ne fanno richiesta per la forestazione urbana, non è stato sufficiente rispetto agli obiettivi del PNRR, ossia la messa a dimora di 3,5 milioni di alberi tra il 2022 e il 2023. Un’anomalia che è stata evidenziata anche dai controlli della Corte dei Conti nel marzo 2023, mettendo in dubbio l’equivalenza nel Piano tra la piantumazione degli alberi e la coltivazione dei semi, pratica diffusa nei vivai a fronte della carenza delle piante. I magistrati contabili avevano quindi invitato il MASE ad acquisire un pronunciamento da parte della Commissione europea e vigilare sull’efficace esecuzione dei lavori. Tuttavia, il ministero dell’ambiente ha pubblicato, pochi giorni dopo, un documento in cui ribadiva il raggiungimento degli obiettivi di forestazione per il 2022 e sottolineava l’equipollenza tra semi e piante ai fini della riforestazione.

La manutenzione del verde urbano è, infine, un altro tasto dolente in Italia. I reali numeri degli alberi messi a dimora sono infatti oggetto di discussione fin dai primi anni del progetto poiché in molte città, secondo Openpolis, le piante erano secche prima di essere piantumate o già morte poco dopo la piantumazione. I fondi messi a disposizione dal PNRR, per una stima di 50 euro per ogni albero, dovrebbero anche coprire il monitoraggio, la gestione e la cura degli alberi piantati, “per almeno sette anni successivi alla realizzazione del rimboschimento". Un bacino di risorse che si restringe sempre di più, rendendo un’impresa impossibile la messa a dimora di 6 milioni di alberi entro pochi mesi.

Oltre il PNRR, come reperire nuove voci di spesa

La denuncia di una carenza di risorse destinate al verde urbano, sollevata nelle ultime settimane dal WWF, richiede anche la necessità di individuare nuove voci di spesa da inserire a bilancio. E tra le fonti disponibili da cui poter attingere, l’ONG menziona i “sussidi ambientalmente dannosi” (SAD) stanziati ogni anno in Italia, ossia incentivi pubblici diretti o indiretti che hanno un impatto negativo sull’ambiente in quanto riducono il costo di utilizzo delle fonti fossili e favoriscono lo sfruttamento di risorse naturali.

Soltanto tra il 2022 e il 2023, secondo l’ultimo rapporto Stop sussidi ambientalmente dannosi di Legambiente, sono stati infatti stanziati 79,98 miliardi di euro in sussidi alle fonti fossili nei settori dell’energia e dei trasporti, rispettivamente per 52,2 miliardi e 20,5 miliardi di euro. Nel 2022, si contano, inoltre, 122 voci di sussidi che supportano in maniera diretta o indiretta i settori inquinanti come quello Oil & Gas. Un numero che vede 46 voci in più rispetto al 2021, per un aumento complessivo di 52,79 miliardi di euro in SAD, equivalente al 5% del PIL italiano nel 2022.

Il futuro non sembra, però, portare delle buone notizie rispetto a un progressivo allontanamento dai combustibili fossili. I SAD potrebbero, infatti, salire a 18,86 miliardi entro il 2025, a cui andrebbero sommati gli 8 miliardi di euro di sussidi emergenziali come, ad esempio, il supporto per l’installazione di nuove caldaie a gas oppure il Capacity Market, una misura introdotta dal governo nel 2019 per garantire maggiore flessibilità e sicurezza alla rete elettrica, sostenendo economicamente impianti a fonti rinnovabili e a fonti fossili riconosciuti come necessari in momenti di maggior consumo.

Risorse ingenti che potrebbero essere quindi convertite, come proponeva il WWF, in obiettivi virtuosi a vantaggio dell’ambiente e del benessere dei cittadini, a partire dall’aumento delle infrastrutture verdi nelle città. Tuttavia, in questo contesto, la volontà politica diventa decisiva per ristabilire un ordine di priorità. E il bilancio 2025 in fase di approvazione sarà, in quest’ottica, un primo banco di prova.

 

Immagine di copertina: Envato