Lo scorso 7 aprile il think tank italiano ECCO ha organizzato un confronto fra alcuni stakeholder della filiera della plastica in occasione della presentazione del rapporto “La plastica in Italia: vizio o virtù”. Abbiamo raccolto le idee e le osservazioni emerse.
Qual è la medicina per l’Italia, così dipendente dal consumo di plastica da conquistare il secondo posto in Unione europea? Certo non una singola azione. Alla filiera, maglia fondamentale del tessuto imprenditoriale nazionale, servirebbe una visione politica chiara e di lungo periodo. Invece risente della corsa agli imballaggi e della mancanza di proposte legislative nella filiera dell’usa e getta, elementi incompatibili per quella che dovrà essere la decarbonizzazione del processo produttivo. La competitività della filiera dovrà essere davvero sostenibile se si vogliono raggiungere entro il 2030 gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas climalteranti o, guardando ancora più lontano, la neutralità climatica al 2050.
Tre i cardini di quella che dovrebbe essere la strategia di largo respiro anelata dalle imprese, emersi nel corso dell’incontro “La plastica in Italia: vizio o virtù”, organizzato a Roma lo scorso 7 aprile dal think tank italiano sul clima ECCO con la partecipazione di istituzioni, imprese, mondo dell’accademia, della politica e della società civile. Il primo prevede di ridurre il ricorso alle materie vergini e i consumi, per provare ad arginare il fenomeno alla fonte. Poi l’incremento del tasso di riciclo e di riutilizzo e, infine, il maggior impiego di bioplastiche di origine vegetale.
Il grafico ipotizza tre scenari emissivi in relazione all'utilizzo di plastiche di origine fossile o bioplastiche di origine vegetale e al tasso di riciclo da qui al 2050. Fonte: “La plastica in Italia: vizio o virtù”, ECCO
Bando al monouso e deposito cauzionale: la strategia per decarbonizzare la plastica
L’educazione dei cittadini è stata evocata a gran voce come l’elemento cardine per dare impulso alle azioni normative e per amplificare l’effetto della riduzione delle emissioni e dell’inquinamento, largamente associati alla filiera della plastica. Sono i modelli di consumo, oltre a quelli di produzione, ad essere complici della crescita esponenziale dell’inquinamento in numerosi ecosistemi terrestri e marini: ogni anno 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, destinate a raddoppiare entro il 2030 e a quasi triplicare nei successivi dieci anni.
Riuscire a definire e implementare una solida e coerente azione formativa, che arrivi all’opinione pubblica e alle istituzioni, contribuirebbe a incrementare la consapevolezza dei consumatori in merito alle proprie scelte e favorirebbe, come auspicato anche a livello europeo, una partecipazione più attiva della collettività. Speculari in tal senso due proposte contenute nel rapporto e applicabili nel breve termine per favorire la decarbonizzazione: il divieto di vendere frutta e verdure fresca in confezioni di plastica e il bando delle stoviglie monouso per il consumo sul posto negli esercizi commerciali.
Un coro quasi unanime si è sollevato tra i relatori a favore del ruolo strategico che potrebbe ricoprire il sistema del deposito cauzionale o Drs (Deposit return system). I benefici attesi sono molto elevati: in alcuni dei Paesi in cui è previsto per legge, riporta il think tank, consente di raggiungere fino al 94% della raccolta dei contenitori per bevande.
In Italia, dove il tasso della raccolta degli imballaggi sfiora l’80% occorre però capire se i tassi di recupero possono aumentare attraverso soluzioni economicamente più convenienti o se è bene comprendere l’effettiva necessità del sistema attraverso un’analisi approfondita, ha evidenziato il presidente di Corepla, Giorgio Quagliolo. Anche se, ha ricordato il coordinatore della campagna “A buon rendere – molto più di un vuoto”, Enzo Favoino, il sistema consentirebbe una migliore qualità della differenziata, centrando un altro obiettivo della politica europea sull’economia circolare, con flussi di rifiuti ben separati.
Infine, le potenzialità delle biomasse, soprattutto lì dove non esistono alternative sostenibili, si possono disvelare attuando “un’economica che, minando le dinamiche attuali, produca beni da matrici naturali (bioprodotti appunto)”, ha evidenziato in nota la sottosegretaria di Stato al ministero della Transizione ecologica, Ilaria Fontana. Prodotti che, giunti a fine vita, possono essere impiegati come fertilizzanti per il suolo, “quest’ultimo, a sua volta, creerà le condizioni per generare colture agricole in grado di riprodurre le componenti rinnovabili in un’ottica di totale circolarità naturale”.
Il tutto a patto che lo Stato investa, di più e davvero, nella ricerca sulle biomasse. Ad oggi, non sono competitive quanto la plastica di origine fossile, evidenzia il rapporto, perché sono le imprese a dover sostenere i costi per lo sviluppo dei nuovi materiali, così da favorirne l’applicazione in alternativa ai materiali tradizionali.
Standardizzazione dei polimeri e appalti pubblici “green”
Tra le politiche individuate da ECCO, di prioritaria attuazione per migliorare la qualità del riciclato c’è la standardizzazione dei polimeri. Ridurre a monte l’esigenza di plastica vergine è possibile intervenendo sull’ecodesign del prodotto, che punti alla semplificazione delle composizioni dei polimeri, limitando l’uso di additivi e coloranti, e al disassemblaggio dei prodotti in componenti omogenee.
Questa scelta consentirebbe di migliorare il riciclo meccanico – ad oggi ampiamente diffuso – di molti manufatti e, di conseguenza, aumentare i tassi di riciclo. Così facendo, si risponderebbe a un’altra problematica che si va delineando: quella degli impianti di riciclaggio che si trovano a smaltire una quantità maggiore di rifiuti plastici rispetto agli anni passati. Per via, da un lato, del blocco dell’import da parte di Paesi esteri e, dall’altro, della progressiva riduzione del conferimento in discarica promosso dal Piano d’azione europeo per l’economia circolare.
In tal senso, gli appalti pubblici potrebbero favorire la domanda di questi prodotti standardizzati, realizzati solo con determinati polimeri. Secondo il think tank ECCO sarebbe la chiave per creare un mercato low carbon e ottenere prodotti di materia prima seconda di maggiore qualità.
Fonte: “La plastica in Italia: vizio o virtù”, ECCO
Decarbonizzazione? I numeri del perché
I risultati della ricerca “La plastica in Italia: vizio o virtù”, realizzata dal think tank Ecco in collaborazione con Cluster Spring, Greenpeace e le Università di Padova e di Palermo, fotografano le potenzialità della decarbonizzazione e dell’abbattimento delle emissioni nel settore. Solo nel 2020, riporta lo studio, in Italia ogni persona ha consumato quasi 100 chilogrammi di polimeri fossili per un totale che ha sfiorato i 6 milioni di tonnellate. Numeri che fanno riflettere soprattutto se si considera che il 99% della plastica è ottenuta usando fonti tradizionali, petrolio e gas naturale, sia come materie prime che per generare l’energia termica utile al processo produttivo.
Il settore di maggiore impiego? Il 42% della plastica è utilizzata per gli imballaggi e l’usa e getta (da qui la volontà di bandirla tra gli scaffali della GDO), il 12% nell’edilizia e il 7% nell’automotive.
In Italia solo il 30% dei rifiuti plastici viene destinato al riciclo e le bioplastiche di origine vegetale non arrivano nemmeno a coprire, in termini produttivi, il 6% del mercato.
L’emissione in atmosfera? Considerata anche l’estrazione e la raffinazione dei combustibili fossili, ammonta a 1,7 kg di CO2 per ogni kg prodotto. Cifre insostenibili e incompatibili con quella che potremmo chiamare, appunto, la disintossicazione del Paese dalla plastica.
Immagine: Mark Harpur (Unsplash)